martedì, maggio 14, 2024

NESSUNO PUÒ FARTI STARE MALE SENZA IL TUO PERMESSO di P. BORZACCHIELLO - E. SEDNAOUI

 


Nessuno può farti stare male senza il tuo permesso è un corso di autodifesa emotiva. Il testo, strutturato in forma di diario, sembra rivolgersi ai giovani e ai giovanissimi. I protagonisti sono infatti alcuni ragazzi che frequentano le scuole superiori; il linguaggio è semplice, immediato, costituito da periodi brevi ed efficaci. Al di là del pubblico a cui è destinato, credo che il lettore possa appartenere a qualsiasi generazione, poiché ognuno di noi vi può trovare delle istruzioni preziose.

La prima delle sfide lanciate dagli autori scaturisce dal bisogno di riconoscere e gestire le emozioni più impetuose: “Se vuoi stare meglio, devi tenere un bel diario… un diario riferito agli episodi emotivi che ti turbano, con le tue riflessioni e nel quale descrivi quel che ti capita e quando, e in cui magari, elenchi le tue idee riguardo a ciò che potresti fare per stare meglio e così via”. Già in altre pubblicazioni a sfondo psicologico ho trovato lo stesso consiglio. Tuttavia, non credo che sia praticabile con costanza: di fatto, l’analisi richiede tempo e attenzione focalizzata su ogni singolo episodio che ci causa agitazione. Non si tratta solo di raccontare cosa è successo ma di andare dietro all’esperienza e guardarsi dall’interno con fare investigativo. Dopo qualche tentativo, ci si interrompe, perché un così complesso ragionamento esige un notevole investimento di energie. Perché invece non scrivere delle lettere a se stessi? Parlarsi a cuore aperto e andare a prendere per mano quella parte di noi che si è persa.

Del libro trovo geniale un principio semplicissimo, di cui purtroppo si trascura il valore. “Le persone possono dirti quello che vogliono, ma sei sempre e solo tu che scegli di credere o non credere a quello che dicono. E soprattutto sei tu che puoi dare o non dare valore alle persone che ti dicono quelle cose”. Alla fine, l’importanza di un discorso dipende da chi lo pronuncia. Passiamo il tempo a giustificarci o a difenderci dai giudizi altrui, sprecando inutili risorse. Il fatto che qualcuno ci attribuisca delle caratteristiche, non significa che noi siamo così come ci definiscono. Al contrario, più insistiamo nel voler modificare l’opinione dei nostri detrattori, più gli diamo ragione. Quando poi la critica proviene da una fonte di risaputa stupidità, la risposta più bella è la seguente: “Si, e quindi?” … sostenendo fieramente lo sguardo con l 'arrogante interlocutore.

“Ricordati che le parole che tu scegli per descrivere il mondo dicono chi sei tu, non com’è il mondo”. Questo vale per tutti, per noi quando proiettiamo sul prossimo la nostra visione della realtà così come per l'altro, nel momento in cui giudica e pontifica.

“La tua realtà è il risultato delle parole che usi per descriverla”: Analogamente alla PNL (programmazione neurolinguistica), anche in questo manuale si offre una strategia basata sulla scelta del linguaggio, sulla visualizzazione e sul raggiungimento di uno stato di calma interiore. Alla fine, si tratta di creare delle suggestioni positive che attraverso respiro, immagini e parole creino un circolo virtuoso. “Ecco perché devi sempre prestare attenzione alle parole che usi e a quante ne usi… perché le parole che usi diventano gli ormoni che hai in corpo, e questi ti fanno star male o bene. Cosi come dici di stare, stai”.

Non credo che gli esseri umani siano tutti così crudeli da fare deliberatamente del male ai loro simili, penso piuttosto che lo facciano senza rendersene conto. La maggior parte delle volte si è così limitati, da non capire neppure il peso delle proprie azioni ...e non so cosa sia peggio tra la cattiveria e l'ignoranza. "Quando ti parlano dietro e complottano, magari divertendosi a creare litigi tra altre persone, questo è bullismo. Quando in una chat nessuno risponde ai tuoi messaggi, come se non ci fossi, questo è bullismo…tutti i giorni tantissime persone vengono escluse e per loro è una gran lotta".

Quanto più si è pronti a cambiare e a lavorare su se stessi, tanto più ha significato la lettura di questo manuale.  E in ogni caso, la prossima volta, se qualche bullo cercherà di attaccarci con fatti, gesti o parole, non saremo noi a dargli le armi e soprattutto avremo qualche strumento in più per neutralizzare gli stronzi 💪.

