venerdì, luglio 04, 2025

LA FELICITÀ NEI GIORNI DI PIOGGIA di Imogen Clark

Care lettrici e cari lettori, da ora in poi sotto ogni post troverete anche una traduzione in tedesco.

Liebe Leserinnen und Leser, ab sofort gibt es zu jedem Beitrag auch eine deutsche Übersetzung.

Contenuto

Il libro si apre con la lettura del testamento di Angie, donna forte e anticonformista, madre di una ragazza di diciotto anni. L'ultimo desiderio è che i suoi migliori amici siano presenti per la figlia, restandole accanto almeno fino alla maturità, e che ciascuno di loro, in ambiti diversi, le faccia da tutore. Questa richiesta sorprende e sconvolge le vite dei compagni di Angie. Sebbene i cambiamenti siano difficili da accettare, una volta digeriti e fatti entrare nella routine, portano scoperte, benefici e nuove prese di coscienza.

Commento

L’intreccio segue l’evolversi di amicizie durature, strane ma autentiche, che resistono al tempo e alle distanze. Non aspettatevi drammi profondi o analisi intense: questo libro sfiora temi importanti con delicatezza e leggerezza.

Imogen Clark adotta una scelta narrativa semplice, conferendo ai suoi personaggi una forza discreta che evita di appesantire il racconto. Le crisi ci sono, ma non vengono enfatizzate; anche il lutto scorre con fluidità, pur nella propria inevitabile mestizia. Romany perde la madre all’inizio dell’ultimo anno scolastico, eppure, grazie a grande forza e determinazione, riesce a plasmare il proprio futuro, arrivando agli esami finali senza esitazioni.

Tutte le relazioni descritte appaiono intermittenti e, in alcuni casi, anche un po’ superficiali. Angie, Meggie, Tyger e Leon restano amici per oltre trent’anni, ma ciascuno prende decisioni in modo indipendente, senza partecipare davvero alla vita degli altri, se non in occasione della nascita di Romany. Chi si dedica alla famiglia, chi alla carriera, chi continua il proprio viaggio lontano dall’Inghilterra. Di tanto in tanto si ritrovano e restano sommessamente legati, perché ciò che hanno condiviso da ragazzi li tiene uniti. Da adulti, sembrano perdersi e ritrovarsi continuamente. Ciononostante, nei momenti importanti sono sempre presenti... come distratti moschettieri.

«Gli amici di vecchia data avevano qualcosa di speciale… Ti avevano visto quando non eri ancora del tutto formato, quando la corazza esteriore non si era ancora richiusa...»

Questo romanzo scorre veloce, lieve, senza sottolineature o particolari ricerche. Pur privo di guizzi, “La felicità nei giorni di pioggia” è certamente un racconto gradevole, perfetto per un momento di intrattenimento letterario dopo qualche lettura pesante. 

Non tutto deve essere necessariamente profondo, impegnato o una grande lezione di vita. A volte basta che un libro sia solo un compagno per qualche ora, un pretesto per bere un prosecco e dare aria ai pensieri. Già questo lo rende buono!

 

Lieber Leser,

dieses Buch wurde im März 2025 in Italien veröffentlicht.

Soweit ich weiß, gibt es keine deutsche Ausgabe.

Wenn du mehr erfahren möchtest, findest du weiter unten meinen Kommentar dazu.

Der Originaltitel lautet


IMPOSSIBLE TO FORGET

Inhalt

Das Buch beginnt mit der Testamentseröffnung von Angie, einer starken und unkonventionellen Frau, Mutter einer achtzehnjährigen Tochter. Ihr letzter Wunsch ist, dass ihre besten Freunde für die Tochter da sind, ihr zumindest bis zur Abschlussprüfung beistehen und dass jeder von ihnen in verschiedenen Bereichen als Mentor fungiert. Diese Bitte überrascht und erschüttert das Leben von Angies Freunden. Obwohl die Veränderungen schwer zu akzeptieren sind, bringen sie, sobald sie verdaut und zur Routine geworden sind, Entdeckungen, Vorteile und neues Bewusstsein.


Kommentar

Die Geschichte verfolgt die Entwicklung von langjährigen, seltsamen, aber echten Freundschaften, die Zeit und Entfernung überstehen. Erwarten Sie keine tiefgründigen Dramen oder intensive Analysen: Dieses Buch berührt wichtige Themen mit Feinfühligkeit und Leichtigkeit.

Imogen Clark wählt eine einfache Erzählweise und verleiht ihren Figuren eine stille Stärke, die die Geschichte nicht belastet. Es gibt Krisen, aber sie werden nicht überbetont; auch die Trauer verläuft fließend, trotz der unvermeidlichen Traurigkeit. Romany verliert ihre Mutter zu Beginn des letzten Schuljahres, schafft es aber dank großer Kraft und Entschlossenheit, ihre Zukunft zu gestalten und die Abschlussprüfungen fast ohne Zögern zu bestehen.

Alle beschriebenen Beziehungen wirken wechselhaft und in manchen Fällen auch ein wenig oberflächlich. Angie, Meggie, Tyger und Leon bleiben über dreißig Jahre Freunde, doch jeder trifft Entscheidungen unabhängig und nimmt kaum wirklich am Leben der anderen teil, außer bei der Geburt von Romany. Der eine widmet sich der Familie, der andere der Karriere, wieder ein anderer setzt seine Reise weit weg von England fort. Ab und zu treffen sie sich und bleiben still verbunden, denn was sie als Jugendliche teilten, hält sie zusammen. Als Erwachsene scheinen sie sich oft zu verlieren und wiederzufinden. Trotzdem sind sie in wichtigen Momenten immer da... wie zerstreute Musketiere.

''Alte Freunde hatten etwas Besonderes... Sie hatten dich gesehen, als du noch nicht ganz geformt warst, als die äußere Schale sich noch nicht geschlossen hatte...''

Dieser Roman liest sich schnell und leicht, ohne Betonungen oder besondere Analysen. Obwohl er keine großen Höhepunkte hat, ist "Das Glück an regnerischen Tagen" sicher eine angenehme Geschichte, perfekt für einen literarischen Unterhaltungsmoment nach schweren Lektüren.

