giovedì, ottobre 27, 2022

IL PESO DELL' ANIMA. PAOLA RUSSO

 


Il peso dell’anima è il racconto coraggioso di Sofia, una ragazza che descrive la propria vicenda nel mondo dell'anoressia mentale.

Sono particolarmente interessata al tema del disturbo alimentare perché, al di là delle esperienze individuali, credo che il rapporto con il cibo sia la relazione per eccellenza più problematica. Senz'altro lo è per me. Chi è veramente certo di nutrirsi equilibratamente? Quanti si riconoscono nell’immagine che gli riflette lo specchio? Chi non ha mai provato sensi di colpa a causa del cibo? Per non parlare poi del fitto intreccio che tesse la mente in presenza di carenze affettive.

Il mio approccio all’alimentazione si basa da anni su una specie di controllo, sul bisogno di misurare, verificare, sorvegliare e dominare peso e forma secondo parametri del tutto soggettivi. "Il controllo è solo l’illusione che tutto possa restare immutato, è la negazione della vita che passa mentre tu sei impegnato a limitare gli imprevisti». L’ossessione per il controllo è il “fuori controllo”, è proprio questa la dipendenza da cui si sviluppa la malattia. Pesarsi maniacalmente è fuori controllo, mettere ogni pietanza sulla bilancia e calcolarne le calorie è fuori controllo, misurarsi con un metro da sarto è fuori controllo. Insomma, la fissazione patologica per il controllo è l’apoteosi del non controllo.

Sofia smette di mangiare dopo aver perso a breve distanza entrambi i genitori. In realtà, non è per il lutto in sé che smette di nutrirsi ma per un disagio molto più antico e ancestrale. Il suo aspetto fisico parla al posto suo, in un percorso che a spirale la trascina al centro della propria voragine, quasi ai limiti di un non ritorno.

«L’affetto che non si mangia ma si percepisce con altri sensi. Troppo ovvio da capire, molto semplice da attuare in una famiglia normale, non nella mia, dove invece tutto era un simbolo, tutto legato al cibo, alla difficoltà di trasmettere i sentimenti in modo sano e diretto. Tutto da decifrare».

Il pane è pane, garantisce la sopravvivenza, integra l’amore ma non lo sostituisce. Al di là del modo in cui ogni persona elabora delle gravi mancanze, la protesta alimentare diventa un linguaggio difficile da comprendere. Come per le lingue straniere, andrebbe tradotto, studiato e interpretato.

«Intanto nel delirio della mia mente io non voglio annientarmi anzi, tutt’altro. Il mio corpo è una scatola fatta per comunicare. Chi vuole morire fa in modo che gli altri non se ne possano accorgere, io sto costruendo al contrario il mio strumento di comunicazione con il mondo, proprio perché il mondo si accorge di te per quello che mostri, per la materia che sei, ed io devo “non essere” per lanciare il mio SOS, anche se a volte, la mia testa, mi dice che non posso andare avanti così devo capire cosa succede dentro di me».

Nonostante sia impossibile non riconoscere questo SOS, per i terapeuti stessi è quantomai arduo prestare aiuto e trovare le chiavi giuste per accedere ai propri pazienti. Mi immagino il senso di impotenza di tutti gli affetti coinvolti nel disturbo di un amico o un famigliare stretto. Inoltre, il modo in cui gli altri ci vedono raramente corrisponde a come noi guardiamo noi stessi. Ogni volta in cui ci si confronta con delle forme e dei numeri che, non rappresentandoci, amplificano le nostre insicurezze, a nulla servono i consigli e i complimenti di chi ci vorrebbe rassicurare.  Probabilmente costoro hanno ragione quando ci dicono che stiamo bene così, eppure qualcuno potrebbe sentirsi non capito, non visto, non riconosciuto.

«In fondo non è facile mettersi nella testa di chi apparentemente sembra lontano dalla normalità, le persone si cementano nel comodo “buon senso”. Ma il buon senso è un concetto soggettivo comune a tanti perché c’è un senso che appare buono alla maggior parte delle persone e che resta sempre qualcosa di parziale. Gli schemi della perfezione vanno infranti per capire sotto cosa c’è, cosa ci rende unici».

Come se il cervello si sfidasse in un braccio di ferro e, condannando il resto del corpo, ci inducesse a rinunciare al piacere del gusto, alla leggerezza e alla convivialità, fino a spogliarci non solo dei chili ma della nostra intera naturale e istintiva inclinazione alla vita. Traverstito da falso amico il pensiero, quel tipo di pensiero, tradisce e distrugge.

Grazie a un efficace percorso di psicoterapia e, soprattutto, alla rilettura e all'osservazione della propria storia famigliare con delle nuove lenti, Sofia accetta di interrompere la guerra, di cambiare il linguaggio, di prendersi la responsabilità di esistere, di farlo per se stessa, in armonia, secondo regole, modi e ritmi del tutto personali.

«Le mie sedute mi stavano aprendo la mente oltre gli schemi rigidi e cristallizzati della mia infanzia. Ho raccontato alla dottoressa la mia idea, dosare il senso di colpa che ho, mangiando con i miei tempi. Provare con l'assunzione graduale del cibo, secondo quello che sento dentro di me, senza forzature. Amare il poco che cucino per me, amare me».

