venerdì, ottobre 04, 2024

DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

 


Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insieme al padre Giuseppe il saponificio di famiglia, fondato dai nonni, prematuramente scomparsi in un incidente stradale. Fin da piccoli i ragazzi ci lavorano con grande passione, senza risparmiare alcuna energia; il loro destino sembra già scritto e deciso, finché Giuseppe, all'insaputa dei figli, vende la fabbrica al concorrente Colella, un imprenditore squallido e gretto. Senza preavviso, dalla sera alla mattina, fratello e sorella perdono tutto. I due protagonisti fronteggiano la situazione facendo rispettivamente scelte opposte; tanto inattese da creare una frattura profondissima nel loro rapporto.

«Quelle mura in conci di pietra e quei soffitti alti per lui e Agnese avevano da sempre significato casa: ci avevano trascorso l’infanzia, giocando a rincorrersi tra le grosse caldaie a vapore e le vasche di raffreddamento, finché un pomeriggio nonno Renato non li aveva fatti andare nel suo ufficio e aveva detto: un giorno toccherà a voi prendere le redini della fabbrica. Lorenzo aveva annuito e gli aveva promesso che mai, per nessuna ragione al mondo, l’avrebbe deluso».

Di fatto, gli eventi traumatici trasformano in maniera drastica l’animo chi li subisce. La vendita del saponificio traccia per i giovani la linea di confine tra gioventù e maturità. La vicenda invita a riflettere rispetto al modo in cui le persone rispondono ai soprusi. Nel caso dei protagonisti si presentano due varianti: restare per cambiare le cose dall’interno oppure andarsene, covando nella rabbia la vendetta.

«Lorenzo rimase a fissare suo padre, con uno sguardo carico d’odio. Quelle quattro parole – Ho venduto la fabbrica – gli avevano strappato via il cuore».

Agnese si adatta alla situazione senza omologarsi. Con pazienza e nella volontà di tenere viva la memoria dei nonni, resta a lavorare per il nuovo proprietario.

«… diventò all’improvviso pensierosa. “No”, disse poi, decisa. Non esiste una persona che possa rendermi più felice di quando sto al saponificio. Impossibile».

La giovane sopporta la scomoda condizione di subalterna e tollera i continui rimproveri senza battere ciglio; si lascia scivolare tutto addosso perché ha una missione da compiere. Benché nella prima parte della storia sembri l’anello debole all'ombra del fratello maggiore, lei si rivela invece tenace, forte e intraprendente. Pur soffrendo in silenzio, stringe i denti: senza lamentarsi se ne fa una ragione per risorgere. Vola sul posto … un Colibrì al femminile, proprio come Marco Carrera dell’omonimo romanzo di Sandro Veronesi.

Lorenzo, al contrario, come se gli fosse scoppiata una bomba dentro, si dispera e oppone fiera resistenza alla nuova realtà. Non potendo accettare decisioni prese da altri e sulle quali egli non ha alcun controllo, lascia andare la genuina freschezza del ragazzo per fare posto a un adulto scaltro e calcolatore. Il problema è che, siccome il cuore gli è rimasto buono, il costo di questa metamorfosi è altissimo. Accecato dalla rabbia, sordo all’ascolto di qualsiasi argomentazione, fa della propria rivincita il principale scopo di vita. 

«Non vivere una vita che non ti appartiene, perché prima o poi ti presenterà il conto. E lo pagherai in infelicità».

L’autrice descrive due persone affini e complementari che si perdono. Si percepisce tuttavia che l’affetto mai viene meno. La protagonista femminile ha l’intelligenza di ascoltarsi e di riconoscere nella nostalgia la necessità di fare dei tentativi per riavvicinarsi al fratello. 

Fino a che punto vale la pena di distruggere delle relazioni per orgoglio? Che senso ha rovinarsi l’esistenza a causa del comportamento di qualcuno che non siamo noi?

Saper accettare le decisioni di coloro a cui si vuole bene, seppure in totale disaccordo con i propri principi, richiede uno sforzo colossale ma è anche segno di magnanimità. Il perdono in fondo è questo: sacrificare se stessi per qualcosa di superiore. 

Lorenzo non può perdonare ad Agnese il fatto di essere rimasta a lavorare al servizio di Colella e di avere continuato a vivere nella casa di chi gli ha strappato il cuore. Egli si identifica in un intero sistema di valori che viene ignorato e distrutto. Come si fa a non dargli torto? Perdendo il saponificio, lui perde la propria identità.

«Siamo Lorenzo e Agnese Rizzo. Nipoti di Renato Rizzo. Saponieri dal 1920. Questo siamo».

Sebbene il suo comportamento sia umano, diabolico è restare in quella condizione, fino a spersonalizzarsi Ciò che gli altri commettono alle nostre spalle è fuori controllo: non ci si può difendere, nè opporre. In ogni caso, dimenticare le faide e condurre una vita felice, rimane sempre il più bello dei trionfi.

Deus ex machina della vicenda sono i nonni. Queste figure mitiche, fiabesche, mitologiche salvano l'infanzia dei nipoti e trasmettono le lezioni più preziose. Per difetto anagrafico le loro esistenze si interrompono prima di quelle dei figli e dei figli deli loro figli. Tuttavia, sono dotati della perfezione dell'eternità: il loro amore non finisce mai.


"Credo che Dio il settimo giorno non sia andato in vacanza ma abbia inventato i nonni. E, accorgendosi che si trattava della più geniale delle sue creazioni, si sia preso una giornata libera per trascorrerla con loro". 

FAUSTO BRIZZI


Ai miei nonni con immenso amore

a mio fratello Luca, che manca

Rossana 

 


venerdì, settembre 27, 2024

La parola MAGICA di Paolo Borzacchiello

 


Nel corso di un originalissimo contradditorio con Dio, gli arcangeli e Lucifero, Paolo Borzacchiello elabora un prezioso compendio di riflessioni con cui il lettore istintivamente riesamina la propria maniera di pensare.