Nicht alles muss unbedingt tiefgründig, ernst oder eine große Lebenslektion sein. Manchmal reicht es, wenn ein Buch einfach nur ein Begleiter für ein paar Stunden ist, ein Vorwand, um einen Prosecco zu trinken und den Gedanken Luft zu machen. Schon das macht es gut! 

 

martedì, luglio 01, 2025

SORVEGLIARE E PUNIRE di Michel Foucault

  Care lettrici e cari lettori, da ora in poi sotto ogni post troverete anche una traduzione in tedesco.

 Liebe Leserinnen und Leser, ab sofort gibt es zu jedem Beitrag auch eine deutsche Übersetzung.

Perché questo libro e perché adesso:

Ho deciso di leggere Sorvegliare e punire dopo aver visitato un carcere e conosciuto le famiglie di alcuni detenuti. La riflessione sul sistema penale mi ha portata a pormi diverse domande. Durante una conversazione sulla reclusione e sullo stigma sociale, il mio interlocutore e io abbiamo finito per allargare lo sguardo a ogni tipo di istituzione in cui si impongano regole, divieti o forme di disciplina. Ci siamo chiesti: esiste davvero la libertà? Esiste davvero l’uguaglianza? Abbiamo forse la certezza che, in ogni struttura pubblica, l’umile e il ricco siano trattati allo stesso modo e che, se sbagliano, incorrano nelle stesse sanzioni?

Di pensiero in pensiero, mi è stato consigliato questo testo, che però ha suscitato in me sentimenti contrastanti.

CONTENUTO

Michel Foucault ci offre un’opera coraggiosa che scardina certezze e prospettive.

Il testo si apre con la descrizione di un brutale supplizio in una pubblica piazza, alla fine del XVIII secolo. Il sistema giudiziario aveva non solo il fine di punire il condannato, ma anche quello di educare la società. Il ricorso al patibolo incuteva orrore, paura e un monito a chiunque avesse pensato di sfidare la legge. Successivamente, lo Stato cambia strategia e si raffina nell’esercizio della propria forza. Non perché si giunga ad attribuire alla vita umana un valore, né perché la ghigliottina o l’iniezione letale siano più dolci della ruota: nonostante il corpo fisico sia qualcosa di cui il potere può continuare a disporre, si attenuano le pene più eccessive.

«[…] il popolo, attirato ad uno spettacolo fatto per terrorizzarlo, può coagulare il rifiuto del potere punitivo, e talvolta la rivolta. Impedire un’esecuzione ritenuta ingiusta, strappare un condannato dalle mani del boia …»

Di fronte a spettatori che iniziano a provare compassione per il condannato, l’autorità pone le basi affinché i cittadini rispettino le regole e mantengano una disciplina nella loro quotidianità. Pertanto, alla violenza dei gesti eclatanti si sostituisce l’astuto meccanismo della sorveglianza costante. Di fatto, tutto ciò che passa attraverso le pubbliche istituzioni diventa uno strumento di controllo: scuole, caserme, ospedali, fabbriche, posti di lavoro e prigioni diventano luoghi in cui monitorare le persone e la loro condotta.

COMMENTO

“La società nel suo complesso diventa un grande sistema disciplinare che produce corpi docili e menti addestrate”.

Secondo lo scrittore, lo Stato educa e plasma la popolazione affinché assorba un codice implicito di comportamento. Fin dalla scuola, i bambini sono addestrati a rispettare regole, a stare fermi e in silenzio, a conformarsi. Caserme, ospedali e fabbriche replicano questo processo di standardizzazione, producendo operai affidabili, studenti modello, lavoratori efficienti, cioè “corpi docili” produttivi e governabili.

«Le corps est un corps docile qui peut être soumis, utilisé, transformé et perfectionné.»

(Il corpo è un corpo docile che può essere assoggettato, usato, trasformato e perfezionato.)

 

La mia obiezione riguarda la necessità di un ordine che consenta la convivenza civile. Senza principi basilari come il rispetto reciproco o l’osservanza delle norme, la società collasserebbe. Tuttavia, Foucault mette in luce il confine sottile tra le regole necessarie e un sistema più profondo e pervasivo che, sotto la maschera del controllo sociale, finisce per soffocare l’individualità e trasformare le persone in “corpi docili”.

Attraverso degli schemi imposti dall’alto, l’apparato statale nega le unicità e il diritto all’espressione delle singole identità. Di conseguenza, chiunque non sappia uniformarsi rischia di essere bollato come diverso, deviante, pericoloso. 

IL PANOTISMO

Questa è, per me, la parte più affascinante e attuale del saggio.

L’architetto Jeremy Bentham progettò il Panopticon (dal greco pan: tutto e optikon: visione) nel 1791. Si trattava di una prigione con al centro una torre circolare. Da questa il guardiano poteva osservare i carcerati, senza che costoro, consapevoli di essere costantemente sotto controllo, potessero vederlo a loro volta.

Questo modello architettonico ispirò la pianta di carceri e ospedali psichiatrici. Di fatto, la sorveglianza si estende ben oltre quegli spazi. Basta che un qualsiasi soggetto sappia di essere osservato, per interiorizzare delle regole e autocontrollarsi.

Tra le ragioni per cui trovo interessante l’analisi dell’autore vi sono le sue implicazioni attuali; ognuno di noi è in balia di un dilagante panoptismo: siamo tracciati da app di ogni tipo, internet, transazioni bancarie online, dispositivi sanitari, telecamere e, soprattutto, dai social media… il “Grande Fratello” per eccellenza.

Di conseguenza, viene spontaneo chiedersi quali siano i limiti a cui le autorità dovrebbero attenersi nell’osservazione degli individui. Dalla prevenzione del crimine alla sorveglianza pervasiva e manipolatrice, il passo è breve. Nonostante viviamo in società che si definiscono libere, la rivendicazione della propria unicità richiede ancora oggi un grande atto di coraggio. Chi stabilisce i parametri della normalità e della devianza? Quali strumenti adotta il potere per influenzare le coscienze, fino a spingere le persone ad autocensurarsi e a comportarsi come se fossero sempre sotto osservazione?

