domenica, aprile 24, 2022

MAGARI DOMANI RESTO di Lorenzo Marone.

 

Luce di Notte è una giovane donna, avvocato praticante in uno studio. Nonostante sia di indole forte e fiera, nasconde la sua straordinaria sensibilità sotto a modi spesso bruschi, abituata a trattenere emozioni e parole. Nata da una famiglia di origini umili e cresciuta nei quartieri spagnoli di Napoli, apprende fin da piccola a proteggersi e a tenere le distanze da ciò che a un bambino è difficile spiegare.

“E comunque, Ninnillo, ricorda: ho solo due anni più di te, ma quei due anni so’ stati ‘na vera schifezza. E avere a che fare con lo schifo ti porta a dare del tu alla vita. Tu le dai del tu?”

La nonna materna è forse l’unica persona che in qualche maniera riesce ad attenuare lo sconforto e la solitudine causati dall’abbandono paterno e dalla freddezza materna.

“Nonna Giuseppina sarà stata pure ignorante, però la vita la capiva molto meglio delle mie maestre, e da qualche parte nel cuore ammuffito dall’umidità della sua casa e della sua vita, sapeva che senza una madre non ci può essere una buona infanzia. Perciò devo a quei pomeriggi trascorsi fuori al suo vico masticando Big Babol ... se sono riuscita a mettere da parte, in una piccola scatolina che conservo ancora sotto il letto, qualche bel ricordo”.

Significativo è il momento in cui il compagno la lascia, perchè tale evento è il punto di unione tra la vecchia e la nuova Luce: le si presentano incontri sorprendenti e situazioni che la accompagneranno in un processo di crescita e di rinascita. 

Lorenzo Marone descrive attraverso questa donna un mondo vivo e colorato, reso ancora più autentico dall’uso di alcune espressioni dialettali ("Schizzechea": pioviggina) Il lettore immagina le strade, i quartieri, le case, persino gli odori. Da una parte, in sottofondo, già nel nome del cane Alleria la musica di Pino Daniele, e dall'altra il jazz del dirimpettaio Vittorio.

Della protagonista mi colpisce la capacità di affrontare il passato, di fermarsi, di saper restare nel proprio riflessivo ironico silenzio. Nonostante il suo percorso sia stato tutt’altro che in discesa, lo sguardo è sempre rivolto verso l’alto, sospeso in una vaga speranza di felicità, assorto nella contemplazione della bellezza delle cose più piccole e semplici:

«Alleria si alza a sedere e mi lecca la mano. Chino il capo e incontro i suoi occhi dolci. A volte mi domando come sia possibile sentirsi soli su questo cavolo di pianeta che ospita miliardi di specie, che straborda di vita, di esseri animali, vegetali, insetti e persone.  E invece è proprio così, siamo tutti continuamente alla ricerca di qualcuno che ci accompagni lungo il percorso, spinti dal desiderio di trovare l’amore eterno, che sia quello di un figlio, un compagno o una madre, e nemmeno ci accorgiamo che a volte basta un amico che ti fa trovare la tavola imbandita e un messaggio sulla porta di casa, o gli occhi lucidi del tuo cane che ti fissano senza un perché. Non parlerei d’amore, una parola abusata, parlerei piuttosto di “attenzioni”».

Sebbene Luce si travesta da dura per impedire alla gente di avvicinarsi troppo e riuscire così a leggerle dentro, ella si occupa continuamente delle esigenze di chi la circonda: siano bambini, animali, anziani, indifesi in genere, si lancia in loro soccorso con quei superpoteri che sono etica e buoni sentimenti. Per il bene di chi le sta a cuore o nel rispetto dei valori in cui crede, lei sfida la paura, entra nel flusso del cambiamento e si riconosce indulgente.

“È che forse gli altri si accorgono di quando riesci a mettere un po’ di forza negli occhi e allora si avvicinano per capire se ce n’è un pizzico anche per loro”.

A causa delle ingiustizie cui assiste nell’ambito della professione e in seguito a un conflitto di coscienza, la donna si rende conto di aspirare a qualcosa di diverso. Si interroga sull’opportunità di trasferirsi al nord per costruire una nuova esistenza altrove. Vittorio, maturo vicino di casa e buon amico, imbarcatosi da giovane su una nave, le racconta: 

"Anch’io da ragazzo sentivo la necessità di fuggire, lasciarmi tutto alle spalle, pensavo fosse la soluzione migliore. Poi mi sono ritrovato in mare aperto e ho capito che tutto quello che pensavo di avere abbandonato a terra era ancora con me, nella mia cabina”.

La protagonista in effetti non è proprio alla ricerca spasmodica di un viaggio fine a se stesso, quanto di un diverso equilibrio. Lo fa restando innanzi tutto nel luogo in cui si trova, riappacificandosi con la propria infanzia e con chi ne ha fatto parte. Se è vero che molti eventi sono fuori controllo, lei interviene in modo attivo sul presente e laddove possibile contribuisce al buon esito delle vicende.

