mercoledì, novembre 05, 2025

IL COGNOME DELLE DONNE di Aurora Tamigio

 


Trama

È la storia di una famiglia italiana raccontata attraverso tre generazioni di donne: nonna Rosa, sua figlia Selma e le nipoti Patrizia, Lavinia e Marinella.

La vicenda, partendo negli anni Venti e terminando nel 1983, attraversa un lungo arco cronologico.

All’inizio tutto si svolge in un piccolo paese di montagna, nella Sicilia più profonda; poi, con il trasferimento in città, il romanzo prende una nuova direzione e si apre a una realtà più ampia, segnata dai cambiamenti sociali e culturali del tempo.

 

Commento

Il libro appassiona fin dalle prime pagine con delle scene forti, la scrittura è semplice, immediata ma anche intensa e avvincente.

Benché io sia solita cercare armonia nella lettura, qui invece ne resto scossa. Eppure, ugualmente mi metto in ascolto.

Dell’autrice si percepisce l’amore per la sua terra e per le donne di questa terra. L’unico modo per dare dignità alle ferite di un sistema patriarcale e vessatorio è parlarne: sono proprio le sue protagoniste a farlo, uscendo dalle pagine e dal tempo per incontrare il lettore e impressionarlo con i loro lividi.

«Il padre di Rosa, Pippi Romito, diceva sempre che 'a femmina è comu ‘a campana: si ‘un ra scotuli ‘ un sona”. E lui, da che Rosa era stata abbastanza grande per prenderle, non aveva fatto altro che suonare lei e sua madre.»

Non tutti i personaggi maschili sono violenti ma, per alcuni, il ricorso alle botte è ordinaria amministrazione. La violenza nei confronti delle femmine non è una reazione in risposta a qualcosa, ma un’azione: un atto quotidiano, commesso con una spontaneità tale che trova spiegazione solo nell'assuefazione alla brutalità. Gli uomini che aggrediscono non sanno usare il pensiero, mai dubitano della loro condotta né danno prova di compassione verso figlie e compagne.

«E chissà se pure Ilario prendeva le mazzate, oppure a darle ai maschi non c’era gusto?»

Rosa, vessata da un padre padrone, si unisce in matrimonio con Sebastiano Quaranta, un compagno buono e rispettoso. La figlia Selma sposa Santi Maraviglia, il cui nome suona come un ossimoro: oltre ad essere un parassita mascalzone, Santi è anche prepotente, manesco e malvagio.

È pur vero che, se ci si abitua a dare le botte, non ci si dovrebbe abituare a riceverle. La forza delle figure femminili della storia è quella di riuscire a ribellarsi. Ciascuna donna della famiglia, secondo la propria indole e le possibilità dell’epoca, si affranca dal patriarcato. 

«Rosa, sul cuscino che ancora sapeva dei capelli di Selma, si era messa a pensare che forse non era male avere tirato su tre figli che non sapevano cosa fosse il sangue.»

La nonna, rimasta vedova, gestisce per anni in piena autonomia un’osteria che dà da mangiare a un’intera comunità. Selma, la più docile tra le protagoniste, pur sottomessa a un farabutto, impara un mestiere e lo trasforma in arte. Le figlie trovano nello studio e nel reciproco supporto altri strumenti per costruire la propria identità. In particolar modo, Patrizia si oppone alla patria potestà diventando lei stessa capo famiglia.

«Patrizia si aggiusta la cintura di seta e punta il naso contro le sue sorelle. “Lo sapevate, vero, che il cognome delle donne è una cosa che non esiste. Portiamo sempre quello di un altro maschio” … “Comincia tu a tenerti il tuo, e poi si vede”.»

Ho scelto questo libro per il titolo e per la mia scelta di utilizzare un doppio cognome.

Qualsiasi cosa abbia commesso Santi Maraviglia, sua figlia, sposandosi, si pone il problema se continuare ad usare il cognome paterno o assumere quello del marito. Abbandonare l’appellativo Maraviglia significherebbe pure lasciare andare una parte importante della propria individualità. Quel nome, pur provenendo da un genitore pessimo, contiene anche il modo in cui Patrizia e le sue sorelle ne hanno fatto uso. Quel nome dice da dove vengono e cosa sono diventate.

La riflessione sulla perdita del cognome femminile mi ha portato a fare una piccola ricerca storica per capire cosa prevedesse la legge; così mi si è aperto un mondo.

Fino al 1975, in Italia, vigeva il Codice Civile del 1942 per cui il coniuge era il capo famiglia: il padrone, il boss, il re della casa. Fuori poteva anche valere meno di un sasso, proprio come due personaggi del libro, ma in famiglia aveva il potere sancito dalla legge.

La moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza” (art. 144 del Codice Civile).

Il clima politico e culturale del ’68, le battaglie femministe e la crescita di una nuova consapevolezza sociale portarono, nel 1975, a una riforma del diritto di famiglia che stabilì la parità giuridica dei coniugi ed eliminò  il concetto di capo famiglia. Ci sono voluti ancora molti anni perché il cambiamento giuridico si traducesse in un mutamento reale del modo di pensare e, persino oggi, il patriarcato resta ancora fortemente radicato.

Di fatto, la scelta di Patrizia, in concomitanza con il proprio matrimonio, riflette una trasformazione profonda della mentalità e dei costumi.

Indipendentemente dal tipo di relazione che abbiamo avuto con chi ci ha messo al mondo, il cognome non è solo una parola o un'etichetta per distinguerci: ci lega alla nostra personale storia … conservarlo significa mantenere viva questa connessione.

Rossana Palieri Larose 



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