giovedì, maggio 07, 2020

Roma per sempre



Roma, quando il viaggio non finisce 

Ogni viaggio che si compie, indipendentemente da dove si vada, sia che ci si muova o si resti immobili, ci porta in un posto non necessariamente geografico. Nel caso di Roma, il soggiorno è stato fisico e metafisico nello stesso tempo ed ha dato luogo ad una sana irrequietezza, che ancora non svanisce, né diminuisce. Il punto è, che quando si torna non si è più gli stessi di quando si è partiti.

Sono entrata nella capitale con il rispetto di chi si addentra in uno spazio imponente e si guarda intorno con meraviglia e prudenza. A Roma tutto è monumentale, persino l’autista che è venuto a prenderci all’aeroporto. La prima immagine della città è una delle sue porte di accesso, Porta Pia, poi la lunga passeggiata a piedi fino alla famosa scalinata di piazza di Spagna e alla fontana della barcaccia. Le mie fotografie traboccano di buffi turisti di ogni colore e provenienza. Ed è proprio lì: nelle piazze, nelle chiese, intorno alle fontane più famose che il mondo pullula, rumoreggia, ride, sorride e si emoziona con la consapevolezza che in quel giorno, a quell’ora, in quel luogo si ha il grande privilegio di assistere ad uno spettacolo prodigioso, che si compie da secoli e da secoli è sempre uguale e diverso, perché continuamente cambiano i colori del cielo, le luci e le comparse.

 In realtà penso che la scelta di visitare alcuni luoghi risieda più nella fama che nella loro intrinseca incontestabile bellezza. La fontana di Trevi è meravigliosa, imponente, spettacolare, una gioia per gli occhi ma di fontane ve ne sono molte altre meno conosciute e forse più discrete nelle proporzioni eppure altrettanto meritevoli di sguardi e ammirazione, come la fontana delle tartarughe al ghetto o quella dei catecumeni in via dei Serpenti. Roma brulica di fonti e zampilla d’acqua luminosa, che purifica l’aria, rinfresca i pensieri e mette allegria.

I turisti si distribuiscono intelligentemente sulle strade e stupidamente nei luoghi di maggiore interesse; per questo preferisco camminare senza rallentare il passo lungo le grandi vie per poi accedere alle più piccole traverse, guardare i negozi, i menu dei ristoranti ed ancor di più i cortili dei palazzi. Infilo il cellulare oltre la griglia di un cancello a pochi metri dalla fontana di Trevi, fotografo un soldato di marmo, nudo, con un elmo alato, steso a riposare nella corte, bello e perfetto come il dio pagano che probabilmente rappresenta. Tutt’intorno alberi e piante. Lo osservo e mi domando se gli abitanti di quello storico edificio, vedendolo tutti i giorni, ci facciano ancora caso, mentre per me quella visione è una sorpresa, un regalo del destino al beneficio della mia vista esclusiva.

Splendore e magnificenza affiorano in ogni dove, ma con il passare dei giorni l’imponenza m’incute sempre meno soggezione, al contrario l’ingresso in quel suggestivo mondo, compie l’incantesimo anche in me, tanto che mi aggiro tra i quadri dei più grandi maestri del rinascimento e le sculture del barocco, come se fossi un’opera d’arte anche io. Mi immergo in una tale maestosa ineffabile bellezza, che i miei occhi ne traboccano giacché la capacità di comprendere viene sopraffatta da impressioni e sentimenti che non si contengono e, senza alcun imbarazzo, lascio scorrere le lacrime e mi abbandono al fascino dell’arte e alla poesia delle immagini della strada. Mi ci abbandono dentro e fuori dalla cappella Sistina, quando all’apparizione del colonnato di San Pietro percepisco l’infinita energia che alimenta la fede e nutre le opere dell’uomo fino a renderle immortali, mi ci abbandono quando alla galleria Borghese vedo Proserpina che si trasforma in albero, Venere che benda amore, Caravaggio inquieto nella disperazione di Golia; mi ci abbandono quando, camminando nel ghetto, leggo i nomi degli ebrei che sono stati deportati in Germania. Perché l’arte non è solo nelle opere, ma anche nei gesti, nelle intenzioni, nell’empatia dei sentimenti. Mi ci abbandono quando, guardando sotto un ponte di Trastevere, vedo un giovane uomo senza dimora dormire amorevolmente accucciato di fronte al suo bimbo… piccolo, troppo piccolo. 

Tutto mi meraviglia e mi scombussola, la spettacolarità delle opere, la miseria di chi non c’è più, o di chi c’è e lotta per la sopravvivenza. Inevitabilmente torno a casa e non sono più la stessa che ero prima, poiché in tutta quella grandezza e in tutta quella bassezza, ho riconosciuto una parte di me, come se Roma avesse parlato direttamente alla mia anima, toccandola nel suo punto più nascosto e segreto.




Rossana Palieri

17 ottobre 2017 





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