E forse è proprio questo il punto più inquietante: il potere non ha più bisogno di mostrare i muscoli. Basta che ognuno di noi senta su di sé lo sguardo invisibile della torre.

"Non tutte le prigioni hanno le sbarre: ve ne sono molte altre meno evidenti da cui è difficile evadere, perché non sappiamo di esserne prigionieri". Henri Laborit


Versione in tedesco / Deutsche Version

MICHEL FOUCAULT

ÜBERWACHEN UND STRAFEN

Warum dieses Buch und warum gerade jetzt

Ich habe beschlossen, Überwachen und Strafen zu lesen, nachdem ich ein Gefängnis besucht und Familien von Inhaftierten kennengelernt habe. Die Auseinandersetzung mit dem Strafsystem hat mich dazu gebracht, viele Fragen zu stellen. In einem Gespräch über Haft und soziale Ausgrenzung haben mein Gesprächspartner und ich unseren Blick auf alle Arten von Institutionen erweitert, in denen Regeln, Verbote oder Disziplin herrschen. Wir fragten uns: Gibt es wirklich Freiheit? Gibt es wirklich Gleichheit? Können wir sicher sein, dass in jeder öffentlichen Einrichtung Arme und Reiche gleichbehandelt werden und bei Fehlverhalten dieselben Strafen erhalten?

Gedanke um Gedanken wurde mir dieses Buch empfohlen, das jedoch widersprüchliche Gefühle in mir hervorrief.

Inhalt

Michel Foucault präsentiert ein mutiges Werk, das Gewissheiten und Blickwinkel in Frage stellt.

Der Text beginnt mit der Beschreibung einer brutalen Hinrichtung auf einem öffentlichen Platz gegen Ende des 18. Jahrhunderts. Das Justizsystem wollte nicht nur den Verurteilten bestrafen, sondern auch die Gesellschaft erziehen. Das öffentliche Hängen oder Enthaupten erzeugte Entsetzen, Angst und sollte jeden warnen, der das Gesetz brechen wollte.

Später ändert der Staat seine Strategie und übt seine Macht auf raffiniertere Weise aus. Nicht, weil das Leben plötzlich mehr wertgeschätzt wird, noch weil die Guillotine oder die Giftspritze sanfter sind als das Rad: Obwohl der physische Körper weiterhin vollständig der Macht unterworfen ist und das Staatswesen nach Belieben über ihn verfügen kann, werden die übermäßigen Strafen gemildert.

« […] das Volk, das zu einer Schau angezogen wird, die es erschrecken soll, kann die Ablehnung der Strafmacht stärken und manchmal sogar zum Aufstand führen. Eine als ungerecht empfundene Hinrichtung verhindern, einen Verurteilten dem Henker entreißen »

Wenn Zuschauer beginnen, Mitleid mit dem Verurteilten zu empfinden, sorgt die Staatsmacht dafür, dass die Bürger die Regeln respektieren und im Alltag Disziplin halten. Statt gewalttätiger, spektakulärer Bestrafungen kommt eine schlaue, ständige Überwachung zum Einsatz. Tatsächlich werden alle öffentlichen Institutionen zu Kontrollinstrumenten: Schulen, Kasernen, Krankenhäuser, Fabriken, Arbeitsplätze und Gefängnisse sind Orte, an denen Menschen und ihr Verhalten beobachtet werden.

Kommentar

«Die Gesellschaft als Ganzes wird zu einem großen Disziplinarsystem, das gehorsame Körper und trainierte Köpfe produziert.»

Nach Foucault erzieht und formt der Staat die Bevölkerung so, dass sie einen ungeschriebenen Verhaltenskodex übernimmt. Schon in der Schule lernen Kinder, Regeln zu befolgen, still zu sitzen und sich anzupassen. Kasernen, Krankenhäuser und Fabriken wiederholen diesen Standardisierungsprozess und produzieren verlässliche Arbeiter, vorbildliche Schüler und effiziente Angestellte – kurz: „gehorsame Körper“, die produktiv und kontrollierbar sind.

« Le corps est un corps docile qui peut être soumis, utilisé, transformé et perfectionné.»

(Der Körper ist ein gehorsamer Körper, der unterworfen, benutzt, verändert und verbessert werden kann.)

Meine Kritik betrifft die Notwendigkeit einer Ordnung, die das Zusammenleben möglich macht. Ohne grundlegende Prinzipien wie gegenseitigen Respekt und die Einhaltung von Regeln würde die Gesellschaft zerfallen. Dennoch zeigt Foucault die feine Grenze zwischen notwendigen Regeln und einem viel umfassenderen System, das unter dem Deckmantel sozialer Kontrolle die Individualität erstickt und Menschen zu „gehorsamen Körpern“ macht.

Durch von oben auferlegte Strukturen verleugnet der Staat Einzigartigkeit und das Recht auf individuelle Ausdrucksformen. Wer sich nicht anpasst, wird schnell als anders, abweichend, gefährlich abgestempelt.

DAS PANOPTIKON

Für mich der spannendste und aktuellste Teil des Buches.

Der Architekt Jeremy Bentham entwarf 1791 das Panoptikon (griechisch pan: alles, optikon: sehen). Es war ein Gefängnis mit einem runden Turm in der Mitte. Von dort aus konnte der Wächter die Gefangenen beobachten, während diese, wissend, ständig überwacht zu werden, ihn nicht sehen konnten.

Dieses Modell inspirierte die Baupläne von Gefängnissen und psychiatrischen Kliniken. Die Überwachung reicht aber weit darüber hinaus. Es genügt, dass jemand weiß, dass er beobachtet wird, um sich selbst zu kontrollieren und Regeln einzuhalten.

Was ich an Foucaults Analyse spannend finde, sind die heutigen Auswirkungen: Wir alle sind einem umfassenden Panoptismus ausgesetzt: wir werden von Apps, dem Internet, Online-Banking, Gesundheitsgeräten, Kameras und vor allem den sozialen Medien überwacht… dem “Big Brother schlechthin.