Regalate questo libro ai vostri figli e ai figli dei vostri amici.

 




 

 


giovedì, aprile 18, 2024

L'ELEGANZA DEL RICCIO di Mauriel Barbery

 

Rue de Grenelle 7, a Parigi, è sede di un elegante palazzo da cui si possono osservare i destini degli altolocati condomini. La maggior parte di costoro sfiora la narrazione, salendo e scendendo i piani dell’edificio e passando distrattamente davanti alla guardiola di Madame Renée Michel. Benché la portinaia appaia come una donna di mezza età poco curata, robusta, piuttosto asciutta nei modi e teledipendente, ella è in realtà una persona coltissima, esperta di arte, filosofia, musica e appassionata alla cultura giapponese.

Ho battuto in ritirata, certo, rifiutando lo scontro. Ma, nel chiuso della mia mente, non esiste sfida che io non possa accettare. Umile per nome, posizione e aspetto, nell’intelletto sono una dea invitta”.

Tra i pochissimi in grado di vedere oltre le apparenze, la dodicenne Paloma, che diventerà sua amica. La ragazzina, dotata di straordinaria intelligenza, progetta il proprio suicidio, insofferente e stanca dell’ipocrisia e della mediocrità che la circondano.

“Quindi mi avvio tranquillamente alla data del 16 giugno e non ho paura. Magari qualche rimpianto, forse. Ma il mondo, così com’è, non è fatto per le principesse”.

Ah come la capisco!

Mi imbatto continuamente in una società che attribuisce agli individui etichette e ruoli. Su tali basi le persone smettono di essere chi sono per diventare personaggi, identificandosi in qualcosa che qualcun altro ha stabilito per loro, forse ancora prima che nascessero. Renée e Paloma fanno esattamente il contrario. Fin da piccole si mimetizzano, riconoscendo i limiti delle opinioni correnti e la schiavitù degli stereotipi, sentono il bisogno di proteggere la propria identità e il proprio talento dal giudizio e dalle contraddizioni dei luoghi comuni. Mentre la custode si ribella a tutto questo offrendo ai residenti del palazzo l’immagine che costoro di lei si sono fatti, la ragazza si nasconde di continuo da una famiglia in cui si sente estranea e prigioniera.

“E io forse sono la più grande vittima di questa contraddizione, perché per un’oscura ragione sono ipersensibile a tutto ciò che stona, come se avessi una specie di orecchio assoluto per le stecche, per le contraddizioni”. (Paloma)

“Non vediamo mai al di là delle nostre certezze e, cosa ancor più grave, abbiamo rinunciato all’incontro, non facciamo che incontrare noi stessi in questi specchi perenni senza nemmeno riconoscerci. Se ci accorgessimo, se prendessimo coscienza del fatto che nell’altro guardiamo solo noi stessi, che siamo soli nel deserto, potremmo impazzire”. (Paloma)

Eppure, nella loro solitudine, tanto la bambina quanto l’adulta svolgono riflessioni importanti, frequentano la bellezza e ne fanno ripetuto esercizio. Attraverso la passione per la cinematografia giapponese, madame Michel ricorre alla metafora della camelia sul muschio per rivelare la poesia, la meraviglia e l’immortale incanto delle cose più pure e semplici.

“La camelia sul muschio del tempio, il violetto dei monti di Kyoto, una tazza di porcellana blu, questo dischiudersi della bellezza pura nel cuore delle passioni effimere non è ciò a cui aspiriamo tutti? E che noi, Civiltà occidentali, non sappiamo raggiungere?

La contemplazione dell’eternità nel movimento stesso della vita.

…Io sono molto camelia sul muschio. A pensarci bene, nient’altro potrebbe spiegare la mia reclusione in questa tetra guardiola. …In effetti, quando la lotta contro l’aggressività del primate si appropria di queste armi prodigiose che sono i libri e le parole, l’impresa è agevole: e così divenni un’anima istruita che attinge dai segni scritti la forza di resistere alla sua natura”.