«Puoi sentirti bene ed essere sicuro di te quali siano il tuo peso, il colore dei tuoi capelli, i tuoi lineamenti. Stare bene con te stesso non dipende da come sei, ma da come pensi di essere».

Semplice, efficace … eppure, c’è tutto un mondo da esplorare. Si passa la vita intera a cercare di far coincidere la propria immagine con una realtà che raramente appaga e corrisponde. Quell’idea di sé è già un primo pregiudizio, cui si aggiunge una lunga lista di aspettative e visioni fuorvianti. Fondamentale è il MODO: il modo in cui si pensa, il modo in cui ci si sente, si parla… e ancora il modo in cui si guarda e si percepisce ogni cosa.

«Ho capito che è tutto nella tua testa, che le cose sono solo cose, che una rosa è una rosa, e che ogni tipo di sensazione è determinata non da ciò che ti succede intorno ma dal modo in cui ci pensi».

Alcuni meccanismi del nostro cervello sono davvero perversi; ci si abitua a ragionare secondo schemi predefiniti, controproducenti e inefficaci, che regolarmente pregiudicano serenità e salute. La buona notizia è che tutto può essere corretto e cambiato. Da bravo mago, l’autore suggerisce delle strategie con le quali è possibile fregare la mente, prima che sia lei a fregare noi con il consueto boicottaggio. Basta metterci una buona parola.

«Ripeti cose belle che ti fanno stare bene, così almeno crederai a quelle, e in pochissimo tempo il tuo cervello le considererà vere».

A dire il vero, educare il nostro pensiero al bello richiede un grandissimo impegno: non basta dire che le cose sono splendide perché brillino; ma se pensiamo all’intensità di una luce riflessa, proviamo allora a immaginare gli effetti del nostro personale raggio luminoso sulla realtà esterna. Cambiando l’attitudine, l’approccio, il linguaggio, abbiamo il potere di migliorare ciascun elemento del nostro piccolo universo.

«Mentre continui a muoverti al di sotto della città cosciente, che per me è molto simile a un cervello impazzito di luci e neuroni chiassosi, puoi imparare moltissime cose: che puoi raggiungere qualsiasi luogo, purché tu abbia ben chiara la destinazione … che puoi raggiungere la stessa destinazione percorrendo strade diverse e che se ti capita di prendere il treno sbagliato o di sbagliare direzione, ti basta scendere alla prossima fermata e cambiare strada, perché, lì sotto, tutto è semplice».

Viene proprio voglia di crederci. Lasciando andare alcune vecchie convinzioni, si scoprono scenari diversi, aperti su nuovi orizzonti. Ecco un’altra buona notizia: è previsto l'errore, ci possiamo perdere, possiamo commettere passi falsi, senza che questo ci impedisca di terminare l'impresa. Sono proprio gli sbagli a redigere il manuale delle istruzioni del progresso.

Accantonati gli scherzi della mente, cambiato il metodo e focalizzato l’obiettivo, la checklist della felicità prevede ancora un importantissimo passaggio. Poiché gli esseri umani facilmente perdono le staffe in situazioni di conflitto, è fondamentale gestire la collera e apprendere l’arte del controllo.

«Se perdi la testa, poi la gente ha potere su di te, perché chi si agita perde e quando sei calmo e tranquillo allora vinci. Arrabbiarsi, di fatto, è conferire ad altri il potere di decidere come tu ti senti».

Dopo aver perso la pazienza, ci si sente a disagio. Spesso bisogna ammettere di essere passati dalla parte del torto non per gli argomenti, ma per i modi. Se penso alle volte in cui mi sono sentita forte, sono state proprio quelle in cui sono riuscita a non trascendere. Affinché tale condotta diventi un’abitudine virtuosa, è basilare ricorrere alla pratica umana per eccellenza più facile e naturale: il respiro.

«Mentre respiri ti rilassi e mentre ti rilassi diventa tutto più chiaro. Sei più consapevole … Hai il controllo del tuo respiro».

Per alludere ad uno stato d’animo infuriato, in diverse lingue si usa l’espressione “vedere rosso”, rot sehen, see red, voir rouge... In effetti, come se fossimo fermi ad un semaforo, nella rabbia restiamo paralizzati, incapaci di vedere la realtà per quello che è. Passando dall’inspirazione profonda all’espirazione, attraversiamo velocemente quell’incrocio pericoloso e riprendiamo il controllo sui nostri pensieri e sulle nostre azioni.

«È sufficiente che respiri con il diaframma, che ti ripeti una parola che ti calma e che ascolti per un attimo solo il battito del tuo cuore. In questo modo, letteralmente, stacchi il cervello dal circuito di reazione e ne controlli i movimenti».

Nel caso di Paolo Borzacchiello la parola magica è ABRACADABRA. Certo, è un’espressione bellissima e confesso di averla presa in prestito qualche volta… ma ce ne sono molte altre, belle, musicali, di sicuro effetto nello sciogliere l’incantesimo delle brutte energie. I termini che ci fanno felici, sono tutti magici. Pertanto, che si tratti di un parente ostico, di un capo opprimente, di una persona prepotente o di una palese ingiustizia … inspirare, espirare una due tre volte, e poi …ABRACADABRA💫. 

«Sei tu che crei, giorno dopo giorno, il tuo personale inferno o il tuo personale paradiso». P. Borzacchiello 



giovedì, settembre 26, 2024

LIMONOV di Emmanuel Carrère

 

Emmanuel Carrère descrive la vita dello scrittore russo Eduard Limonov. Benché questa biografia non mi sia piaciuta per niente, ho deciso comunque di elaborarne un commento. In fondo, è importante ragionare anche sulle cose che ci disturbano o che ci fanno sentire scomodi.