Daher stellt sich die Frage, wie weit die Überwachung gehen darf. Von der Verbrechensverhütung bis zur allumfassenden und manipulativen Kontrolle ist es nur ein kleiner Schritt. Obwohl wir in freien Gesellschaften leben, braucht es heute noch großen Mut, die eigene Individualität zu behaupten. Wer entscheidet, was normal und was abweichend ist? Welche Mittel nutzt die Macht, um Gedanken zu beeinflussen, Menschen zur Selbstzensur zu bringen und sie dazu zu bringen, sich zu verhalten, als würden sie ständig beobachtet?

Vielleicht ist das der beängstigendste Punkt: Die Macht muss nicht mehr offen zeigen, dass sie da ist. Es reicht, wenn wir den unsichtbaren Blick des Turms spüren.

„Nicht alle Gefängnisse haben Gitterstäbe: Es gibt viele andere, weniger offensichtliche, aus denen es schwer ist zu entkommen, weil wir nicht wissen, dass wir Gefangene sind.“
Henri Laborit

mercoledì, giugno 04, 2025

QUEL CHE AFFIDIAMO AL VENTO - DIE TELEFONZELLE AM ENDE DER WELT

 Care lettrici e cari lettori, da ora in poi sotto ogni post troverete anche una traduzione in tedesco.

 Liebe Leserinnen und Leser, ab sofort gibt es zu jedem Beitrag auch eine deutsche Übersetzung.

QUEL CHE AFFIDIAMO AL VENTO di Laura Imai Messina



Questo libro è il più bello tra quelli finora letti dall’inizio dell’anno. “Quel che affidiamo al vento”, di Laura Imai Messina, è una carezza, un messaggio di speranza.

Bell Gardia è un giardino, ai piedi del monte Kujiira-yama, a Ōtsuchi. Al suo interno è collocata una cabina che trasporta le voci del vento. La postazione consta di una struttura bianca con pannelli di vetro, in cui si trova un telefono nero non collegato a nessuna linea. Yui, dopo lo Tzunami del 2011 in cui ha perso la madre e la figlia, vi si reca mensilmente, insieme al vedovo Takeshi. A differenza dell’amico, che dalla postazione si connette con la moglie, lei di solito si aggira nel parco, si accomoda sulla panchina e semplicemente osserva persone e natura

ʺUna cabina telefonica in un giardino, un telefono non collegato tramite cui parlare con i propri defunti. Davvero riusciva a consolare una cosa così? E poi cosa avrebbe detto a sua madre, cosa avrebbe potuto dire alla sua bambina? ʺ

Quel luogo verde è attraversato da molte vite: storie simili nell’intensità, ma distinte nel vissuto. Grazie alla loro voce si percepisce l’unicità del dolore e di ogni singolo percorso. Si comprende che il lutto non riguarda esclusivamente la morte fisica. In fondo, basta un distacco forzato perché nell’anima si apra una ferita che ci fa sentire rotti.

ʺE ora al telefono del Vento Shio andava a parlare con il padre, che era vivo e abitava sotto lo stesso tetto, e non con la madre, che invece era stata dichiarata dispersa. Anzi, lui si rifiutava di chiamarla perché da qualche parte, diceva, doveva pur stare. Shio confidava segretamente che proprio lei, un bel giorno, sarebbe tornata a riappiccicare le due parti del padre. ʺ

A differenza di Yui, che esita a lungo prima di accedere alla cabina, io entrerei subito. Chiuderei gli occhi un istante, poi prenderei un grande respiro, alzerei la cornetta e starei in silenzio per risuonare insieme al vento «…Nonna? Nonna mi senti? Nonna ti voglio bene. Come state tutti? Nonna, grazie per il tuo infinito amore.» Il mormorio dell’aria si farebbe abbraccio, sorriso e calore. Poi giungerebbero parole di luce, risposte mute ma eloquenti, echeggianti in uno spazio misterioso, sospeso lì tra la mente e il cielo. E poi, ne sono certa, lungo il sentiero verso l’uscita mi scorterebbero arancioni farfalle madrine.

ʺSi era convinta che la nostalgia non avesse nulla a che fare con la memoria, che la si potesse anzi provare forte solo per cose di cui non si aveva avuta diretta esperienza.”

Nel pensare a chi è andato, siamo istintivamente portati a credere che la malinconia sia in stretta relazione con il passato. Eppure, non è soltanto questo. 

Il lutto è anche tristezza per qualcosa che doveva essere e non è stato. Si può morire in tanti modi. Che sia un decesso fisico, reale o un allontanamento improvviso, tutta l’energia destinata a quel legame, al suo dispiegarsi nel tempo, ci rimane imprigionata nel petto. L’amore che non può uscire, quello non espresso o sottratto, implode dentro di noi. La sofferenza è percezione dell’incompiutezza; qualunque sia il grado di vicinanza: amici, figli, fratelli, genitori, compagni… la morte è quella porta che apre l’incompiuto tra due anime, impendendo un cammino nel futuro. La forza emotiva della cabina spezza il sortilegio dell’assenza, schiudendo i sensi alle infinite possibilità che ha l’amore per vincere su di essa.

Leggendo, ho pensato che mi sarebbe piaciuto andare in Giappone, a visitare il giardino di Bell Gardia. Forse, un giorno, ci andrò.

“In fondo era quanto ci si augurava per tutti, che un posto dove curare il dolore e rimarginarsi la vita ognuno se lo fabbricasse da sé, in un luogo che ognuno individuava diverso.”

È davvero così. Basta lasciarsi andare all’attimo presente, mettersi in rispettoso ascolto, e accadranno meraviglie. Perché la saggezza del cuore sa condurci oltre, ben oltre i confini che la ragione ci ha imposto.

 

Foto presa in prestito da Wikipedia, Grazie😉

Versione in tedesco / Deutsche Version

Die Telefonzelle am Ende der Welt, von LAURA IMAI MESSINA

Dieses Buch ist das schönste, das ich seit Jahresbeginn gelesen habe. ʺWas wir dem Wind anvertrauen“ von Laura Imai Messina ist eine liebevolle Botschaft der Hoffnung.