“Credo, però, di aver bisogno di tempo, di aspettare, che gli eventi facciano il loro corso, sento la necessità di seguire l’istinto e affidarmi alle piccole cose che in quest’ultimo periodo mi hanno fatta sentire bene. Sento che qualcosa prima o poi si smuoverà e mi porterà a capire quale strada imboccare”.

Lorenzo Marone mi induce a riflettere sulla necessità di liberarsi dalle catene delle infanzie infelici. Penso che il problema dei bambini che soffrono a causa delle mancanze o dei conflitti tra i genitori, sia l’incapacità degli adulti di accompagnarli in un processo di elaborazione del dolore. Se Luce fosse stata aiutata a comprendere ed accettare la sparizione paterna, sarebbe stata certamente una persona più serena e sicura di sé, certamente meno sulla difensiva. Che poi, come si fa a non esserlo?

Insomma, non è mai troppo tardi per curare le antiche ferite e dopo, soltanto dopo, voltare pagina e andare avanti. Proprio come per il personaggio principale del romanzo, ciascun nuovo ciclo nasce sulle ceneri di quello che lo ha preceduto. 

Voto: 8 e mezzo

Grazie LorenzoMarone Grazie

 

 

 

 

 

 

 

 


lunedì, aprile 18, 2022

Stavolta un film: MARILYN HA GLI OCCHI NERI.


Sarà che il termine “normalità” mi reca una vaga tristezza, sarà che la mancanza di follia annienta lo straordinario, sarà che "da vicino nessuno è normale" … sarà che gli storti e gli smarginati da sempre attraggono non solo la mia attenzione ma anche un’incondizionata simpatia, questo film è il più bello che abbia visto dall’inizio dell’anno.

I protagonisti sono un cuoco e un’attrice un po’ mitomane. Diego, interpretato da uno strepitoso Stefano Accorsi, è un individuo balbuziente, dall’aspetto dimesso e dall'incedere malfermo. Clara, impersonata da Miriam Leone, è una donna che,  mistificando la realtà, aggroviglia continuamente le sue fantasie alla vita vera, con conseguenze talvolta catastrofiche. Questi improbabili amici si incontrano in un centro diurno di riabilitazione e, con altri compagni di cura, metteranno su un ristorante di successo.

Al di là della regia, del cast o dei personaggi, tutti autentici, credibili e intensi, rifletto su quello che la pellicola lascia nello spettatore. Quante volte ci si imbatte in persone sconosciute che si esprimono o si comportano in modo non “consono” o non “conforme” al nostro? Quante volte ci è capitato di restare turbati di fronte a uno sguardo allucinato o a un viso stravolto? Tutti freschi di doccia, con i capelli ordinati, guardiamo da una pedana rialzata strane creature precipitate nelle nostre strade perfette chissà da quale mondo dannato. Ecco, il film di Simone Godano ci spiega esattamente da dove arrivano questi esseri strambi che non sono per nulla così lontani dalla nostra esistenza.

Chiunque, messo ripetutamente alla prova dai geni o dal destino, privato dell’amore, abbandonato dagli affetti, sottoposto a ripetute ingiustizie o semplicemente e legittimamente fragile, chiunque di noi potrebbe diventare come Diego, Clara o Susanna, che soffre della sindrome di Tourette. Temo di essere banale e forse anche ripetitiva ma le persone sono viaggi, tutte. Anche dinnanzi al comportamento più inspiegabile, cerchiamo di ricordarci che la sofferenza non elaborata logora e distrugge. Alla base delle azioni ci sono sempre dei motivi, non dico di condividerli, ma quanto meno fare lo sforzo di rammentarsene.

 Alle persone non gliene frega niente, eh! Pensano di aver ragione solo perché sono di più quelli normali!

C’è chi non ha nulla da perdere perché non ha proprio niente

Un’altra frase di Diego, che purtroppo non posso citare in modo esatto, esprimeva la solitudine che si prova quando non ci si sente capiti da nessuno. Forse potrebbe essere proprio questo il punto di inizio. A chi non è mai capitato di sentirsi così? Chi non si è mai chiesto “ma sono io che sono matto o sono gli altri che non mi capiscono”?

Lo psicoterapeuta del gruppo è una figura autorevole, dice le cose che io mi vorrei dire quando sono in difficoltà. L’attore che lo impersona è Thomas Trabacchi, bravo, incisivo e delicato, come richiede il ruolo. Non capisco perché gli affidino sempre dei personaggi secondari. Si meriterebbe molto di più e glielo auguro con tutta la mia stima.

Grazie lettore Grazie.

P.S. Questo film è disponibile su Netflix ed è del 2021.

DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

  Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insiem...