La Treccani sul personaggio in questione afferma: Personalità sovversiva e policentrica, resa nota al pubblico occidentale dalla biografia Limonov (2011; trad. it. 2012) di E. Carrère, che ha contribuito alla costruzione del suo mito restituendolo alla storia nelle sfaccettate e contraddittorie immagini di poeta spiritato e teppista di strada…

Giammai potrei parlare di mito e non mi pare proprio che la descrizione di Carrère ci restituisca un eroe, piuttosto un opportunista pusillanime. Limonov persegue gloria e successo senza coltivare alcun talento. Ovunque vada, egli mira a raggiungere la notorietà attraverso lo sfruttamento di qualcosa o di qualcuno.

«… Ha scoperto che basta lavorare un poco ogni giorno, ma tutti i giorni, per essere certi di progredire e a questa disciplina resterà fedele tutta la vita. Ha anche scoperto che in una poesia non è il caso di parlare di “cielo blu” perché tutti sanno che il cielo è blu…così si fabbrica uno stile che lo rende a suo giudizio non un grande poeta ma almeno un poeta riconoscibile».

Di questo passo condivido la necessità di una scrittura che contraddistingua ogni singolo autore dagli altri. Tuttavia, dubito che si possa progredire lavorando poco. Detto così, pare l’apoteosi della mediocrità; non è forse associando al lavoro la dedizione e il sacrificio che l’arte aspira alla grandezza?

«Malgrado il suo gusto per la ribellione e il suo disprezzo per il destino mediocre dei genitori, è rimasto loro figlio: il figlio di un ufficiale … Quando sente parlare di gulag pensa sinceramente che si esageri, e che gli intellettuali che li denunciano facciano tante storie per qualcosa che i delinquenti prendono con più filosofia».

Insofferente verso tutto, Eduard pare essere incapace di distinguere il bene dal male. Tra i tanti valori che egli ignora vi è la conoscenza della verità storica. Analogamente a quello nei confronti della Shoah, anche il suo negazionismo è scandaloso: offensivo e irriverente nei confronti delle vittime dei campi di concentramento staliniani. 

(Sul tema tema dei gulag https://ilviaggioseitu.blogspot.com/2024/03/avevano-spento-anche-la-luna-di-ruta.html).

«L’unica vita degna di lui è quella dell’eroe; lui vuole che il mondo intero lo ammiri e pensa che ogni altro criterio, una vita famigliare tranquilla e armoniosa, i piaceri semplici, il giardino coltivato al riparo degli sguardi, siano autogiustificazioni da falliti».

Approfittandosi di persone e situazioni, il protagonista persegue la fama in modo spasmodico.  Se le carenze genitoriali e la trascuratezza emotiva durante l’infanzia possono giustificare il bisogno di essere visto, il disprezzo delle piccole cose mette in luce tutta la sua adulta irrisolutezza. Nonostante conduca un'esistenza avventurosa e ricca di colpi di scena, manca in lui un processo di crescita. 

Limonov non coltiva relazioni autentiche, né affetti stabili e duraturi. Si lega a delle donne che lascia o da cui si fa lasciare; persino la compagna che lo assiste negli anni del carcere viene sostituita da un'altra più giovane amante.

Durante la guerra nella ex Jugoslavia egli afferma: “la neutralità fa rima con viltà”; pur attribuendo delle responsabilità ad ognuno dei popoli in conflitto, decide di combattere al fianco dei serbi.

«La verità che nessuno osa dire è che la guerra è un piacere, il più grande dei piaceri, altrimenti finirebbe subito. La guerra è come l’eroina: provata una volta, non si può farne a meno … In realtà, pace e guerra sono come lo yin e lo yang: sono necessarie entrambe».

Attraverso l’anima nera di Limonov, Emmanuel Carrère ci descrive un essere umano cinico e impietoso. Non ho mai creduto al concetto per cui, secondo la legge degli opposti, senza il male non esisterebbe il bene. A dispetto del triste tempo in cui viviamo, se dalla faccia della terra sparisse quel dannato sciame di spiriti iracondi, bramosi e briganti, staremmo tutti meglio anzi benissimo.

La lettura di questa biografia mi ha insegnato a riconoscere il valore come termine di confronto tra me e gli altri. L’irritazione nei confronti del protagonista altro non è che il rifiuto verso tutto ciò che desidero tenere lontano e che Eduard splendidamente identifica. Se anche cercassi di spiegargli la mia visione del mondo, quella del giardinetto coltivato e dei piaceri semplici, non la capirebbe: è inutile discutere con persone che hanno ideologie, valori(o dis-valori?) diametralmente opposti; non abbiamo il compito di convincere l'intera umanità in merito alla bontà dei nostri principi. Nondimeno, abbiamo la possibilità di scegliere se essere o non essere amici di un Limonov qualsiasi.

Ognuno vale quanto le cose a cui dà importanza. Marco Aurelio

GRAZIE GIUSEPPE!

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì, agosto 16, 2024

LA PORTALETTERE di FRANCESCA GIANNONE



Un romanzo imperdibile, dotato di una straordinaria forza narrativa, tale da immergere completamente il pubblico all’interno della vicenda. Tra i muri delle case di Lizzanello, nelle vigne o nelle stanze dell’ufficio postale, di pagina in pagina, la lettura avvince e convince.

La portalettere spicca con una personalità forte e incredibilmente moderna nel contesto storico degli anni trenta, quaranta e primi anni cinquanta. La necessità e l’urgenza di muoversi le consentono di operare delle scelte senza paura ed oltre ogni dubbio. Pertanto, che si tratti di indossare dei pantaloni, di scegliere una professione maschile, di bere un caffè corretto grappa di prima mattina o di lottare per l’emancipazione femminile, il problema del coraggio, lei, neppure se lo pone. Anna semplicemente è, e di conseguenza agisce. Questo fa la differenza tra i protagonisti e le comparse.

Antonio sfogliò il libro finché non trovò la pagina che stava cercando. «Ecco qui.» E prese a leggere con voce calma: «Mi tormentava allora un’altra circostanza, il fatto che nessuno mi somigliava e io non somigliavo a nessuno. Io sono solo e loro sono tutti». Poi richiuse il libro e fissò Anna.

