Pensavo che avrei letto un
mattone. Eppure, benché alcuni passaggi siano davvero prolissi, dal punto di
vista psicologico è un testo intrigante, attuale e
sorprendente.
Rodja (Rodion Romanovič Raskol'nikov), ex studente ventitreenne, abbandonati
gli studi e caduto in miseria, conduce un’esistenza squallida nei sobborghi di
Pietroburgo. Animato da una personale
avversione nei confronti degli individui più avidi e profittatori, si
autolegittima ad uccidere l’usuraia Aljona. Pensando al contempo di trarne un
vantaggio economico e di fare un favore alla società, egli non solo prepara l’assassinio
ma lo commette senza alcun indugio.
«Che la si uccida pure, che le si pigli
il denaro, per consacrarsi con quel denaro al servizio di tutta l’umanità e
della causa comune!».
Sebbene nella prima fase della
narrazione ci si allontani con orrore dalle azioni del protagonista, il fatto
che Rodja prenda di mira un essere infimo ce lo rende meno ostile. Fin dai
primi istanti di lucidità dopo l’omicidio, egli precipita in uno stato di insanabile
malessere fisico e psicologico. Febbre, allucinazioni, vertigini come pure una cosciente
disperazione descrivono il tormento incessante della sua anima in conflitto.
«…Tra tutti i
pidocchi avevo scelto il più inutile e, uccidendolo, avevo stabilito di
portargli via quel che mi era esattamente necessario per compiere il primo
passo, e nulla di più o di meno …È per questo, per questo che sono
irrimediabilmente un pidocchio, […] perché forse io stesso sono ancora più
schifoso e ripugnante del pidocchio ucciso…».
In una sorta di razionale
delirio, il giovane arriva a paragonarsi al condottiero che, durante la battaglia, è costretto a causare delle vittime. Il dramma del personaggio è non solo il fatto di non avere la stoffa del militare ma anche quello di essere completamente privo della scaltrezza di un assassino. Contro la sua stessa volontà, Rodion figlio,
fratello e amico è molto amato. Le persone a lui care sono anche persone perbene.
Costoro, ignari del delitto, nell’amare il Rodja virtuoso di cui hanno memoria,
con le loro premure gli rendono ancora più tragica la trasformazione. Le
attenzioni che gli dedicano sono parte del castigo, poiché ogni gesto
affettuoso sembra sbattergli in faccia la gravità del misfatto commesso.
Ammazzando l’usuraia, Roskol’nikov uccide in sé quel
Rodja che tutti amano.
«Sì, ma in che modo
ho ucciso? È forse così che si uccide? Si va forse a uccidere come ci sono
andato io quella volta? Una volta o l’altra te lo racconterò come ci sono
andato… Ho forse ucciso la vecchia? Ho ucciso me stesso e non la vecchia! Lì,
con un colpo solo, mi sono ammazzato, una volta per sempre! ...»
Sembra che ogni singolo pensiero,
tanto da sveglio quanto nel sonno, contenga il dolore e l’angoscia propri di chi è
già in un percorso di espiazione. In effetti, il castigo precede la
giurisprudenza. Più delle leggi e dei commissari, nel momento in cui uccide, il
protagonista si condanna alla più dura delle penitenze. Benché le normative e
le pene possano trovare un deterrente e forse anche un rimedio, l’assoluzione
ha in sé qualcosa di divino. Scontare una condanna non significa implicitamente
ricevere un perdono e neppure perdonare se stessi.
«Tuttavia la
condanna fu più mite di quanto ci si potesse aspettare, dato il delitto
commesso, e forse proprio perché l’imputato non solo non aveva cercato di
giustificarsi, ma aveva manifestato il desiderio di addossarsi ancor più la
colpa»
Dostevskij esprime i processi mentali dei propri interpreti così magistralmente che i lettori, pur disapprovando le scelte, inevitabilmente ne comprendono le ragioni. Io stessa, a un certo punto del romanzo, mi rendo conto di sperare che Rodja la faccia franca. Con lui, come con tutte le altre figure del romanzo, viene a crearsi una straordinaria connessione. Lo scrittore, oltre a delinearle nei ragionamenti, ne riproduce gli stati emotivi integrando il non detto al detto.
«Lo specchio della
natura è il più trasparente degli specchi! Guardaci dentro e ammira come stanno
le cose! Ma com’è che siete diventato così pallido, Rodiòn Romànovic, avete
forse troppo caldo, volete che apra la finestra?»
Rodja impallidisce continuamente,
continuamente trema, si turba e si spaventa. Qualsiasi cosa egli senta, questa
ha il potere di riportarlo alla sua colpa.
«Se rovinerò qualcuno, sarà solo me
stessa … Io non ho ancora ammazzato nessuno!... Cos’hai da guardarmi? Come mai
sei diventato così pallido?»
La meraviglia dell’opera è che si impara a convivere così intimamente con i pensieri dei vari personaggi che, istintivamente, li si include nel proprio mondo: se ne riconoscono le caratteristiche, si familiarizza fino a sapere cosa da loro ci si può aspettare.
Delitto e Castigo merita senza
ombra di dubbio tutto il successo che il tempo gli ha riservato. Analogamente a
un cammino, se ne traggono delle lezioni di grande valore.
1. Roskol’nikov diventa un criminale senza avere uno spirito omicida. La tragedia non è tanto il delitto in sé quanto ciò che accade nel seguito. Al di là della vicenda, penso che valga la pena di chiedersi quanto ciò che stiamo facendo rispecchi la nostra indole e i nostri valori: ogni volta in cui agiamo in maniera contraria alla nostra natura ci rendiamo responsabili della nostra infelicità!
2. «La sofferenza e il dolore
sono sempre obbligatori per una coscienza ampia e per un cuore profondo. Ho
l'impressione che le persone autenticamente grandi debbano provare al mondo una
grande tristezza».
Si può cogliere
la leggerezza della vita, solo dopo averne attraversati gli abissi…” le discese
ardite e le risalite” per intenderci!
3. La via del perdono, sia che lo si chieda o che lo si conceda, implica un devastante stravolgimento: significa accettare di sprofondare in una voragine lunga e lenta, per risalire piano piano a fatica su verso la luce. Per questo, dal mio punto di vista, tale atto è per eccellenza il percorso di crescita
più doloroso e salvifico che esista.
«Come
accadde, lui stesso non lo sapeva, ma all’improvviso fu come se qualcosa l’avesse
afferrato e buttato ai piedi di lei. Piangeva e le abbracciava le ginocchia. In
un primo istante Sonja si spaventò terribilmente, e il suo volto divenne di un
pallore mortale. Balzò in piedi e, tremando, lo guardò. Ma subito, in quello
stesso istante, comprese ogni cosa».
Con un’opera d’arte bisogna avere il
comportamento che si ha davanti a un gran signore: mettersi di fronte e aspettare
che ci dica qualcosa.
Arthur Schopenauer
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