Bell Gardia ist ein Garten am Fuße des Kujiira-yama-Berges in Ōtsuchi. Darin befindet sich eine Kabine, die die Stimmen des Windes überträgt. Die Station besteht aus einer weißen Struktur mit Glaswänden, in der sich ein schwarzes Telefon befindet, das nicht an eine Leitung angeschlossen ist. Yui besucht diesen Ort monatlich zusammen mit dem Witwer Takeshi, nachdem sie beim Tsunami 2011 ihre Mutter und Tochter verloren hat. Anders als ihr Freund, der sich von der Station aus mit seiner Frau verbindet, streift sie meist im Park umher, setzt sich auf eine Bank und beobachtet einfach Menschen und Natur.

ʺEine Telefonzelle in einem Garten, ein nicht angeschlossenes Telefon, über das man mit den Verstorbenen sprechen kann. Konnte so etwas wirklich trösten? Und was hätte sie ihrer Mutter sagen können, was hätte sie ihrem Kind sagen können? ʺ

Dieser grüne Ort ist von vielen Leben durchzogen: Geschichten, die in ihrer Intensität ähnlich, aber im Erlebten unterschiedlich sind. Durch ihre Stimmen wird die Einzigartigkeit des Schmerzes und jedes einzelnen Weges spürbar. Man versteht, dass Trauer nicht ausschließlich den physischen Tod betrifft. Es reicht ein erzwungener Abschied, damit in der Seele eine Wunde entsteht, die uns zerbrochen fühlen lässt.

ʺJetzt sprach Shio am Telefon des Windes mit dem Vater, der lebte und unter demselben Dach wohnte, nicht mit der Mutter, die als vermisst galt. Er weigerte sich sogar, sie anzurufen, weil sie ja irgendwo sein musste, sagte er. Shio vertraute heimlich darauf, dass sie eines Tages zurückkommen und die beiden Teile des Vaters wieder zusammenfügen würde. ʺ 

Im Gegensatz zu Yui, die lange zögert, bevor sie die Kabine betritt, würde ich sofort hineingehen. Ich würde die Augen einen Moment schließen, tief durchatmen, den Hörer abnehmen und schweigend dem Wind lauschen: «…Oma? Oma, hörst du mich? Ich hab dich lieb. Wie geht es allen? Oma, danke für deine unendliche Liebe.» Das Flüstern der Luft würde zu einer Umarmung, einem Lächeln und Wärme werden. Dann kämen Worte des Lichts, stille, aber aussagekräftige Antworten, die in einem geheimnisvollen Raum zwischen Geist und Himmel widerhallen. Und ich bin sicher, auf dem Weg nach draußen würden orangefarbene Schmetterlinge mich begleiten.

ʺSie war überzeugt, dass Sehnsucht nichts mit Erinnerung zu tun hatte, sondern dass man sie nur für Dinge stark empfinden konnte, die man selbst nicht erlebt hatte.ʺ 

Wenn wir an die Verstorbenen denken, neigen wir instinktiv dazu, Melancholie eng mit der Vergangenheit zu verbinden. Doch das ist nicht alles.

Trauer ist auch Traurigkeit über etwas, das hätte sein sollen und nicht war. Man kann auf viele Arten sterben. Ob es ein physischer Tod ist, real oder ein plötzlicher Abschied – die ganze Energie, die für diese Verbindung und ihre Entfaltung über die Zeit bestimmt war, bleibt in unserer Brust gefangen. Die Liebe, die nicht ausgedrückt oder genommen werden kann, implodiert in uns. Leid ist die Wahrnehmung von Unvollständigkeit; egal wie nah man sich steht – Freunde, Kinder, Geschwister, Eltern, Partner… Der Tod ist die Tür, die das Unvollendete zwischen zwei Seelen öffnet und einen Weg in die Zukunft verhindert. Die emotionale Kraft der Kabine bricht den Bann der Abwesenheit und öffnet die Sinne für die unendlichen Möglichkeiten, die Liebe hat, um sie zu überwinden.

Beim Lesen dachte ich, ich würde gerne nach Japan reisen und den Garten Bell Gardia besuchen. Vielleicht werde ich eines Tages dorthin gehen.

„Im Grunde wünschte sich jeder einen Ort, an dem man den Schmerz pflegen und das Leben heilen konnte, einen Ort, den jeder für sich selbst an einem anderen Platz fand.“ 

So ist es wirklich. Man muss sich nur dem gegenwärtigen Moment hingeben, aufmerksam zuhören – und Wunder werden geschehen. Denn die Weisheit des Herzens führt uns weiter, weit über die Grenzen, die die Vernunft uns gesetzt hat.

 


giovedì, maggio 22, 2025

PENSIERI SUL CONFINE - GEDANKEN AN DER GRENZE

 Cari lettori e care lettrici, da ora in poi sotto ogni post troverete anche una traduzione in tedesco.

Liebe Leserinnen und Leser, ab sofort gibt es zu jedem Beitrag auch eine deutsche Übersetzung.


Oggi ho ricevuto il plico contenente le schede per la votazione degli italiani residenti all’estero.
Nella maggior parte dei casi già sapevo chi mi interessa tutelare.

Invece, mi sono fermata a riflettere sulla proposta di dimezzare da dieci a cinque anni il periodo di residenza richiesto per ottenere la cittadinanza italiana.

Vivo all’estero da molti anni; se c’è una cosa che ho imparato lentamente, a volte anche con fatica, è che integrarsi in un altro Paese non significa semplicemente imparare la lingua, lavorare, rispettare le regole. Significa, più profondamente, cominciare a sentirsi parte di qualcosa che non ci apparteneva all’inizio; accogliere dentro di sé una seconda casa, una seconda voce, forse anche una terza, o persino un dialetto difficile da pronunciare. Significa girarsi, scegliere di aprire nuove finestre per guardare altrove.