La postina rappresenta la prova incontrovertibile di come sia la determinazione del singolo a porre in essere il cambiamento. Siamo noi e soltanto noi a credere nella bontà dei principi che ci guidano in un dato momento.

«… Non esistono portalettere donna.» «Finora», disse Anna.

Nell’ottobre del 1944, aveva letto sul giornale l’appello dell’Unione Donne Italiane, che a Roma avevano fondato il comitato pro voto in vista delle elezioni amministrative del 1946… Così aveva preso un fascio di fogli bianchi e, su uno di questi, aveva ricopiato, nella sua grafia tonda e aggraziata, il testo della petizione che l’UDI invitava a far firmare a tutte le donne in ogni comune.

Basterebbe che ognuno si occupasse dei fatti propri, senza giudicare o disturbare chi sta cercando di fare qualcosa di diverso. L’individuo che rivendica la libertà di non omologarsi, di seguire se stesso senza il bisogno del plauso sociale, risulta strano agli occhi dei più. Allora meglio la stranezza: meglio non somigliare a nessuno che perdersi in un anonimo marasma.

I due vecchietti erano sempre lì, seduti allo stesso tavolino, come se fossero sagome di cartone che Nando riponeva nel ripostiglio a fine giornata e tirava fuori ogni mattina prima dell’apertura.

Il villaggio che spia e spettegola, seduto ai tavoli del bar o nascosto dietro ai vetri delle case, è rappresentato da una massa informe e sbiadita. Benché non tutti abbiano le stesse idee, magicamente si accordano quando si presenta l’occasione di criticare chi si discosta dalle opinioni correnti. La straniera è il soprannome che la gente di Lizzanello attribuisce ad Anna. Del resto non è forse questa l’ignoranza? Mi viene in mente la frequenza con la quale qualcuno, contrapponendosi a me come migrante, mi ripeteva “da noi… da noi… da noi…”. Tanto che una volta chiesi: “Da noi chi? Da noi voi o da noi noi?”. La controparte sorrise confusa.

Poi, a tu per tu con se stessa, ciascuna di quelle figurine di cartone, non può fare a meno di ammettere l’onestà della postina, peraltro già bene descritta dalle conseguenze delle sue azioni. Dopo tutto, con i necessari tempi, la stima dei compaesani cresce.

Un altro importantissimo protagonista, intorno al quale incessantemente ruotano storie e persone, è il segreto. Il non detto viene declinato in tutte le sue forme: paternità nascoste, tradimenti, amori clandestini o irrealizzabili. La scrittrice ha il talento di mostrare la forza e la fragilità dei suoi personaggi, attraverso il modo in cui questi rinunciano ad una grande passione o vi si abbandonano senza freni.

La finzione narrativa rispecchia la realtà e, inevitabilmente, induce a riflettere sugli interpreti del romanzo. Alcuni spiccano per immaturità emotiva, altri si distinguono in virtù. La linea di confine tra fedeltà e tradimento è la stessa di ogni tempo: a contrapporre i singoli sono valori diametralmente opposti. Taluni tradiscono impunemente, altri custodiscono in sé meravigliosi giardini, curati e nutriti nonostante lo struggimento di un cuore eternamente sospeso. Oltre al tormento dell'irraggiungibilità, anche lo scherno di un destino che gli amori impossibili li fa durare per sempre.

…Poco prima, al bar, Antonio le aveva prestato la sua copia di un romanzo che s’intitolava Tempo di uccidere, scritto da un certo Ennio Flaiano, un autore che Anna non aveva mai sentito nominare. Aveva vinto da poco un premio letterario importante, le aveva spiegato Antonio. «Ci tengo che tu lo legga», aveva aggiunto. «Ho sottolineato delle frasi… Se ti va, sottolinea anche tu quelle che più ti colpiscono, e poi ne parliamo».

La meraviglia, lì e altrove, è quella di riuscire a trasformare tutto il patrimonio di sentimenti repressi in qualcosa di bello, che renda quell’amore degno di non essere vissuto.

 

''Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo''.

 J. L. Borges

sabato, agosto 03, 2024

LA BIBLIOTECA DI MEZZANOTTE di MATT HAIG



Nora, in bilico tra la vita e la morte, ha la possibilità di entrare in una biblioteca contenente migliaia di libri verdi. In ciascuno di questi, la cronaca di tutte le sue vite possibili.

La narrazione sfida il lettore a interrogarsi sui se della propria esistenza. Il se non introduce una condizione ma un’ipotesi irreale. Come sarebbero andate le cose se … se fossimo nati in un altro luogo? Se avessimo avuto altri genitori? Se fossimo stati più coraggiosi, più consapevoli o meno insicuri? Nel periodo ipotetico dell’irrealtà si percepisce la nostalgia del rimpianto, di qualcosa che è già accaduto nel passato e che non si può cambiare.

«Tra la vita e la morte c’è una biblioteca» disse. «E all’interno di questa biblioteca, scaffali e scaffali di libri che si rincorrono all’infinito. Ogni libro offre la possibilità di vivere un’altra delle vite che avresti potuto vivere. Di vedere come le cose avrebbero potuto essere, se avessi fatto altre scelte… Avresti agito diversamente, se ti fosse stata concessa l’opportunità di gettarti alle spalle i rimpianti?».

Il tema nostalgico delle scelte non fatte mi riporta alla memoria lo scambio di figurine ai tempi delle elementari. Si confrontavano le proprie figure con quelle dei compagni e si diceva celo (ce l’ho) per le doppie e manca per le mancanti.

«Rimpiango di non essermi divertita abbastanza quando ero giovane». Celo

«Rimpiango di non aver imparato ad essere più felice». Celo

«Rimpiango di sentirmi costantemente in colpa». Manca 

«Rimpiango di non aver mai finito il romanzo che avevo cominciato a scrivere all’università». Manca

«Rimpiango di non riuscire ad essere una sorella migliore». Celo

«Qual è il tuo più grande rimpianto? Qual è la decisione che vorresti non aver preso? Qual è la vita che vorresti provare?».