In qualche modo, l’autrice, attraverso le sue protagoniste, dice cose che fanno tanta compagnia a chi si sente strano e solo nella propria visione dell’esistenza. Per quanto poco ospitale possa essere la società in cui si vive, esiste una bellezza divina; che è quella che si cela dietro alle luci e alle ombre del quotidiano. La camelia sul muschio è il sorriso di un passante in un giorno piovoso, una canzone che parte alla radio e che parla di te, il volo improvviso di un branco di fenicotteri, la prima rondine di primavera … e tanto altro per chi è disposto a cercarlo e a ricordarsene.

Solo verso la fine del romanzo Paloma e Renée si incontrano e si riconoscono. La ragazza ha il dono di saper cogliere l’invisibile eleganza della custode del condominio; di individuare nelle sue forme sgraziate e nei suoi modi asciutti la roccaforte che immette nelle stanze più belle del castello.

“Madame Michele ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti”.

L’amicizia nasce in modo immediato, poiché la bambina, con le sue domande e con i suoi discorsi insoliti per una dodicenne, entra nelle giornate della portinaia di rue de grenelle.

“E rimaniamo lì a lungo , tendendoci per mano, senza dire niente, sono diventata amica di una bella anima di dodici anni verso la quale provo un’enorme gratitudine, senza che l’incongruità di questo attaccamento simmetrico per età, condizione e circostanze riesca a sminuire la mia emozione”.

La vicenda offrirebbe altri spunti di analisi e riflessione, taluni personaggi come Manuela e monsieur Ozo meriterebbero una recensione a parte. Anche costoro, analogamente alle camelie, al violetto dei monti di Kyoto, alle tazze di porcellana blu dischiudono bellezza nel cuore di Renée.

Le risposte che la bambina trova dentro di sé possono essere interpretate come un invito ad accorgersi che qualcosa accade, nel momento in cui lo si vive…Rendersi conto della propria felicità durante e non dopo.

“Guardando lo stelo e il bocciolo cadere, ho intuito in un millesimo di secondo l’essenza della Bellezza. Si, proprio io, una marmocchia di dodici anni e mezzo, ho avuto questa fortuna inaudita, perché stamattina c’erano tutte le condizioni favorevoli: mente vuota, casa calma, belle rose, caduta di un bocciolo… è una questione di tempo e di rose. Il bello è ciò che cogliamo mentre sta passando”.

“Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita è così: molta disperazione, ma anche qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso. È come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai”.

Ogni volta che avrò l’impressione di essere felice, o proverò una strana gioia o il desiderio di trattenere qualcosa che sta per passare, sarà il mio sempre nel mai.

 


Solo se riesci ad accogliere il visibile e l’invisibile, quel rettangolo di cielo lassù può iniziare ad avere un senso.
(Fabrizio Caramagna)

venerdì, aprile 05, 2024

OCCHIALI NUOVI DI ... ROSSANA PALIERI LAROSE

 

Sono trascorsi quattro anni dalla data di apertura del mio blog. Ho descritto viaggi, condiviso esperienze e commentato numerose letture. Tuttavia, stavolta non si tratta solo di un libro ma di un vero e proprio viaggio nel tempo … il mio, dal momento che ne sono l’autrice. Care lettrici e cari lettori, miei amatissimi quattro gatti, vi presento Occhiali Nuovi.

Una mattina di due autunni fa giunse a prelevarmi un veicolo spaziale, pilotato da uno straordinario equipaggio di undici persone. Si aprì lo sportello e senza esitare entrai all’interno dell’astronave. La squadra mi accolse con sorrisi e cordialità, ciascun membro della squadra mi accompagnò nella propria epoca e mi lasciò in dono le immagini della sua particolare storia. Domenica (1925), Harry ed Helga (1931), Editta e Fanny (1932), Amabile (1935), Klaus (1939), Rosemarie (1940), Attilio (1942), Ulrich (1943) e Maria Estela (1944), a turno mi prestarono degli occhiali magici. Ogni volta in cui mi intrattenevo a parlare con loro, indossandoli, potevo vedere il luogo in cui erano nati, cresciuti e tutte le vicende che avevano attraversato. Per mezzo di quelle lenti dai poteri incredibili, ho scoperto di aver perso un fratello nella campagna di Russia, di essere scappata dalla furia omicida dei soldati dell’Armata Rossa, di essere sopravvissuta alla catastrofe e ai bombardamenti. Mi sono vista mondare il riso e allevare bachi da seta … e poi, quando sono diventata ebrea, sono scappata nelle fogne per sfuggire alle deportazioni. Qualche anno dopo la fine della guerra, ho vissuto a Berlino ma un muro infinito, più largo che lungo, mi impediva di vedere l’altro lato del cielo. Di armi non ne volevo sapere, così ho disertato e sono andata a lavorare in miniera, fino a non distinguere più il giorno dalla notte. In Spagna, ho aiutato tanti bambini a venire al mondo e, alla fine, danzando sulle note dei musical più belli, sono diventata ballerina. Di dittatura in dittatura, di decennio in decennio, ho attraversato i giorni e osservato la realtà così come mi si palesava.