Qualche anno fa pensai addirittura di richiedere la naturalizzazione in Svizzera. Tuttavia, a un certo punto, cambiai idea. Lo feci per coerenza, perché sentivo di non riconoscermi in quella identità. Avrei dovuto sostenere un esame e spendere parecchio denaro per sentirmi dire che ero ufficialmente parte di qualcosa verso cui non sentivo un vero legame.

Trasferendomi in un’altra città, le cose sono cambiate: mi piace la gente che mi circonda, mi piace come si esprime. La capisco e ne condivido la visione. Tuttavia, il fatto di appartenere a una società in cui mi sento a mio agio non corrisponde alla necessità di ricevere un riconoscimento istituzionale.

Pertanto, in relazione al quesito del referendum, sento il bisogno di distinguere il diritto alla cittadinanza da quello all’integrazione.

L’accoglienza è un dovere della civiltà che prevede il diritto alla protezione, al lavoro, alla sicurezza, all’educazione, alla salute.
La cittadinanza, invece, è altro: l’esito di un percorso profondo, un incontro tra identità. Non si regala. Si costruisce.

Cinque anni possono bastare, forse, in certi casi. Ma più spesso, sono pochi.
C’è bisogno di tempo, trasformazione, maturazione interiore. C’è bisogno di rispetto reciproco, radici nuove, linguaggi comuni.

Per questo credo che il termine attuale, benché pensato per favorire l’integrazione, rischi di svuotare la cittadinanza del suo valore più autentico: non un certificato, ma una dichiarazione di appartenenza consapevole. Diventare se stessi è un processo lungo e prezioso, come lo è diventare parte di una nuova comunità.

In Occhiali Nuovi, ho incontrato persone che hanno attraversato guerre e confini, e ho imparato che l’identità non è qualcosa che si eredita o si prende per decreto: è un abito che si indossa nel tempo, cucendolo giorno dopo giorno, con rispetto e memoria.

Ed è proprio per questo che ho voluto fermarmi qui, tra una pagina e l’altra, in mezzo alle mie letture, e scrivere qualche riga.

Non per convincere, e tantomeno per insegnare... semplicemente per lasciare aperta una porta alla riflessione sul legame tra identità e cittadinanza. 



Versione in tedesco / Deutsche Version


GEDANKEN AN DER GRENZE

Heute habe ich das Kuvert mit den Wahlunterlagen für im Ausland lebende Italiener erhalten.

In den meisten Fällen wusste ich bereits, wen ich unterstützen möchte.

Doch dann habe ich innegehalten und über den Vorschlag nachgedacht, die erforderliche Aufenthaltsdauer für den Erhalt der italienischen Staatsbürgerschaft von zehn auf fünf Jahre zu verkürzen.

Ich lebe seit vielen Jahren im Ausland und wenn ich etwas langsam, manchmal auch mühsam gelernt habe, dann ist es, dass Integration in ein anderes Land nicht einfach bedeutet, die Sprache zu lernen, zu arbeiten und die Regeln zu befolgen. Es bedeutet viel mehr, Teil von etwas zu werden, das einem ursprünglich nicht gehört hat; in sich ein zweites Zuhause aufzunehmen, eine zweite Stimme … vielleicht sogar eine dritte oder einen Dialekt, den man kaum aussprechen kann.

Es bedeutet, sich umzudrehen, sich zu entscheiden, neue Fenster zu öffnen und anderswohin zu blicken.

Vor einigen Jahren dachte ich sogar daran, die Schweizer Staatsbürgerschaft zu beantragen. Doch irgendwann änderte ich meine Meinung; ich tat es aus innerer Konsequenz, weil ich fühlte, dass ich mich mit dieser Identität nicht wirklich identifizierte.

Ich hätte eine Prüfung ablegen und viel Geld ausgeben müssen, nur um mir sagen zu lassen, dass ich offiziell zu etwas gehöre, mit dem ich innerlich keinen wahren Bezug hatte.

Nachdem ich in eine andere Stadt gezogen bin, hat sich etwas verändert:

Ich mag die Menschen um mich herum, ich mag, wie sie sprechen.

Ich verstehe sie und teile ihre Sichtweise. Doch das Gefühl, mich in dieser Gesellschaft wohlzufühlen, bedeutet nicht zwangsläufig, dass ich eine institutionelle Anerkennung brauche.

Daher spüre ich im Hinblick auf die Frage des Referendums das Bedürfnis, zwischen dem Recht auf Staatsbürgerschaft und dem Recht auf Integration zu unterscheiden. Gastfreundschaft ist eine Pflicht der Zivilisation: sie beinhaltet das Recht auf Schutz, Arbeit, Sicherheit, Bildung und Gesundheit.

Staatsbürgerschaft hingegen ist etwas anderes: das Ergebnis eines tiefen Weges, eine Begegnung von Identitäten.

Sie wird nicht verschenkt. Sie wird aufgebaut.

Fünf Jahre mögen vielleicht in bestimmten Fällen genügen. Aber in den meisten Fällen sind sie zu wenig. Es braucht Zeit, Wandlung, innere Reifung. Es braucht gegenseitigen Respekt, neue Wurzeln, gemeinsame Sprachen.

Deshalb glaube ich, dass die derzeitige Regelung, auch wenn sie die Integration fördern will, Gefahr läuft, den tiefsten Wert der Staatsbürgerschaft zu entleeren: nicht ein Zertifikat, sondern eine bewusste Zugehörigkeitserklärung.

Sich selbst zu werden ist ein langer und kostbarer Prozess, so wie es auch ist, Teil einer neuen Gemeinschaft zu werden.

In Occhiali Nuovi bin ich Menschen begegnet, die Kriege und Grenzen überwunden haben, und ich habe gelernt, dass Identität nichts ist, was man erbt oder durch ein Dekret erhält: Sie ist ein Kleidungsstück, das man sich mit der Zeit anzieht, Tag für Tag zusammennäht, mit Respekt und Gedächtnis.

Und genau deshalb wollte ich hier innehalten, zwischen einer Seite und der nächsten, mitten in meinen Lektüren, und ein paar Zeilen schreiben.