La protagonista in effetti ne prova diverse ma nessuna di queste sembra corrisponderle. Di fatto, nessuno può scegliere sotto quale stella nascere. Rammaricarsi e desiderare altro è legittimo solo se si è fatto tesoro dei propri fallimenti. Se un individuo viene al mondo in determinate condizioni e in una particolare famiglia, la missione dovrà essere quella di provare e riprovare a rendere buona quella singola vita che gli è stata attribuita. Non importa come, non importa dove. I rimpianti come gli errori fanno parte del processo di crescita. L’unica decisione da compiangere è quella che, non essendo stata presa, ci ha fatto perdere l'occasione di apprendere ed evolvere.

Leggendo i testi contenuti negli scaffali della magica libreria, Nora attraversa le esistenze che avrebbe potuto vivere se... Dagli scenari più lontani e diversi tra loro ella osserva le molteplici trasformazioni della sua personalità. In alcuni contesti è più discreta e riservata, al contrario in altri è più risoluta e intraprendente. Viene da chiedersi cosa sia decisivo nel plasmare un essere umano: il carattere, la forza di volontà, la resilienza oppure l’ambiente da cui si proviene.

«Perché il primo problema che aveva causato Nora era stato quello di aver osato, in un certo senso, venire al mondo in un momento in cui il matrimonio dei suoi genitori era piuttosto fragile. Sua madre era caduta in depressione e suo padre si era consolato con grandi bicchieri di whisky».

Siccome nessuno può scegliersi in anticipo il luogo o l’ambito in cui nascere, mi pare ragionevole affidarsi più all’indole che al resto: alla fine è proprio questa a determinare il modo in cui si uscirà dalla cattiva sorte o si cavalcherà la fortuna. Tutti i cammini possono essere contemporaneamente giusti o sbagliati. Qualsiasi direzione si prenda e ovunque il sentiero ci conduca, a rendere quell’esperienza straordinaria è innanzi tutto il nostro sguardo.

È davvero una rivelazione scoprire che il luogo in cui vuoi andare è esattamente quello da cui volevi fuggire. Che la prigione non era il luogo in cui stavi, ma il punto di vista.

Una volta giunti alla meta, si realizza che anche il percorso non previsto, quello che ha allungato le distanze o consumato più energie, era parte fondamentale del viaggio. (Temo di aver detto una banalità ma ne sono convinta)

«Se il vostro obiettivo è diventare ciò che non siete, allora sarete destinati per sempre al fallimento. Aspirate ad essere voi stessi. Aspirate ad apparire e ad agire come voi stessi. Aspirate ad essere la versione più vera di voi. Sostenetela. Amatela. Lavorate duramente. E non perdete tempo con chi si prende gioco di lei o la ridicolizza. La maggior parte dei pettegolezzi non è che invidia mascherata. Voi tenete giù la testa. Aggrappatevi alla vostra tenacia. Continuate a nuotare…».

Eppure, se non ci fosse il fallimento, allora da dove si ripartirebbe? Come si può comprendere chi si è davvero, se non diventando anche ciò che non si è e da lì, rimettere insieme i pezzi per continuare a nuotare. Benché sia difficile accogliere i momenti difficili come un dono, la sfida è proprio quella di accettarli come una tappa necessaria alla realizzazione di qualcosa di più grande, che va ben oltre le prove della quotidianità.

Preso atto dei se nel passato, dei rimpianti e di ciò che non si può più correggere, l’unico strumento essenziale alla scrittura del futuro è la consapevolezza: la consapevolezza che, malgrado non si possa essere felici sempre, le cose che accadono ci dovranno pur portare da qualche parte. La consapevolezza di poter cambiare idea di tanto in tanto. La consapevolezza che non necessariamente il più grande impegno viene ricompensato con il migliore risultato e sebbene i premi abbiano una propria indecifrabile unità di misura del tempo, prima o poi arrivano. La consapevolezza che, al di là di come sarebbero andate le cose se … noi comunque ce la faremo.

Non dobbiamo fare tutto per essere tutto perché siamo già infinito. Mentre siamo vivi, conteniamo in noi un futuro di molteplici possibilità. E allora cerchiamo di essere gentili con le persone che ci troviamo accanto nella nostra vita. Di tanto in tanto alziamo lo sguardo dal luogo in cui siamo perché, in qualunque posto ci troviamo, il cielo sopra di noi si estende all’infinito.

 

 

 

 

martedì, luglio 30, 2024

MANNAGGIA LA CICOGNA ... ODE AL SALENTO


Alla mia nascita la cicogna si confuse. Disorientata dalle settentrionali nebbie di novembre, la creatura alata fece un atterraggio di fortuna al nord, mi depositò frettolosamente e se ne andò con sguardo perplesso. Fatalmente la natura ci riporta a noi stessi, ci rivela chi siamo davvero, come e dove esprimerlo. L’istinto riconosce nel nuovo qualcosa di familiare, abbracciando dei luoghi che ci fanno vibrare ad una più alta intensità, come se proprio lì una parte di noi da sempre attendesse il nostro ritorno, per ricongiungersi e tornare intera.


Nel momento in cui, dopo Lecce, l’automobile vira verso sud, percepisco il saluto del Salento nella campagna brulla, nell’aria calda e nei muretti interrotti, contornati dal blu di un cielo terso al limitare del mare. Questa terra si distingue dal resto di tutto, è un mondo autonomo, con la propria meravigliosa identità.

Il popolo è accogliente, spiritoso e ironico. Qualcuno si alza alle luci dell’alba per fare una nuotata ai primi raggi del giorno o semplicemente contemplare la bellezza dell’aurora da rive che si ergono su paradisi sommersi. Taluni sono contadini, altri pescatori. Hanno mani che parlano di fatica e sguardi che, pur raccontando una vita dura, fanno ancora caso alla felicità.


