L’opera consta di tre avvincenti volumi: il primo
copre l’arco cronologico dal 1939 al 1948, il secondo quello dal ’52 al ’65 e
l’ultimo va dal ’65 al ’78.
Nonostante la narrazione sia attraversata da
numerosi personaggi, i principali interpreti delle vicende sono Bianca, i fatti e il modo in cui il destino si compie nella sua vita di
bambina e di donna. La lettura è coinvolgente, il pregio è quello di collocare
magistralmente gli esseri umani nelle diverse epoche e di mostracele senza
nemmeno il bisogno di chiudere gli occhi. Senza chiudere gli occhi lo
spettatore partecipa delle leggi razziali nella loro fase più ipocrita e silenziosa, assiste sbalordito alla fuga dei civili dalle città, alla lotta per
la sopravvivenza nelle campagne, il suo sguardo cerca riparo tra i muri
sventrati dai bombardamenti.
«Ida e Giovanna restarono mute. Udirono il rumore
lontano di un aereo che fece risalire come un conato la paura sorda,
appiccicata addosso come un ricordo ancestrale; La paura del momento in cui
tutto quel barcamenarsi in una pretesa di normalità si sbriciolava sotto le
bombe di una guerra vera, e svelava, sotto le macerie delle case e degli
affetti, la carnalità dell’istinto animale di sopravvivenza»
Una mano invisibile esce dalle pagine e trascina il
lettore all’interno delle vicende.
Si tratta di trentanove anni in cui tutto accade e
tutto si trasforma: diritto, società, etica, libertà e lavoro, ogni cosa evolve
attraverso passaggi che impongono sacrifici individuali e collettivi. Tra i
numerosi temi di cui si potrebbe parlare, quello dell’emancipazione femminile è
la luce del racconto: la storia la fanno le donne del romanzo e non gli uomini.
Questi ultimi semmai partecipano con i loro difetti e le loro virtù. Quasi
nessuna delle figure femminili può dirsi sbagliata, poiché ognuna contribuisce
alla crescita di una comune coscienza. Persino un personaggio limitato e
sottomesso come la zia Augusta consente a Bianca di scegliere fin da piccola
chi o cosa non essere da grande. Allo stesso modo, la signora Elvira, che le
insegna a ricamare, è la prima, tra le donne incontrate dalla giovane, a
ribellarsi alla mentalità patriarcale, che sistematicamente sottometteva le
femmine nel contesto famigliare e le relegava ai margini della vita sociale.
«Hai le idee chiare, piccola Bianca» le diceva
Elvira senza condiscendenza. «Ma quando metti il tuo destino nelle mani di
un’altra persona, non sei più libera. Forse puoi sentirti al sicuro, ma come le
bestie nella stalla, che hanno sempre un padrone che chiude il cancello la sera
e lo riapre la mattina».
«Allora» disse infine Bianca «diventerò una
principessa anche senza un principe».
Bianca prende il meglio e lo fa suo, si nutre del
tanto o del poco che la vita le offre e ne fa tesoro, mettendo ogni lezione in
quel bagaglio che sarà la chiave del suo successo di donna.
La vicenda mi lascia senza parole quando, nel
secondo libro, scopro che la protagonista e lo sposo emigrano in Svizzera,
proprio qui a Sangallo, la località in cui io stessa risiedo da oltre sedici
anni. L’autrice restituisce molto bene le immagini dei luoghi, della società e
le difficoltà degli italiani che si trasferivano all’estero per svolgere lavori
di fatica, guardati con cipiglio dalla gente del posto. Ogni tanto io quello
sguardo lo riconosco ancora. Dappertutto, in
ogni Paese, c’è un «noi» di cui
io, tu, lei, lui, voi, loro non fanno parte sulla base di un confronto che
verte esclusivamente sulla provenienza.
«Bisogna ignorarle, quelle signore là, e i loro
commenti stupidi. Quelle là si farebbero ammazzare piuttosto che vedere i figli
diventare operai. E ci guardano dall’alto in basso se siamo vestiti da lavoro e
ancora peggio quando siamo vestiti da festa. Ma quando salgono in treno si
riempiono la bocca dei prodigi della tecnica svizzera e fanno finta di non
sapere chi li fa, veramente, quei prodigi. Siamo noi a farli, mica loro! Noi,
che non abbiamo paura di bagnarci la camicia. Noi, che viviamo in baracche luride
per spendere il meno possibile e mandare i soldi a casa. Noi, che ci spacchiamo
la schiena ma non molliamo per non perdere il contratto».
Nonostante la
presenza di una madre amorevole, Bianca fa esperienza fin da piccola dell’abbandono,
della separazione, della perdita improvvisa e ingiustificata dei suoi punti di
riferimento. Effettivamente, il romanzo è perfetto nel descrivere l’imperfezione
della vita reale con i colpi di scena che il destino ha in serbo per noi. Bianca
riconosce il bene e lo persegue, pur mantenendo sempre alta la guardia. I rapporti
affettuosi con le persone care danno luogo ad una parentela dell’anima in cui l’amicizia
si trasforma nella migliore delle famiglie.
L’intera vicissitudine
di Bianca insegna, al di là dell’imprevedibilità dell’esistenza e delle brutture
dei tempi, a dare il proprio meglio qualsiasi cosa accada e, se necessario, a
ricominciare tutto da capo, perché in fondo non si riparte mai veramente da
zero.
«Ogni passo porta al successivo. Si può solo andare
avanti. Né i rimpianti né l’invidia per la fortuna altrui ci daranno una
seconda opportunità».
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