Il soggiorno sulla navicella durò circa un anno solare. Mi ci volle un po’ per riprendere le vecchie abitudini. Continuavo a pensare a quella fantastica ciurma, così vitale e forte. Ne sentii parecchio la mancanza. Poi, frugando nella borsa, trovai un astuccio. Domenica, senza che la vedessi, mi aveva nascosto gli occhiali magici in una tasca. Fu una delle ultime cose che fece, prima di partire verso il sole.

Dunque, ancora una volta m’infilai quelle lenti e incominciai a scrivere. Elaborai le altrui vicende e cercai di farle mie: soprattutto ne accolsi tanto il bene quanto il male, per poterne riferire al mondo e gridare «É successo! È successo! È successo!».

Da allora la mia visione dell’esistenza è cambiata e quando gli eventi mi sembrano incomprensibili, prendo posto su un’altra sedia e indosso i miei occhiali nuovi.

Ringraziando il mio fantastico equipaggio, auguro a chiunque legga o leggerà questo libro certamente una gradevole lettura ma ancor di più un fantastico viaggio nel tempo.

Rossana PL

 



mercoledì, marzo 13, 2024

AVEVANO SPENTO ANCHE LA LUNA di RUTA SEPETYS


ll romanzo di Ruta Sepetys descrive, pur attraverso personaggi inventati, vicende reali: fatti troppo e purtroppo ignorati o solo superficialmente conosciuti.

Nell’estate del 1940 quando i paesi baltici vengono annessi all’Unione Sovietica, la dittatura di Stalin mette in atto un’implacabile campagna al fine di eliminare ogni potenziale minaccia per il regime. Pertanto, famiglie intere e persone di qualsiasi estrazione sociale vengono aggiunte alle liste dei nemici di classe, arrestate e deportate in un girone infernale.

La vicenda di Lina, voce narrante della storia, incomincia proprio con questo traumatico avvenimento.

“Mi arrestarono in camicia da notte … Non fu un bussare, fu un rimbombo cupo e insistente che mi fece sobbalzare sulla sedia”.

Solo nei giorni tra il 14 e il 18 giugno 1941 la polizia sovietica cattura in Lituania 45 mila abitanti, tra questi ci sono 2’400 bambini che hanno meno di dieci anni. I prigionieri sono condotti alla stazione e costretti a salire sui vagoni merci, ammassati come bestie. Nel corso di un viaggio ai confini della realtà, durante il quale molti prigionieri muoiono di stenti, i convogli raggiungono i gulag siberiani.

Analogamente a ciò che accade agli ebrei nell'Europa occupata dai nazisti, nel momento in cui gli abitanti del villaggio di Lina salgono sulle carrozze dei treni, vengono privati della dignità. Agli occhi dei soldati della polizia sovietica (NKVD) questi individui smettono all’istante di essere persone, quegli occhi, quei corpi magri diventano una materia animata ma senza anima nè cuore e diritti. Forse è proprio quello il momento in cui la luna si spegne, ancora prima dell'arrivo in Siberia.

“Sorse il sole e la temperatura nel vagone si alzò rapidamente. L’odore stagnante di feci e di urina incombeva su di noi come una coperta sudicia… Una guardia si avvicinò al vagone e ci porse due secchi uno d’acqua e uno di brodaglia…L’intruglio grigio sembrava mangime per animali. Qualche bambino si rifiutò di mangiarlo”.

I personaggi raggiungono la zona dei monti Altaj in Mongolia, ad una distanza di quasi 6 mila chilometri dalla loro terra di origine. Dopo alcuni mesi in questo campo di lavoro forzato, Lina e la sua famiglia si separano dagli altri per essere trasferiti fino a Trofimovsk, luogo gelido e inospitale alle soglie del mar glaciale Artico.