I paesi si raccolgono e rumoreggiano sulle piazze principali, come quando a Botrugno, il venerdì sera, si canta sotto alle campane, mentre Marco del Namastè prepara lo spiedo per tutti. Una donna indossa delle ali curiose che lampeggiano e incomincia a danzare, un altro si traveste e balla a modo suo quel ritmo in cui tutti si riconoscono. La pizzica è una musica che insegue, scappa e corteggia; saltando con vitale eleganza, di balzo in balzo gioiosamente sfugge alle insidie e ai pericoli dell’esistenza. In un tale allegro trambusto, io rido e canto senza imbarazzo. Mi sento libera e giusta proprio come chi, dopo essersi a lungo cercato, si ricongiunge a se stesso.



In questo territorio vivo e genuino come un vino dal sapore fruttato e robusto, ritrovo l’amicizia e l’affetto di una grande famiglia, premurosa e gentile, che mi accoglie come una figlia precipitata dal cielo del nord negli indimenticabili tramonti salentini, fatti di rosa, di arancio e di rosarancio.


Al nostro fraterno amico
Antonio Maggio
e alla sua famiglia
adorata e adorabile
un’altra volta
per mille volte 

Grazie 



 In Salento non sei circondato dallo spazio e dal tempo. Ma dall’intensità.(Fabrizio Caramagna)


mercoledì, giugno 12, 2024

L'INCREDIBILE ARITMETICA DI UN'AMICIZIA di Paola Brighenti

 

La vera amicizia si sublima ignorando qualsiasi differenza: età, condizione sociale, credo, lingua, colore, genere… così come anche l’appartenenza a una specie piuttosto che a un’altra. Di fronte alla meraviglia di due anime che si incontrano e si riconoscono affini, svanisce ogni categoria. Che sia pennuto, peloso, bipede o quadrupede, universale è il valore della connessione empatica. Nel romanzo di Paola Brighenti i protagonisti sono il cavallo Paco, purosangue con un glorioso passato ma sofferente a una zampa, e il giovane Dodo, studente discalculico. Si tratta di individui dotati di una sensibilità cosi straordinaria da riuscire a leggere i pensieri, ascoltare il silenzio e trovare in sé risorse sconosciute.

Paco è fornito di un superpotere, che lo connette direttamente all’animo di Dodo.

«Quando mi si avvicina un umano che in quel momento prova un’emozione forte o ha qualche problema oppure ricorda un episodio della sua vita, io lo percepisco “vedo” le immagini che gli passano per la testa. Il più delle volte non ne capisco perfettamente il significato, ma chiaramente capto gioie e dolori, paure o speranze».

Dodo, a sua volta, occupandosi dell’amico, si scopre forte e tenace. Le cure e le attenzioni profuse per la salvezza del cavallo oltre a ricompensarlo con un affetto ricambiato, gli restituiscono una visione di sé rivalutata, tale da trasmettergli fiducia e illuminarlo di nuova luce.

«Dopo la volta del salto della recinzione e delle coccole supplementari al mattino prestissimo, Dodo ha preso l’abitudine di venire a trovarmi, prima della scuola. Accade perfino che me lo veda arrivare durante la notte, per mettermi la coperta sulla groppa. Succede almeno cinque volte, durante il temporale, neanche sappia che a me tuoni e fulmini fanno paura. La coperta che mi appoggia sulla groppa riesce sempre a calmarmi e a farmi sentire al sicuro.
Comincio a capire cos’è l’amicizia.
Forse l’amicizia è prendersi cura l’uno dell’altro».

In virtù dell’incontro con Paco si genera un altro Dodo, più audace e coraggioso, in grado di affrontare le sfide della quotidianità con attitudine vincente. L’amicizia risveglia nel giovane un’inarrestabile grinta: il ragazzo che lotta per la salvezza del cavallo destinato al macello è lo stesso che, nonostante cadute e ricadute, prova e riprova a risolvere i suoi problemi con la matematica.

«Io non sono il mio errore».
Lo vedo entrare nella sua camera. Prende due fogli grandi e su uno scrive a lettere enormi “Paco non è la sua zampa malata” e sull’altro “Io non sono il mio errore”.

Il destriero infermo, voce narrante, è come un vecchio saggio che molto ha vissuto e galoppato. Pur amando la vita incondizionatamente, senza illusioni accetta la sorte che pare attenderlo. Eppure, nei suoi pensieri, egli si conserva un purosangue. Accoglie il dolore che lo affligge e un destino scritto da altri con la fermezza di chi, anziché disperarsi di fronte agli ostacoli, si ricorda della strada fatta fino a quel punto. 

«Ho capito finirò al macello…Non lo vorrei, con tutte le mie forze. Io amo la vita, la considero meravigliosa anche se ho male alla zampa, anche se vivo al freddo e non nel lusso di certe scuderie che sento nominare e pare esistano davvero, anche se non sono libero di scorrazzare nei campi come certi miei simili.
Non penso nemmeno che gli altri siano più fortunati di me: ognuno ha la sua dose di vantaggi e svantaggi. Io, in fondo, ho avuto una bella esistenza e penso di essere stato amato. Se non altro da Dodo».

Il legame tra i personaggi principali evolve e si trasforma. Paco impara a convivere con l’assenza del ragazzo, senza tuttavia perdere il desiderio e la speranza di rivederlo.

«Forse l’amicizia è anche questo: ascoltare l’altro e accettare di non essere sempre al centro dei suoi pensieri». 

La relazione tra i due protagonisti sopravvive alle difficoltà e alla distanza perché entrambi cambiano senza perdere il filo che li unisce.

«In pochi minuti dimentico giorni e giorni di lontananza, di nostalgia. È tornato il presente della nostra amicizia; sembra che ci siamo lasciati solo ieri e ritrovati dopo poche ore di separazione. I gesti sono quelli di sempre e le sue mani raccontano un affetto che non è cambiato.
L’amicizia è anche questo: rimanere legati nonostante il distacco». 

