venerdì, novembre 04, 2022

IL COLIBRÌ. SANDRO VERONESI

 


 

Marco Carrera è il colibrì. Sebbene intorno a tutta la vicenda magistralmente narrata da Sandro Veronesi ruotino vari personaggi, è lui la luce del romanzo. Nasce sotto una buona stella, in una famiglia istruita ed economicamente agiata. Tuttavia, a causa della durezza con la quale alcuni eventi lo metteranno alla prova, si percepisce una sorta di giustizia sociale per cui il destino colpisce tutti indistintamente, ricchi, poveri e borghesi. La differenza sostanziale è il modo attraverso il quale si reagisce a queste sfide. Piangere e disperarsi è legittimo ma, passato lo sbigottimento, c’è chi ha l’intelligenza e la tenacia di usare gli ostacoli come dei gradini su cui salire. Marco Carrera ha la resilienza di quelli che all’indomani di un uragano, spalano il fango e ricostruiscono casa.

L’associazione al colibrì segue tutta la parabola della sua esistenza. Per la prima parte della gioventù, fino al momento in un cui gli viene somministrata un’innovativa cura ormonale, la crescita fisica procede con biblica lentezza. Eppure, alla scarsa altezza il giovane contrappone intelligenza rapida e movimento fulmineo.

«Del resto, non appena questo deficit era apparso evidente, lei aveva coniato per il suo bambino il più rassicurante dei soprannomi, colibrì, per l’appunto, e la velocità: fisica – notevole, in effetti – che gli tornava buona negli sport; e mentale – asserita, questa, più che altro – nella scuola e nella vita sociale. Perciò aveva continuato a ripetere sempre lo stesso mantra, anno dopo anno: non c’era da preoccuparsi, non c’era da preoccuparsi, non c’era da preoccuparsi».

Del piccolo uccellino, il protagonista, alto e adulto, conserva la capacità di restare immobile quando le tragedie lo affliggono. È il suo modo di reagire ai traumi, sentire il dolore e lasciarsi travolgere senza fare nulla, senza lottare per opporvisi. Come se ci fosse una centratura nella disperazione, che è l’esatto contrario di quello che fanno i più. La sua forza è quella di non scappare dall’alluvione, di solito non ha nemmeno il tempo di accorgersene ma quando la piena lo raggiunge, resiste senza arrendersi aggrappato a un ramo. Forse allora, essere forti non significa combattere a oltranza ma accettare lo scorrere della vita senza cedere, senza mollare la presa. La sfida è proprio quella di restare appesi fino a che la tempesta è passata.

Marco affronta ogni singola situazione assumendosene l’intera responsabilità, mettendo ciascuna risorsa al servizio di chi per lui conta. Ama nel senso più nobile e antico del termine, ama con valore e sacrificio, ama al punto di vivere nell’attesa di qualcosa che potrebbe non essere, che anzi, quasi certamente non accadrà. Eppure, per sempre risolutamente ama. 

«Ma è vero che se una storia d’amore non finisce, o come in questo caso nemmeno comincia, essa continuerà a perseguitare la vita dei protagonisti con i suoi nulla di cose non dette, azioni non compiute, baci non dati»

Il colibrì si prende cura con immensa affezione del nido, assiste teneramente tutti coloro che ne fanno o ne hanno fatto parte, talvolta porta senza dolersene valigie non sue. Lo fa e basta, lo fa da solo. Lo fa con i genitori malati e vicini alla morte. Lo fa come papà singolo che ricostruisce alla figlia un paradiso perduto. Lo fa come nonno anzitempo, accogliendo una gravidanza inaspettata. Lo fa nel tirare su come genitore singolo la nipotina rimasta orfana.

«E ho capito, all’improvviso (ecco perché all’improvviso ti scrivo, anche se so che non mi risponderai) che tu sei davvero un colibrì. Ma certo. È stata un’illuminazione: tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci a fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro. Ed ecco perché starti vicino è così bello»

«Ma questo è perché il tempo ha conferito sempre più valore al cambiamento, anche a quello fine a se stesso, e il cambiamento è ciò che vogliono tutti. Così non c’è niente da fare, alla fine chi si muove è coraggioso e chi resta fermo è pavido, chi cambia è illuminato e chi non cambia è un ottuso. E ciò che ha deciso il nostro tempo. Per questo mi fa piacere che tu ti sia accorta … che ci vogliono coraggio ed energia anche per restare fermi»

Marco Carrera è la figura letteraria di cui mi sono più innamorata negli ultimi anni. È il marito, il padre, il fratello, il figlio che tutte vorremmo. Io di sicuro. Come Nicola Carati di “La meglio gioventù”, lui è per eccellenza un uomo perbene senza essere eroe, semplicemente identificando quei valori che altri spregiudicatamente tradiscono. Il bello è che lo fa istintivamente, quasi senza sceglierlo. É la sua natura.

«Vi sono esseri che per tutta la loro vita si dannano allo scopo di avanzare, conoscere, conquistare, scoprire, migliorare, per poi accorgersi d’esser sempre andati alla ricerca solo della vibrazione che li ha scaraventati al mondo: per costoro il punto di partenza e il punto di arrivo coincidono. Poi ce ne sono altri che invece pur stando fermi percorrono una strada lunga e avventurosa perché è il mondo a scivolare sotto i loro piedi, e finiscono molto lontano da dove erano partiti: Marco Carrera era uno di essi. Ormai era chiaro: la sua vita aveva uno scopo. Non tutte le vite lo avevano, la sua lo aveva. Le dolorose vicissitudini che l’avevano segnata avevano esse pure uno scopo, nulla gli era capitato per caso»

Nella classifica dei libri più belli, una sola raccomandazione: leggere lentamente, restare a lungo nella storia, starci dentro immobili e come un colibrì, volare sul posto. Le altre letture possono aspettare. Marco Carrera merita adesso, subito, il nostro tempo e la nostra partecipazione.



Leggere ci dà un posto dove andare anche quando dobbiamo rimanere dove siamo.

Mason Cooley









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