Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio
compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese
gestiscono insieme al padre Giuseppe il saponificio di famiglia, fondato dai
nonni, prematuramente scomparsi in un incidente stradale. Fin da piccoli i
ragazzi ci lavorano con grande passione, senza risparmiare alcuna energia; il
loro destino sembra già scritto e deciso, finché Giuseppe, all'insaputa dei figli,
vende la fabbrica al concorrente Colella, un imprenditore squallido e gretto.
Senza preavviso, dalla sera alla mattina, fratello e sorella perdono tutto. I
due protagonisti fronteggiano la situazione facendo rispettivamente scelte opposte;
tanto inattese da creare una frattura profondissima nel loro rapporto.
«Quelle mura in conci di pietra e quei
soffitti alti per lui e Agnese avevano da sempre significato casa: ci avevano
trascorso l’infanzia, giocando a rincorrersi tra le grosse caldaie a vapore e
le vasche di raffreddamento, finché un pomeriggio nonno Renato non li aveva
fatti andare nel suo ufficio e aveva detto: un giorno toccherà a voi prendere
le redini della fabbrica. Lorenzo aveva annuito e gli aveva promesso che mai,
per nessuna ragione al mondo, l’avrebbe deluso».
Di fatto, gli eventi traumatici trasformano in maniera
drastica l’animo chi li subisce. La vendita del saponificio traccia per i giovani
la linea di confine tra gioventù e maturità. La vicenda invita a riflettere
rispetto al modo in cui le persone rispondono ai soprusi. Nel caso dei
protagonisti si presentano due varianti: restare per cambiare le cose
dall’interno oppure andarsene, covando nella rabbia la vendetta.
«Lorenzo rimase a fissare suo padre, con
uno sguardo carico d’odio. Quelle quattro parole – Ho venduto la
fabbrica – gli avevano strappato via il cuore».
Agnese si adatta alla situazione senza omologarsi. Con
pazienza e nella volontà di tenere viva la memoria dei nonni, resta a lavorare
per il nuovo proprietario.
«… diventò all’improvviso pensierosa.
“No”, disse poi, decisa. Non esiste una persona che possa rendermi più felice
di quando sto al saponificio. Impossibile».
La giovane sopporta la scomoda condizione di subalterna e tollera i continui rimproveri senza battere ciglio; si lascia scivolare tutto addosso perché ha una missione da compiere. Benché nella prima parte della storia sembri l’anello debole all'ombra del fratello maggiore, lei si rivela invece tenace, forte e intraprendente. Pur soffrendo in silenzio, stringe i denti: senza lamentarsi se ne fa una ragione per risorgere. Vola sul posto … un Colibrì al femminile, proprio come Marco Carrera dell’omonimo romanzo di Sandro Veronesi.
Lorenzo, al contrario, come se gli fosse scoppiata una bomba dentro, si dispera e oppone fiera resistenza alla nuova realtà. Non potendo accettare decisioni prese da altri e sulle quali egli non ha alcun controllo, lascia andare la genuina freschezza del ragazzo per fare posto a un adulto scaltro e calcolatore. Il problema è che, siccome il cuore gli è rimasto buono, il costo di questa metamorfosi è altissimo. Accecato dalla rabbia, sordo all’ascolto di qualsiasi argomentazione, fa della propria rivincita il principale scopo di vita.
«Non vivere una vita che non ti appartiene, perché prima o poi ti presenterà il conto. E lo pagherai in infelicità».
L’autrice descrive due persone affini e complementari che si perdono. Si percepisce tuttavia che l’affetto mai viene meno. La protagonista femminile ha l’intelligenza di ascoltarsi e di riconoscere nella nostalgia la necessità di fare dei tentativi per riavvicinarsi al fratello.
Fino a che punto vale la pena di distruggere delle relazioni per orgoglio? Che
senso ha rovinarsi l’esistenza a causa del comportamento di qualcuno che non
siamo noi?
Saper accettare le decisioni di coloro a cui si vuole bene, seppure in totale disaccordo
con i propri principi, richiede uno sforzo colossale ma è anche segno di
magnanimità. Il perdono in fondo è questo: sacrificare se stessi per qualcosa
di superiore.
Lorenzo non può perdonare ad Agnese il fatto di
essere rimasta a lavorare al servizio di Colella e di avere continuato a
vivere nella casa di chi gli ha strappato il cuore. Egli si identifica in un
intero sistema di valori che viene ignorato e distrutto. Come si fa a non
dargli torto? Perdendo il saponificio, lui perde la propria identità.
«Siamo Lorenzo e Agnese Rizzo. Nipoti di
Renato Rizzo. Saponieri dal 1920. Questo siamo».
Sebbene il suo comportamento sia umano, diabolico è restare in quella condizione, fino a spersonalizzarsi Ciò che gli altri commettono alle nostre spalle è fuori controllo: non ci si può difendere, nè opporre. In ogni caso, dimenticare le faide e condurre una vita felice, rimane sempre il più bello dei trionfi.
"Credo che Dio il settimo giorno non sia andato in vacanza ma abbia inventato i nonni. E, accorgendosi che si trattava della più geniale delle sue creazioni, si sia preso una giornata libera per trascorrerla con loro".
Ai miei nonni con immenso amore
a mio fratello Luca, che manca
Rossana