Proprio come i lager nazisti, i gulag sono dei campi di concentramento. Il regime sovietico si avvale di questo tipo di insediamento per eliminare chiunque sia ritenuto scomodo, indesiderato sulla base di sospetti infondati o su indicazione di subdoli delatori. Imponendo ritmi di lavoro disumani, in condizioni climatiche estreme, il governo sfrutta i reclusi fino al loro completo annientamento. Fame, fucilazioni arbitrarie, minacce, continue violenze fisiche e psicologiche sono all’ordine del giorno.

“Si avvicinò l’autunno. L’NKVD ci faceva lavorare sempre di più. Se per caso osavamo incespicare, riducevano la nostra razione di pane. La mamma riusciva a racchiudere il mio avambraccio fra il pollice e il medio della sua mano. Non avevo più lacrime… Era difficile immaginare che la guerra infuriava da qualche parte in Europa. Noi avevamo la nostra guerra personale, aspettando che l’NKVD scegliesse la vittima successiva, che ci gettasse nella prossima buca”.

L’io narrante è la voce di una ragazza adolescente, quattordicenne al momento del rastrellamento. Tra le varie figure del romanzo lei spicca con una straordinaria forza di volontà. Consapevole di essere nelle mani di carnefici perversi, reagisce alla malvagità con coraggio e senza vittimismo. Al contrario, usa il talento del disegno, per rappresentare graficamente tutto il male di cui è testimone e lasciare ai posteri, tramite la potenza delle illustrazioni, il suo grido di denuncia.

“Era più difficile morire o essere tra i sopravvissuti? Io avevo sedici anni, ero un’orfana in Siberia, ma conoscevo la risposta. Era l’unica cosa di cui non avevo mai dubitato. Volevo vivere. Volevo vedere mio fratello crescere. Volevo rivedere la Lituania…Volevo annusare il mughetto nella brezza sotto alla mia finestra. Volevo dipingere nei prati…C’erano solo due possibili esiti in Siberia. Il successo significava vivere. Il fallimento significava morire. Il volevo la vita. Io volevo sopravvivere”.

L’autrice, di origine Lituana, scrive questo romanzo dopo avere svolto un’accurata ricerca, documentandosi mediante le testimonianze dei superstiti o ascoltando quelle dei loro discendenti.

Alcune guerre si vincono con i bombardamenti. Per le popolazioni del Baltico questa guerra è stata vinta credendoci. Nel 1991, dopo cinquant’anni di brutale occupazione, i tre paesi baltici hanno riconquistato l’indipendenza in maniera pacifica e con dignità. Hanno scelto la speranza e non l’odio e hanno dimostrato al mondo che anche alla fine della notte più buia c’è la luce. Per favore, fate ricerche sull’argomento. Parlatene. Queste tre piccole nazioni ci hanno insegnato che l’amore è l’esercito più potente”.

Parliamone!

 

 Dovremmo riempire il cuore di gentilezza, la bocca di educazione, le mani di accoglienza e la testa di buoni libri.

 Forse solo così potremmo tornare a essere umani.

                                                    (Fabrizio Caramagna)

 

 

 

 


martedì, febbraio 27, 2024

LESSICO FAMIGLIARE di Natalia Ginzburg

 


LESSICO FAMIGLIARE nasce dall’intenzione dell’autrice di realizzare un breve racconto con cui rappresentare il linguaggio e le memorie della propria famiglia. Lo spunto linguistico in realtà si spinge oltre le previsioni della scrittrice e diviene una lunga analisi, attenta e approfondita, di tutto il mondo che le ruota intorno: epoche, persone e personaggi, dinamiche sociali, culturali e politiche compongono un grande affresco storico, umano e psicologico.

La cronaca inizia proprio con l’infanzia di Natalia Ginzburg, la più piccola dei cinque figli della famiglia Levi, ebraica dalla parte paterna e cattolica da quella materna.  Il modo in cui parenti e amici sono descritti, li rende riconoscibili e consueti negli atti, nelle reazioni e nelle fissazioni. Fin da piccola, la narratrice li osserva cosi come li vede e come li vive di giorno in giorno, mostrandoli senza giudizio. Istintivamente li si comprende, poiché le loro azioni corrispondono alla loro natura. Il personaggio più impetuoso è certamente il padre Giuseppe. Uomo di grande cultura, professore universitario, scontroso, testardo, insopportabile e incorreggibile. Coltissimo, eppure incapace di cambiare il proprio punto di vista, prigioniero di se stesso e delle proprie convinzioni. Il lettore, già dopo poche pagine, lo compatisce poiché riconosce subito nella sua inadeguatezza l’impossibilità di progredire.

