Il Kintsugi è una tecnica giapponese che ripara le crepe
della ceramica con una lacca dorata. Dal Paese del Sol Levante la conoscenza di
questa pratica si sta diffondendo anche in Europa e sovente se ne sente parlare.
Del metodo mi attrae non solo il fatto di aggiustare qualcosa che è rotto, bensì la
possibilità di conservare il vecchio, rendendolo nuovo e accrescendone il valore.
Proprio mentre mi domandavo in quali situazioni si possa
ricorrere a tale procedura, sono incappata nel libro “Kinstugi. Ripara le
ferite dell’anima e rendi prezioso ogni istante della tua vita”. Per riuscire a
rimettere insieme i nostri frammenti staccati o riempire i buchi lasciati dalle
fratture, inevitabilmente bisogna affrontare qualche battaglia.
L’autrice mi
sorprende favorevolmente, perché tocca i temi che più mi interessano e ai quali
già con precedenti letture avevo prestato attenzione: in particolare, la prima
di tutte le sfide, imparare a stare in pena, quando arriva il disagio, sopportarlo senza
scappare né lamentarsi.
“Qualsiasi dolore,
fisico o psicologico, non ha lo scopo di farci soffrire ma di scuotere l’anima
dal suo torpore e di chiamarci a un viaggio iniziatico … lo sa chi, in seguito
alla perdita di un lavoro, a un fallimento o a un matrimonio sbagliato, ha
compiuto il grande viaggio … e ha trovato in sé la forza e la resilienza che lo
hanno riportato alla vita con una libertà tutta nuova”.
Accogliere una grande sofferenza, capace di affliggerci e fagocitarci in un angoscioso abisso, significa dare
rifugio a una parte di noi, un io belligerante, che oppone la più cieca resistenza
e che, usando il dolore come unico strumento per farsi ascoltare, rumorosamente
protesta. In suo e nostro soccorso, il testo propone diverse meditazioni. La mia
preferita è quella del torrente impetuoso, che prevede, dopo aver individuato
il punto in cui sentiamo maggiore tormento, di visualizzare la ferita
rimarginata attraverso l’energico scorrere di un flusso dorato.
In una società ipertecnologica, che aspira insistentemente
ad una perfezione che non ci corrisponde, facilmente avvertiamo frustrazione e
il senso di essere difettosi, mancanti, incompleti.
“Siamo stati
progettati per romperci innumerevoli volte, perché è proprio da queste rotture
che procede la nostra spinta a evolvere, a trovare soluzioni, a pensare a ciò
che fino a quel momento non era ancora stato pensato”.
Del resto, ogni cosa che si ripara è per eccellenza
imperfetta. Mi tornano alla mente alcuni rammendi che faceva mia nonna, come
ero felice quando mi rattoppava la biancheria e quanto ero orgogliosa
di quelle grosse cuciture su lenzuola e tovaglie.
La riparazione implica un passaggio da uno stato ad un
altro, pur nella conservazione della propria identità. Per accedere al
cambiamento e possibilmente alla crescita non penso si debba sistemare per
forza ogni aspetto dell'esistenza o della persona. Ci sono vuoti che non si possono
riempire e parti storte che non si possono raddrizzare. Nell’elogio dell’imperfezione
allora mi permetto di aggiungere anche la libertà di non dover obbligatoriamente sistemare tutto.
Se pensiamo ai traumi, ai lutti, ai dispiaceri, alla maniera in cui la vita ci mette alla prova, ognuno di noi è un vaso ricomposto. Il numero dei pezzi in cui ci possiamo frantumare dipende dalle singole sensibilità, da quanto siamo scalfibili: tutti siamo frangibili in qualche posto e, alla fine, la differenza tra un individuo e l’altro sta nella quantità dei cocci, nella profondità delle crepe. Riunire i brandelli o riempire le fessure con l’oro significa diventare arte, dare somma dignità alle proprie cicatrici, esibirle con lo stesso orgoglio con cui si mostrerebbe un gioiello prezioso… Significa uscire a testa alta per strada e dire al mondo: Eccomi. Sono io, sono vecchio e sono nuovo, sono un puzzle ricomposto... nondimeno sono intero. Il cuore è integro, l’anima è sanata ... Io sono un autentico Kintsugi!
“Il tuo cuore fragile diventerà il tuo più grande
spirito guardiano” mi disse Oda “ti proteggerà per sempre”.
NOTA: Nella fotografia in alto, accanto al libro un portacenere acquistato 25 anni fa, durante il viaggio di nozze... posacenere compagno di numerosi traslochi, caduto, rotto e incollato...proprio come il matrimonio che rappresenta.
Targa realizzata da mia madre Ginetta Garutti con il Kintsugi |
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