Il libro scorre leggero e piacevole, pur offrendo continuamente spunti di analisi e profonda riflessione. Entrambe le figure principali del racconto hanno una parte rotta, mancante o malfunzionante. Eppure, nell’intero arco della vicenda, perseguendo il reciproco bene, senza sosta splendono. Allora mi chiedo … non è possibile che ciò che chiamiamo connessione e che ci unisce agli altri esseri viventi, non sia proprio la ricerca di quella parte mancante?

Siamo tutti unici e diversi, eppure quando l’amore per un’altra creatura ci fa vibrare, diventiamo il mondo intero.


È solo per un eccesso di ridicola vanità 
che gli uomini si attribuiscono 
un’anima di specie diversa
da quella degli animali.                                                                        
Voltaire

domenica, giugno 02, 2024

SONO TORNATO PER TE di LORENZO MARONE

 

…Un romanzo molto diverso da quelli finora letti dello stesso autore. Il protagonista è sempre un singolo, circondato dalla propria società di appartenenza, ciò che cambia è l’epoca, il contesto storico che ci consente un doloroso ma necessario viaggio nel tempo.

Lo scenario di partenza è Vallo di Diano, una zona situata tra Campania e Basilicata, alla vigilia della seconda guerra mondiale. Questa prima fase della vicenda richiama fortemente alla memoria gli ambienti e le atmosfere descritte dal verismo. Lorenzo Marone, analogamente a Verga, descrive la vita semplice della povera gente, in cui gli umili lavorano duramente e subiscono le prevaricazioni dei potenti.

     -Galletta, dovresti saperlo, le leggi i padroni se le fanno da soli.

Cono, detto anche Galletta, contadino promesso sposo a Serenella, fa fronte alla fatica e alla miseria del luogo in cui vive, convinto di poter coronare un giorno il suo sogno d’amore con la compagna.

Quando tornerò ci sposeremo subito. Avremo una casa accogliente, tanti bambini, qualche buon amico che ci verrà a trovare, gli animali nella stalla e i frutti sugli alberi. Avremo da mangiare e da vestire e ce lo faremo bastare. Invecchieremo insieme, non smetteremo mai di ridere, e un domani la gente racconterà il nostro amore.

Benché il giovane sia in grado di superare gli ostacoli economici, la guerra imminente e la violenza del regime fascista interrompono bruscamente i suoi piani. Come un ingenuo reso esperto dagli eventi, Cono istintivamente si ribella e reagisce, recando a sé e ai suoi un irrimediabile danno.

Il mondo è un posto ingiusto, Cono, impara presto a capirlo, la terra ti ha insegnato a portare pazienza, non puoi lottare da solo contro tutti. Così come non puoi odiare il fuoco, allo stesso modo non puoi sfidare ciò che è ovunque, una forza più grande di te. Puoi solo seminare il tuo pezzo di terra e sperare di raccogliere i frutti. Non abbiamo potere che su poco, la nostra vita, in parte, e quella della nostra famiglia.

Dopo la partenza per il servizio militare, il protagonista viene fatto prigioniero dai nazisti e trasferito in un campo di concentramento. Si tratta delle deportazioni avvenute in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.  La quotidianità del lager è descritta con stupefacente realismo. All’autore va riconosciuto il merito di denunciare la crudeltà e la perfidia delle SS, dipingendo scene forti ma efficaci. Il lettore rabbrividisce di fronte alle efferatezze, ma ancora una volta prende atto. Come già avvenuto con letture, film, visite a musei o mirati percorsi storici … ancora una volta il pubblico si rende conto, ancora una volta si sorprende, soffre e si interroga su come tutto questo sia stato possibile. Ancora una volta si chiede come sia ammissibile OGGI questo orrore senza fine e senza senso che chiamiamo guerra.

A tenere vivo il ragazzo in quel tormento sono l’amore per Serenella e l’abilità nel tirare di boxe. Egli si estranea dall’inferno di cui è parte, sostituendo le immagini lugubri e spettrali della quotidianità con quelle liete e radiose del suo paese di origine.

Dalla baracca Cono scorgeva uno spicchio di cielo, e nelle notti limpide riusciva a riempirsi gli occhi di luci. In quei momenti tornava inevitabilmente ai suoi cieli, alle dormite nei campi, sotto gli ulivi; dinanzi alle stelle Cono aveva rivelazioni che di giorno ignorava, gli veniva da interrogarsi sull’immortalità.

La lettura consente non solo di immaginare cosa sia un lager nazista, ma anche di ascoltare i pensieri, i discorsi e le fantasie dei prigionieri che vi sono reclusi dentro. Che sia uno specifico ricordo o la trasfigurazione di questo in qualcosa di ancora più bello, focalizzarsi sulla vita attesa significa contrastare la fine incombente e la sensazione di poter essere uccisi all'improvviso e senza alcuna ragione.

Era rimasto lì a domandarsi come fosse possibile ammazzare uno che non t’ha fatto niente, di cui niente conosci, uno nato in un altro posto e che parla un’altra lingua, solo per obbedire a un ordine, per ragioni che non sai, o che credi di sapere e non sai.

Arriva un momento in cui  Cono crede di non poter resistere oltre e, percependo di essere allo stremo, si interroga sulla morte. Osserva se stesso, i compagni che si arrendono e quelli che incredibilmente restano aggrappati al proprio corpo. Alla gravità del giovane che pensa di lasciarsi andare viene in soccorso un nuovo ricordo, in cui la leggerezza di un aldilà terreno e amico fa da contrappunto alla fatica di esistere in quel cimitero di vivi.

-Promettimi, - gli aveva detto una volta Serenella, con la mano nella sua e lo sguardo al cielo, stesi fianco a fianco nel frumento, - promettimi che quando Dio ci obbligherà a morire, saprai riconoscermi lassù, tra tutte quelle stelle… - Ma se proprio dovesse capitarmi di morire, – aveva aggiunto lui, - allora non cercarmi lassù, - e aveva indicato il cielo, - ma qui, nei dintorni, tra i campi e tra gli alberi, accanto a te, perché lì mi troverai. Morire è solo non essere visti.