«Mio padre invece usava gettare sulle cose nuove, che non conosceva uno sguardo torvo, pieno di sospetto».

«-Cosa sono tutti quei fulignezzi? I fulignezzi erano, per mio padre, i segreti: e non tollerava veder la gente assorta a parlare, e non sapere cosa si dicevano».

Lidia, la madre, è una donna affettuosa, amorevole ma anche volubile e dall’animo mutevole, spesso un’anima in pena, che non sta bene veramente da nessuna parte.

«Come vorrei essere un re fanciullo, - diceva mia madre con un sospiro e un sorriso, perché le cose che più la seducevano al mondo erano la potenza e l’infanzia, ma le amava combinate insieme, così che la seconda mitigasse la prima con la sua grazia, e la prima arricchisse la seconda di autonomia e di prestigio».

Di questa figura ciò che più ho apprezzato è la naturale inclinazione a diventare cinque madri diverse, modellando ogni volta se stessa in base alle esigenze di ciascun figlio.

«Com’è carino, com’è simpatico Mario – diceva mia madre lisciando i capelli a Mario che s’era appena alzato, e aveva per il sonno, gli occhi piccoli, quasi invisibili … - Non trovi anche tu che il Mario è bello? - chiedeva a mio padre. – Io non lo trovo tanto bello. È più bello il Gino – rispondeva mio padre».

«Mia madre sentiva per me un senso di protezione che non sentiva per gli altri suoi figli, forse perché io ero, dei suoi figli, la minore … Inoltre le sembrava sempre che io fossi in pericolo, perché Leone di tanto in tanto lo arrestavano».

La storia dagli anni del fascismo fino al dopoguerra è coprotagonista di tutta la vicenda dei Levi. I tragici accadimenti di quell’epoca hanno immediate conseguenze nelle dinamiche della famiglia. Tanto che l’opera è una testimonianza davvero preziosa di quegli anni cruciali per il destino di tutti e degli ebrei in particolare.

«E poi mio padre … pensava di essere uno dei pochi antifascisti rimasti in Italia … Salvatorelli, i Carrara, l’ingegner Olivetti erano i pochi antifascisti rimasti, per mio padre, al mondo. Essi conservavano, con lui, ricordi del tempo di Turati, e di un falso costume di vita che sembrava fosse stato spazzato via dalla terra. Stare in compagnia di queste persone significava respirare un sorso d’aria pura».

Natalia sposa Leone Ginzburg, intellettuale, ebreo e antifascista.

«Leone dirigeva un giornale clandestino ed era sempre fuori casa. Lo arrestarono, venti giorni dopo il nostro arrivo, e non lo rividi mai più».

Dell’intero romanzo mi impressione il punto di osservazione da cronista. La scrittrice riesce sempre a rimanere oggettiva, i fatti sono i fatti così come si sono svolti. Il dolore si immagina, si interpreta ma non lo si descrive. Inevitabilmente davanti al lettore scorrono i fotogrammi degli avvenimenti ma l’identificazione con le emozioni dei protagonisti richiede uno sforzo ulteriore.

Di Lessico Famigliare l’aspetto più interessante per me resta ciò che il titolo contiene: quel linguaggio particolare ed esclusivo che le famiglie usano per comunicare nella quotidianità e che, in parte, sostituisce ed integra l'idioma ufficiale. Per tacito accordo tutti i membri del focolare domestico, ricorrendo a delle parole che solo loro possono riconoscere, consolidano il senso di appartenenza al proprio gruppo.

«Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in cinque città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire (…) De cose spussa l’acido solfidrico per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti… Una di quelle frasi ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone».

Alcune espressioni come non fate malegrazie, non fate sbrodeghezzi, cosa sono tutti quei fulignezzi … evocano probabilmente in ogni famiglia un analogo repertorio. Allora mi soffermo sul mio lessico famigliare, costruito attraverso episodi buffi, presi in prestito dall’infanzia, reso ancora più strano dal miscuglio dei dialetti e delle lingue che hanno attraversato la mia vita. Mia zia che diceva di mangiare l’insalata che sgrümasa (e sgrümaserà per sempre), mia figlia che ci chiedeva cosa facete? o si complimentava dicendo brava idea! Per non parlare dell’isola di Gallinara in Liguria ribattezzata isola della gallina. Insomma tutti abbiamo contribuito alla costruzione di un gergo magico e poetico, straordinariamente efficace. Comunque vadano le cose e per quanto possano essere complicate le relazioni, laddove esiste un lessico famigliare, esiste una famiglia.