Nicht um zu überzeugen, und schon gar nicht um zu belehren...sondern einfach, um eine Tür offen zu lassen für eine Reflexion über die Verbindung zwischen Identität und Staatsbürgerschaft.

lunedì, maggio 12, 2025

DIMMI DI TE di Chiara Gamberale

 

Trama

Chiara, scrittrice quarantenne e madre da poco, vive un momento di stallo esistenziale. La sua vita, un tempo caratterizzata da passione e instabilità, ora le appare immobile e priva di stimoli. L’incontro inaspettato con un ex compagno di liceo riaccende in lei il desiderio di ritrovare alcune figure della sua adolescenza: persone che l’hanno segnata e che continua a portare dentro. Inizia così una serie di interviste che si trasformano in un viaggio emotivo: tra volti riconosciuti e sorprese inattese, Chiara rilegge la propria storia, rispecchiandosi negli altri e riscoprendo sé stessa.


Commento

Nel corso di questi incontri, la protagonista fa la spola tra passato e presente. Alcune delle persone che ritrova confermano l’identità che avevano espresso in gioventù; altre, al contrario, si sono trasformate in qualcosa di completamente diverso da ciò che sembravano destinate a essere. Eppure, in ciascuna storia si conserva un’armonia di fondo: sia nei percorsi lineari e stabili, che in quelli segnati da deviazioni improvvise, ogni esperienza porta con sé una forma di crescita.

Poiché l’adolescenza è per antonomasia il tempo dei sogni, viene spontaneo chiedersi in che misura siano stati abbandonati o traditi gli ideali giovanili con l’arrivo della maturità.

«Il patto con i nostri sogni credo avvenga fra quello che pensiamo di noi e quello che in realtà siamo… Ecco perché, quando sentiamo di tradirli, i nostri sogni, proprio come succede ad alcuni dei miei personaggi, tocca chiederci: ma chi ha tradito cosa? Era bugiarda l’idea che avevo di me stesso, o è bugiarda la vita che oggi mi ritrovo a fare?» (Chiara Gamberale)

Anch’io mi interrogo sui miei compagni del liceo: il primo della classe, o aspirante tale; i figli di papà, la modella, la cocca del preside; la mia compagna di banco, con cui condividevo piacevolissime chiacchiere disturbanti. Alla fine gli insegnanti ci separarono, sistemandoci agli angoli opposti dell’aula, accanto a persone con le quali non avevamo nulla in comune. Con alcune di loro sarebbe interessante ripetere lo stesso esercizio proposto dalla scrittrice e domandare: “Dimmi di te”. Per la maggior parte di loro, allievi di un costoso istituto privato, il futuro benessere sembrava già scritto... E invece, non tutto è andato secondo copione. Proprio come accade a Chiara con Grazia, per qualcuno il biglietto per il viaggio nella memoria sarebbe di sola andata.

Attraverso questi incontri, la scrittrice impara a prendersi una pausa da sé stessa e dalla propria quotidianità. Osservando le vite altrui, inizia a guardarsi dall’esterno. Il suo sguardo si intenerisce, si adatta al presente. È proprio il viaggio condiviso con gli amici di un tempo che la riconnette a una parte di sé nuova, più indulgente e leggera.

Dimmi di te è un invito a tornare indietro per poter andare avanti. 


“I veri compagni di scuola non li ricordi per ciò che dicevano, ma per come ti facevano sentire quando ancora non sapevi chi eri.” (Anonimo)

“C’è tutta una letteratura sul fatto dei due vecchi compagni di scuola che si incontrano da adulti e poi uno dei due non riconosce l’altro e finge invece di ricordarsi benissimo. A me questo non è mai capitato, io mi sono sempre ricordato dei compagni di scuola, a cominciare da quelli delle scuole elementari e quelli del liceo. Non quelli dell’Università[...] ma quelli che erano compagni di classe veri, quelli vicini di banco, quelli che stanno dietro, quelli sì che te li ricordi.”

(Andrea Camilleri)

martedì, maggio 06, 2025

IL METODO HOFFMAN di D. Uslenghi (with English translation)

 Dear readers from the USA and elsewhere, you’ll find an English version at the end of this post.


LUCA CASADEI, il conduttore del podcast One More Time, cita spesso la sua esperienza con il metodo Hoffman. L’energia che lo attraversa in ognuno di questi riferimenti mi arriva e mi accende una luce. Così viaggio in rete e cerco di capire qualcosa in più di questo percorso. Trovo un sito dalla grafica fluttuante, con colori insoliti, tra ombre e luci turchesi e lilla (https://www.istitutohoffman.it). D’istinto, penso di contattarli per chiedere ulteriori informazioni. Poi scopro che esiste un libro, scritto dalla psicoterapeuta Daniela Uslenghi, che dirige l’Istituto Hoffman in Italia e naturalmente lo leggo.

 

BOB HOFFMAN

Bob Hoffman elabora il suo metodo negli anni ’60. Pur non essendo uno psicoterapeuta, si sofferma sul profondissimo impatto che i condizionamenti familiari hanno sulla psiche e sulla vita adulta.

Il suo programma mira a riconoscere, comprendere e liberarsi dagli schemi emotivi e comportamentali appresi nell'infanzia, soprattutto quelli ricevuti inconsciamente dai genitori o dalle figure di riferimento.

Ben presto, la sua scuola di pensiero si diffonde in Europa, dove ottiene l'adesione di una nuova generazione di terapeuti che, con entusiasmo, fondano scuole per insegnarlo e centri in cui applicarlo.

IL METODO

Il concetto di quadrinità è alla base del programma: ogni persona si compone di quattro elementi:

·        L’io essenziale: la parte più autentica di noi, l’anima che si espande: quando siamo completamente e liberamente presenti a noi stessi.

·        Il corpo: l’involucro che ci permette di esistere nella realtà; “una miracolosa combinazione di biologia e fisiologia”.

·        L’io intellettuale: che pensa, ragiona, elabora e analizza; lo spazio in cui si svolge il nostro dialogo interiore.

·        L’io emozionale: la capacità di dare intensità a ciò che facciamo.

