Un’autrice davvero moderna sotto ogni punto di vista.
Costretta dalle convenzioni, ma ribelle e libera nel pensiero, denuncia
ingiustizie e rivendica diritti che ai suoi giorni quasi nessuno si sognava di
prendere in considerazione. Le sue protagoniste scelgono con fatica ma senza
calcolo né convenienza. Persino quando tutto sembra perduto la loro caparbietà
le premia: uno scorcio rosa impone sempre il lieto fine. Del resto, non è
possibile che, dopo aver inseguito le proprie paladine per centinaia di pagine,
il lettore resti deluso da una sconfitta.
Elinor Dashwood, Elizabeth Bennet, Fanny
Price, Catherine Morland e Anne Elliot sono spesso descritte come delle eroine dalla Austen
stessa. Non credo che oggi si userebbe lo stesso epiteto nei loro confronti,
perché così tanto è stato raggiunto che si dà per scontata la conquista di
spazi e diritti da parte del genere femminile. Così pare, ma non è. La
geografia del mondo ci offre una lunga lista di luoghi e sistemi in cui il
principio di eguaglianza è assente; persino il mercato del lavoro occidentale
rivela clamorose differenze di trattamento tra i generi.
In ogni Stato, regione e continente, a nord, sud, est e
ovest, per una donna affermarsi e scegliere come vivere senza alcun
condizionamento esige forza e coraggio. Restare o lasciare non è mai facile.
Non è facile uscire da situazioni in cui si è infelici. Non è facile crescere
dei figli e perseguire una sacrosanta realizzazione. Neppure è facile scegliere
di restare se stessi senza dover rendere conto a nessuno.
Ecco la modernità di questa scrittrice, che parla di principi universali e che vanno anche oltre i generi. Ogni essere umano che ha il coraggio di vivere come vuole, nel rispetto di tutti ma soprattutto riconoscendo la propria natura, è un personaggio eroico. Ecco perché, a dispetto dei duecento e passa anni che ci separano dalle stesure dei romanzi di Austen, ogni lettura è una lezione.
In Persuasione Anne Elliot, da giovane, si lascia
convincere dalla famiglia e da un’amica matura a rinunciare a sposare Frederick
Wentworth, considerato troppo poco per lei. Otto anni dopo, quando lo rivede
ormai affermato e distante, capisce che quella rinuncia è stato l’errore più
grande della sua vita.
“Aveva rinunciato a lui per dare retta agli
altri, aveva ceduto a un eccesso di persuasione. Si era trattato di debolezza e
insicurezza.”
“Ahimè! Nonostante questi ragionamenti, si rese conto che per chi non sa
dimenticare i sentimenti otto anni sono poco più di niente.”
Nel caso di Anne, i familiari non hanno per nulla a cuore
la sua felicità. Non la vedono, se non in funzione della soddisfazione dei
propri bisogni. Prendono senza dare nulla in cambio. La persuasione qui è
descritta come manipolazione dell’altro, ai fini della soddisfazione del
proprio interesse. È molto irritante questo atteggiamento. No?
“Era stata costretta alla prudenza in
gioventù; aveva imparato il romanticismo crescendo: la conseguenza naturale di
un inizio innaturale.”
La protagonista rinuncia a se stessa in nome di ideali
non suoi, basati sulle valutazioni delle persone di cui si fida. Allora, di chi
ci possiamo veramente fidare? Non è sempre possibile decidere con lucidità,
soprattutto se le emozioni sono più forti e la posta in gioco è particolarmente
alta.
Chi vuole che l’altro sia davvero felice lo fa
anche a proprio svantaggio, magari lasciandolo andare quando lo vorrebbe
trattenere.
Forse il punto è proprio questo: nessuno dovrebbe convincere qualcun altro a fare o non fare qualcosa. A volte basta restare accanto in empatico silenzio: esserci comunque vadano le cose. E se proprio si deve sbagliare, avere almeno la consolazione di esserne gli unici responsabili.
«La libertà non è fare quello che si vuole.
Neanche l’uomo più ricco del mondo può fare quello che vuole. Ci sarà sempre il
sole, l’ombra, il freddo ad obbligarlo a fare qualcosa di diverso. La vera
libertà è essere se stessi, coltivare e mostrare al mondo quello che si è
davvero.» (Fabrizio Caramagna)

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