Andrea
è un fotografo, single, tanto sensibile quanto irrisolto. Per alcuni giorni è
chiamato ad assistere il padre malato.
Si tratta di dare il cambio all’apprensiva sorella in viaggio lontano da Napoli. La donna gli lascia una lista di regole da
rispettare con religiosa diligenza, alle quali suo malgrado il fratello dovrà contravvenire.
Nonostante il genitore si trovi nella fase terminale di una grave patologia, ha
ancora la forza e la lucidità di mettere in atto un piano “diabolico”,
rivendicando il diritto di godere del tempo che gli resta in piena libertà. Papà
e figlio fuggono a Procida, luogo delle loro origini. Qui, beneficiando di un
presente inatteso e sorprendente, vivono ogni istante con la massima intensità.
«Se mia sorella sapesse che alle undici di
sera il padre, anziché dormire nel suo comodo letto, si trova sulla spiaggia di
Procida, con un venticello che viene dalle spalle…, se sapesse che non prende
medicinali da ieri, che ha gustato del buon vino rosso e sta fumando il secondo
spinello della sua vita, le verrebbe un colpo».
Di
questo autore apprezzo particolarmente il modo attraverso il quale i protagonisti
evolvono nel corso della storia. Le altrui vicende sollecitano il lettore a
immedesimarsi, fino al punto di mettersi in discussione e riconsiderare il proprio
atteggiamento.
«Le tartarughe non mi piacciono … Milioni di
anni fa sono state brave a costruirsi la corazza che si portano appresso e che
le ha salvate dai predatori, solo che con il tempo il guscio che le riparava è
diventato la loro prigione; gli altri animali hanno continuato a evolversi, a
cambiare, loro invece sono rimaste così, non sono più progredite. Perciò stanno
diminuendo … non hanno saputo cambiare, non hanno avuto la forza di separarsi
dal guscio. Di allontanarsi da casa».
Questa
affermazione mi induce a riflettere sulla facilità con la quale ci si auto-boicotta.
Tale è la paura di non essere all’altezza delle proprie aspirazioni, che si
evita di rincorrere i sogni, accontentandosi di una quotidianità che ha luogo
ben al di sotto del proprio valore. Il processo di crescita prevede il cambiamento
e per trasformarsi è inevitabile abbassare le difese, uscire dal guscio e
rischiare. Meglio ferirsi, soffrirne e rialzarsi, piuttosto che restare immobili
e rinunciare alle mete che ci attendono e che talvolta richiedono persino il
nostro errore.
«Non è stato facile averti come padre,
questo vorrei dirgli, perché il tuo più grande errore è stato proprio non
nascondere ai tuoi bambini i demoni di cui parli. E così abbiamo dovuto
imparare a convivere con loro, con le tue paure vestite di rigore e noncuranza,
e con il tempo quelle paure sono diventate le nostre, i demoni si sono presi
anche noi».
Andrea
cerca di diventare adulto lontano dalle sue radici, eppure resta fortemente
aggrappato sia ai ricordi che ai mostri infantili. La sensibilità straordinaria
dei bambini assorbe ogni luce e ogni ombra dal mondo dei grandi, riflettendole
sul proprio futuro. A seconda del modo in cui si è stati trattati, questi chiaroscuri
possono divenire ali o valigie pesanti. Per il protagonista, come per ognuno di
noi, la necessità di interrogarsi non solo su quali siano le zavorre che
rallentano il cammino, ma a chi queste appartengano davvero. Forse, smettere di
portare le borse degli altri, sarebbe già un buon presupposto per marciare più
leggeri.
«Ho impiegato una vita, ma alla fine ho
estirpato quelle radici, alla fine ho capito che io di responsabilità proprio
non ne avevo, non ne ho, e se qualcuno ne ha (e neanche ne sono troppo
convinto), questi sono i miei genitori, ognuno per i suoi motivi. Io, di tutta
la merda che ho mangiato, non ne ho colpa. Nessuno ha mai colpa per l’infanzia
che si è ritrovato. Siamo tutti senza peccato. Cominciamo a capire questo, a
dirci questo, e avremo buone possibilità di salvarci».
Durante
i giorni a Procida e le conversazioni tra i due personaggi, quel padre tanto
severo nella memoria del figlio perde un po’ dell’antica durezza. All’immagine
fiera, esigente e austera del comandante di una grande nave, si sovrappone quella
di una persona saggia e profonda, capace di un amore che tuttavia fatica a
manifestare.
«E bravo il mio fotografo … che ha già
imparato a riconoscere la bellezza che ci circonda. Ricorda, la vita è un
chiaroscuro perenne, ma ogni tanto arriva attorno a noi la luce giusta a illuminare
le cose e a renderle perfette. Bisogna accorgersene. È tutta qua la differenza
tra chi campa davvero e chi spreca il suo tempo».
Ogni
ultimo libro di Lorenzo Marone che leggo, diventa il mio preferito.
Grazie
Lorenzo Marone Grazie😊
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