Il fine ultimo è che queste nostre parti siano in armonia tra loro, cooperino e ci aiutino tanto nell’elaborazione quanto nel superamento dei conflitti.

Ciò che rende questo percorso trasformativo è il fatto di poterlo svolgere nell’arco di circa 7-8 giorni, immergendovisi totalmente. Lontani dalla propria quotidianità, tra persone sconosciute, inevitabilmente affiora un lato nascosto del proprio essere.

Il soggiorno è caratterizzato anche da esercizi emotivi, fisici, scrittura autobiografica, visualizzazioni e meditazioni guidate.

 

Osservazioni

Leggendo le esperienze di alcuni ospiti del centro, si percepisce un cammino di consapevolezza e, soprattutto, di svolta. Chiunque abbia la necessità e l’intenzione di lavorare su di sé ha l’occasione di riguardare il film della propria esistenza, cambiando il ruolo o persino la posizione.

Sì, in un certo senso, si sposta il punto di osservazione e ci si siede accanto al regista. I personaggi prendono consapevolezza delle dinamiche familiari o genitoriali in cui è avvenuta la loro crescita.

La rielaborazione non implica chiudere con il passato, ma semplicemente accoglierlo per dare un nuovo corso al presente e, dal presente, costruire su nuove basi il tempo che verrà.

Riconoscere i condizionamenti che hanno influenzato la nostra crescita è un passo fondamentale per liberarci e per entrare in contatto con il nostro io più profondo: il nostro io essenziale, l’anima che si espande, il nostro sguardo nella luce.

 

L’enigma del perdono

Un concetto con cui faccio fatica a fraternizzare è quello del perdono. Premesso che ogni storia sia una storia a sé, non sono così convinta che questo concetto sia davvero risolutivo per tutti.

Inoltre, alcune ferite hanno radici così profonde che, pur accettando e comprendendone le cause, lasciano tracce che diventano parte di noi e della nostra bellissima imperfezione.

Penso che l’obiettivo sia raggiungere la pace dentro se stessi; curare e guarire dove possibile; accettare la realtà senza negarla né abbellirla … e alla fine trovare un proprio modo di vivere oltre.

Non ho ancora deciso se intraprendere o meno questo viaggio nel mondo di Hoffman; credo tuttavia che valga davvero la pena interrogarsi su questo tipo di approccio.

“Solo quando siamo abbastanza coraggiosi da esplorare il buio, scopriremo l’infinito potere della nostra luce.” 

Brené Brown


👉Since many readers from abroad visit this blog, I’ve included an English translation below.


THE HOFFMAN METHOD

Luca Casadei, host of the podcast One More Time, often mentions his experience with the Hoffman Method. The energy he transmits each time he talks about it really resonates with me and sparks curiosity. So, I started researching online to learn more about this path. I came across a website with a floating design and unusual colors—shades of turquoise and lilac playing between light and shadow (https://www.istitutohoffman.it). Instinctively, I thought about contacting them to get more information. Then I found out there’s a book written by Daniela Uslenghi, a psychotherapist who runs the Hoffman Institute in Italy, and of course, I read it.

 

BOB HOFFMAN

Bob Hoffman developed his method in the 1960s. Although he wasn’t a psychotherapist, he deeply reflected on how much family conditioning impacts our psyche and adult life.

The programme is designed to help people recognise, understand, and free themselves from emotional patterns and behaviours learned during childhood—especially those unconsciously passed down by parents or caregivers.

His approach soon spread across Europe, gaining the interest of a new generation of therapists who enthusiastically founded schools to teach it and centres where it could be practised.

 

THE METHOD

At the heart of the programme lies the concept of the Quadrinity, which sees every person as made up of four interconnected parts:

·         The Essential Self: our most authentic self, the soul that expands when we are fully and freely present with ourselves.

·         The Body: the vessel that allows us to exist in the world “a miraculous combination of biology and physiology.”

·         The Intellectual Self: the part that thinks, reasons, processes, and analyses—the space where our inner dialogue unfolds.

·         The Emotional Self: the part that gives intensity and depth to everything we do.

The ultimate goal is to bring these four aspects into harmony so they cooperate and support us in both processing and overcoming inner conflicts.

What makes this journey transformative is the opportunity to immerse yourself in it for about 7-8 days, away from everyday life. Being among strangers, detached from daily routines, hidden sides of ourselves inevitably emerge.

The retreat also includes emotional and physical exercises, autobiographical writing, visualisations, and guided meditations.

REFLECTIONS

Reading some of the testimonials from participants, it’s clear this is a path of awareness—and often a turning point. For anyone with the need and willingness to work on themselves, it's an opportunity to rewatch the film of one’s life, change the role, or even the perspective.

Yes, in a way, you shift your point of observation and sit beside the director. The characters become aware of the family dynamics that shaped their growth.

Reprocessing doesn’t mean closing the door on the past, but rather embracing it to redirect the present—and from there, building the future on new foundations.

Recognising the conditioning that shaped our development is a crucial step toward freeing ourselves and reconnecting with our deepest self: the essential self, the soul that expands, the gaze turned toward the light.

THE ENIGMA OF FORGIVENESS

One concept I still struggle to fully embrace is forgiveness. While I believe every life story is unique, I’m not entirely convinced that forgiveness is the ultimate solution for everyone.

Some wounds run so deep that even when we understand and accept their origins, they leave marks that become part of who we are—and part of our beautiful imperfections.

In my view, the real goal is to find peace within ourselves; to heal where possible; to accept reality without denying or sugar-coating it… and, in the end, to find our own way to live beyond it.

I haven’t yet decided whether to embark on this journey with the Hoffman world, but I do believe it’s worth reflecting on this kind of approach.

“Only when we are brave enough to explore the darkness will we discover the infinite power of our light.”         Brené Brown

LA FELICITÀ NEI GIORNI DI PIOGGIA di Imogen Clark

Care lettrici e cari lettori, da ora in poi sotto ogni post troverete anche una traduzione in tedesco. Liebe Leserinnen und Leser, ab sofort...