Come negli altri romanzi dello stesso autore l’intero racconto verte sulla parabola di un individuo che cresce, evolve e cambia, dando così luogo a un nuovo inizio. Tra tutti i protagonisti dei libri di Marone, Cono Trezza è colui che per eccellenza compie davvero qualcosa di epico. La sua trasformazione all’interno del campo di concentramento resiste alla logica del male. Egli pone il dilemma di come sia possibile frantumarsi in migliaia di pezzi, irreparabilmente rompersi, eppure continuare a funzionare: restare umani nonostante la totale disintegrazione della dignità. In qualche modo, in virtù dell'amore dato e ricevuto, egli si conserva uomo.  

Cono era rimasto a chiedersi se fosse quella la fede, provare compassione per un altro uomo e sentire d’essere una cosa sola con lui nel dolore, sapere che nella sofferenza siamo tutti uguali, tutti ultimi, tutti sulla croce, come Cristo.

Ci sono dei libri che raccontano storie. Poi, ce ne sono altri che, toccando dei tasti speciali, raggiungono i luoghi più nascosti dell'anima e ci incontrano lì, nello spazio sospeso della lettura, pronti a ricevere un messaggio o a riconoscere una voce. SONO TORNATO PER TE è così; appartiene al genere che io definisco ''il viaggio che non si dimentica''.

 

 

martedì, maggio 14, 2024

NESSUNO PUÒ FARTI STARE MALE SENZA IL TUO PERMESSO di P. BORZACCHIELLO - E. SEDNAOUI

 


Nessuno può farti stare male senza il tuo permesso è un corso di autodifesa emotiva. Il testo, strutturato in forma di diario, sembra rivolgersi ai giovani e ai giovanissimi. I protagonisti sono infatti alcuni ragazzi che frequentano le scuole superiori; il linguaggio è semplice, immediato, costituito da periodi brevi ed efficaci. Al di là del pubblico a cui è destinato, credo che il lettore possa appartenere a qualsiasi generazione, poiché ognuno di noi vi può trovare delle istruzioni preziose.

La prima delle sfide lanciate dagli autori scaturisce dal bisogno di riconoscere e gestire le emozioni più impetuose: “Se vuoi stare meglio, devi tenere un bel diario… un diario riferito agli episodi emotivi che ti turbano, con le tue riflessioni e nel quale descrivi quel che ti capita e quando, e in cui magari, elenchi le tue idee riguardo a ciò che potresti fare per stare meglio e così via”. Già in altre pubblicazioni a sfondo psicologico ho trovato lo stesso consiglio. Tuttavia, non credo che sia praticabile con costanza: di fatto, l’analisi richiede tempo e attenzione focalizzata su ogni singolo episodio che ci causa agitazione. Non si tratta solo di raccontare cosa è successo ma di andare dietro all’esperienza e guardarsi dall’interno con fare investigativo. Dopo qualche tentativo, ci si interrompe, perché un così complesso ragionamento esige un notevole investimento di energie. Perché invece non scrivere delle lettere a se stessi? Parlarsi a cuore aperto e andare a prendere per mano quella parte di noi che si è persa.

Del libro trovo geniale un principio semplicissimo, di cui purtroppo si trascura il valore. “Le persone possono dirti quello che vogliono, ma sei sempre e solo tu che scegli di credere o non credere a quello che dicono. E soprattutto sei tu che puoi dare o non dare valore alle persone che ti dicono quelle cose”. Alla fine, l’importanza di un discorso dipende da chi lo pronuncia. Passiamo il tempo a giustificarci o a difenderci dai giudizi altrui, sprecando inutili risorse. Il fatto che qualcuno ci attribuisca delle caratteristiche, non significa che noi siamo così come ci definiscono. Al contrario, più insistiamo nel voler modificare l’opinione dei nostri detrattori, più gli diamo ragione. Quando poi la critica proviene da una fonte di risaputa stupidità, la risposta più bella è la seguente: “Si, e quindi?” … sostenendo fieramente lo sguardo con l 'arrogante interlocutore.

“Ricordati che le parole che tu scegli per descrivere il mondo dicono chi sei tu, non com’è il mondo”. Questo vale per tutti, per noi quando proiettiamo sul prossimo la nostra visione della realtà così come per l'altro, nel momento in cui giudica e pontifica.

“La tua realtà è il risultato delle parole che usi per descriverla”: Analogamente alla PNL (programmazione neurolinguistica), anche in questo manuale si offre una strategia basata sulla scelta del linguaggio, sulla visualizzazione e sul raggiungimento di uno stato di calma interiore. Alla fine, si tratta di creare delle suggestioni positive che attraverso respiro, immagini e parole creino un circolo virtuoso. “Ecco perché devi sempre prestare attenzione alle parole che usi e a quante ne usi… perché le parole che usi diventano gli ormoni che hai in corpo, e questi ti fanno star male o bene. Cosi come dici di stare, stai”.

Non credo che gli esseri umani siano tutti così crudeli da fare deliberatamente del male ai loro simili, penso piuttosto che lo facciano senza rendersene conto. La maggior parte delle volte si è così limitati, da non capire neppure il peso delle proprie azioni ...e non so cosa sia peggio tra la cattiveria e l'ignoranza. "Quando ti parlano dietro e complottano, magari divertendosi a creare litigi tra altre persone, questo è bullismo. Quando in una chat nessuno risponde ai tuoi messaggi, come se non ci fossi, questo è bullismo…tutti i giorni tantissime persone vengono escluse e per loro è una gran lotta".

Quanto più si è pronti a cambiare e a lavorare su se stessi, tanto più ha significato la lettura di questo manuale.  E in ogni caso, la prossima volta, se qualche bullo cercherà di attaccarci con fatti, gesti o parole, non saremo noi a dargli le armi e soprattutto avremo qualche strumento in più per neutralizzare gli stronzi 💪.

Regalate questo libro ai vostri figli e ai figli dei vostri amici.

 




 

 


DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

  Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insiem...