Tatà:
trama del romanzo
Agnes, regista di successo, riceve con
stupore la notizia della morte della zia Colette, per
tutti già deceduta da tre anni con tanto di
esequie e di lapide al cimitero. La nipote, recandosi al paese per il
riconoscimento della donna, constata che si tratta proprio dell’amata sorella
del padre. Allora … chi riposa al campo santo
nella tomba di Colette? Agnes, supportata dagli amici dell’infanzia
e da un ispettore di polizia, svolge una lunga indagine che la
porta a sovrapporre il passato al presente. Prima di
morire la zia le lascia in eredità una valigia piena di cassette, registrate
nell’arco degli anni. Ascoltandole, Agnes esplora nella storia
universale le vite particolari e, con clamorosi colpi di scena, scopre la verità.
«Forse i morti non si vedono. Voglio dire,
forse quando crediamo che qualcuno sia morto, anche se lo incontriamo non
riusciamo a vederlo, il nostro cervello non è pronto».
·
Il troppo stroppia
Ho letto con entusiasmo i precedenti romanzi di Valerie
Perrin. Questo suo ultimo lavoro, tra tutti, è senza dubbio quello che mi è
piaciuto di meno. Benché la vicenda sia originale e avvincente, l’intreccio
tra presente, passato, personaggi e svariate tematiche rende la lettura caotica
e pesante. Talvolta, leggendo qualche nome, mi chiedevo: “Ma chi è
questo?”. Le questioni che affliggono i protagonisti sono tali che ci
sarebbero voluti altri romanzi per essere ben esposte. Il nazismo in Francia,
la violenza di genere, la perversione sessuale, l’amicizia, il tifo sportivo,
la famiglia, le verità nascoste, tutto si mescola in un ingarbugliato giallo di
600 pagine. Inoltre, alcune situazioni si sviluppano in modo così assurdo e
improbabile da apparire forzate.
·
I personaggi
inafferrabili
Gli
attori e le attrici dell’intero intreccio sbiadiscono nella massa.
Di solito, ciò che mi fa amare una narrazione è la
crescita psicologica delle figure principali. Benché Agnes si lasci
conoscere e svolga ragionamenti interessanti, manca il guizzo che
la trasformi davvero. Prende coscienza della propria identità ma, pur accingendosi
a chiudere un ciclo per iniziarne uno nuovo, non vola. Delusa
dalla vita, descrive se stessa, scenario e persone con lucido disincanto.
«Per giunta sono una di quelle che pensano
che la vita ce la fottiamo da soli, che non è mai colpa dell’altro, dell’essere
amato. Non si può essere vigili tutto il tempo, sennò la vita assomiglierebbe a
una mostruosa dittatura».
Di lei, come dell’autrice, mi convince l’immediatezza
e la fluidità del linguaggio. Da brava regista, la donna, osserva
la realtà e ne fa un’efficacissima sintesi.
«Tutti viviamo grossomodo le stesse cose. Certo,
ci sono gli imprevisti, gli scherzi della sorte, la fortuna e la sfortuna, il
benessere e la povertà, i conflitti, le religioni, ma di base siamo tutti
destinati a vivere più o meno le stesse cose: stringere legami […] imparare dai
libri quando si è piccoli […] nuotare, pedalare, conoscere, scegliere,
lavorare, viaggiare, cercare di costruire una vita con qualcuno, fare figli,
occuparsi degli anziani […] tentare di trovare un certo equilibrio, non
crescere pensando solo a se stessi, condividere e ascoltare meglio che si può,
aiutarsi l’un l’altro, provare piacere, darsi ogni tanto del coglione e spesso
dell’ingenuo, sorridere a noi stessi e spronarci nonostante tutto. E ballare».
Se un libro è scritto bene, come nel caso di questo romanzo, si salva dal rischio di essere brutto. John Ruskin ha detto: ʺI libri si dividono in due categorie: i libri per adesso e i libri per sempre″. Benché non creda che Tatà sia un libro destinato a restare, sono lieta di averlo letto.
Della stessa scrittrice su questo blog: IL VIAGGIO SEI TU: TRE, VALÉRIE PERRIN
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