Ho letto questo libro molto velocemente ma, a differenza di quanto avviene di solito con altri testi, la stesura del post mi è costata un notevole sforzo. Mi sono ritrovata in alcuni passaggi dello scritto di Paola Russo. Ho capito che alla base di questo disturbo ci possono essere dei rapporti "disfunzionali" con le figure di riferimento, che non ci si accetta e non ci si ama abbastanza, che la perdita del controllo genera delle abitudini perverse che sfociano nella dipendenza, che la dipendenza causa fatalmente dei gravi problemi fisici e mentali. 

Tutto molto doloroso e troppo complicato. Qualunque sia la dipendenza, il comportamento o la sostanza di cui si abusa, un passo alla volta, auguro a tutti di farcela. Non è mai troppo tardi per chiedere aiuto e ricominciare da capo. 




domenica, ottobre 09, 2022

SE MI GUARDI ESISTO. FABRIZIO CARAMAGNA


Sebbene abbia amato questo libro non meno del precedente, ho incontrato uno scrittore diverso. Le emozioni scaturite dagli incontri con il mondo esterno indagano un doppio orizzonte, fatto di luci ma anche di ombre. Dell’opera “Il numero più grande è due” mi avevano rapita le immagini piene di colore, l’eco delle risate, il sentire innocente di qualcuno che a braccia aperte corre verso la vita. In “Se mi guardi esisto” l’autore sembra il fratello maggiore dell’uomo che aveva scritto il romanzo precedente. Pur con lo stesso animo e la stessa gentilezza, indaga i misteri dell’universo con la consapevolezza di chi ha sofferto, di chi, pur frantumandosi in mille pezzi, si ricompone, di chi ha la forza di stare nel dolore e da quell’abisso nuotare senza fretta verso la superficie.

«Come si chiama quella parte del nostro corpo che ha la pelle troppo delicata, che quando esce nel mondo si deve proteggere dagli urti, dai colpi improvvisi, dagli strattoni, persino dal freddo e dalle vibrazioni delle parole? Sensibilità. Si chiama sensibilità».

Nella moltitudine dei volti anonimi che incontriamo ogni giorno si celano terre inesplorate, individui sconosciuti che forse potrebbero incastrarsi con le nostre esistenze. Se solo lo sapessimo!

«… a volte penso a quanti sguardi ci sono là fuori, che si perdono così, senza una parola, un gesto, un incontro. Il mondo è uno spreco di sguardi».

«Ma quanto ci metti a venire da me? Io non so nemmeno da quanto ti aspetto… Facciamo un gioco. Io non ti cerco più e tu mi accadi adesso».

Mi piace questa urgenza di conoscere chi ci è destinato. Che cosa starà facendo in questo momento, quali eventi lo stanno preparando al nostro primo prossimo appuntamento. Alla mercé di un fato dispettoso, di un tempo che non risponde, dobbiamo aspettare. Del resto, la rivelazione di un mistero esige una grande prova di pazienza. Siamo così abituati a riporre le nostre certezze nella scienza, che pare inconcepibile non sapere come, dove, quando e se qualcosa avrà luogo.

Nondimeno siamo così dipendenti dalla tecnologia, che cercando di piacere più agli altri che a noi stessi, dimentichiamo la differenza tra l’autentico e il falso.

«Potete fotografarvi in mille modi, da ogni angolatura con ogni filtro e ritocco ed effetto luce.

Ma il cuore quando incontra un altro cuore è l’unico apparecchio fotografico affidabile».

L’originale è sempre imperfetto, nascosta nelle sue crepe la forza travolgente della bellezza che l’amore subito riconosce.  

«Mi piaci perché hai la bellezza dei vetri rotti, delle cicatrici sulla pelle, delle copertine rovinate dei libri, dei fili aggrovigliati. C’è tanta luce dentro».

Tutti spettinati, riparati dai nostri cocci spezzati e ancora mirabilmente integri. Nonostante le peggiori cadute, le perdite anzitempo, le ferite di guerra, il messaggio forte, chiaro e rimbombante è quello di non arrendersi, di continuare ostinatamente, e malgrado tutto, a lasciare di noi e per noi qualcosa di buono.

«… L’importante non è sapere, ma cercare

Conta scrivere ogni giorno sul quaderno della vita

E farlo con una bella calligrafia.

Conta creare legami,

conta donare parole e atti di gentilezza.

Conta andare avanti e seminare

e seminare ancora».

 

Fabrizio Caramagna è un mago gentile che trasforma in meraviglia tutto ciò che ci circonda. Eppure, nonostante i suoi superpoteri, credo che nella prima pagina dei suoi libri si dovrebbe scrivere: "Fragile. Per favore maneggiare con cura".


Grazie FrabrizioCaramagna Grazie👏

 

Voto: da 11 in su fino all’infinito

 

“Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi
Solo i sogni che non fanno svegliare”

“Sì. Vostro Onore, ma li voglio più grandi”

La canzone del padre, Fabrizio de André

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

  Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insiem...