 

 

 

 

 

 


giovedì, febbraio 08, 2024

SOLARIS di STANISLAW LEM


Nonostante il genere della fantascienza sia lontanissimo dai miei interessi, credo che sia bene, di tanto in tanto, esplorare zone sconosciute per vedere altro e fare esercizio di pensiero trasversale: in effetti, il libro di Stanislaw Lem ha numerosi aspetti su cui vale la pena soffermarsi.

Solaris è un pianeta in cui l’unica forma di vita è un oceano gelatinoso e pensante. Lo psicologo Chris Kelvin, che vi si reca in missione, riscontra immediatamente una serie di stranezze: morti sospette, visioni strambe e misteriose. Gli scienziati lì residenti sono molto turbati e confusi.  L’intera vicenda della stazione spaziale ruota intorno al moto di un mare intelligente, un marasma in grado di scansionare la memoria degli studiosi durante il sonno, carpendone desideri ed intimi pensieri, al fine di creare delle repliche, altri ospiti che altro non sono che le proiezioni dei loro ricordi. Nel caso di Chris, sconvolgente è l’incontro con la moglie (o la sua copia), morta suicida dieci anni prima della missione.

Nonostante le tante pagine difficili da comprendere, per chi, come nel mio caso, non abbia delle solide basi scientifiche, il libro è davvero straordinario per la sua modernità. Basti immaginare che, benché Solaris sia stato pubblicato per la prima volta nel 1961, i personaggi comunicano tra loro all’interno della base spaziale attraverso una primordiale chat di gruppo.

L’attenzione del lettore si rivolge sia al sapere scientifico che alla psicologia, e mi chiedo quale tra le due discipline sia più ostica da esplorare. Gli ambiti che indagano mondo esterno e natura osservano delle leggi meccaniche, nelle quali il ripetersi di certi fenomeni di solito dà luogo a delle regole, pur con tutte le possibili eccezioni. Quando invece si percorre il campo delle scienze umane e delle psiche non è forse ogni singolo uomo l’eccezione per antonomasia? Ciascun individuo costituisce una singola ed irripetibile materia di studio, con dinamiche proprie e tuttavia non sempre comprensibili.

“L’uomo era andato incontro ad altri mondi ed altre civiltà senza conoscere fino in fondo i propri anfratti, i propri vicoli ciechi, le proprie voragini e le proprie porte sbarrate”.

Già nel 1961 l’autore mette in luce l’arroganza e l’egoismo della nostra specie, ne denuncia tutta l’ipocrisia, quando nel proclamare i più nobili obiettivi, in realtà questa persegua unicamente l’espansione del proprio ego. Davvero l’uomo è alla ricerca del progresso attraverso il confronto, o è più facilmente teso ad affermare la sua potenza mediante l’annichilimento di tutto ciò che lo ostacola o lo mette in discussione?

“In realtà quello che vogliamo non è conquistare il cosmo ma estendere la terra fino alle sue frontiere…siamo nobili e umanitari, non vogliamo asservire le altre razze ma solo trasmettere loro i nostri valori e, in cambio, impadronirci del loro patrimonio. Ci consideriamo i cavalieri del Santo Contatto e questa è la menzogna numero due: la verità è che cerchiamo soltanto la gente. Non abbiamo bisogno di altri mondi ma di specchi…Il fatto è che non arriviamo dalla terra come campioni di virtù o come monumenti dell’eroismo umano: ci portiamo dietro esattamente quello che siamo e quando l’altra parte ci svela la nostra verità ­­– il lato che teniamo nascosto – non riusciamo ad accettarla!”.

Da questa lettura ho capito che anche se un testo non mi appassiona o mi costa fatica nel leggerlo, non è detto che non abbia qualcosa di importante da trasmettere. Per tutto il tempo mi chiedevo:«ma qual è il messaggio? Perché qualcuno mi ha assegnato questo compito? Cosa devo imparare?». Trattandosi di un libro di fantascienza ognuno può trarre le più originali conclusioni. La mia è che noi terrestri, in generale, tendiamo istintivamente a proiettare sugli altri una personalissima visione dell’esistenza e nel farlo interagiamo con il prossimo più come se fosse uno specchio che un essere separato e indipendente dai nostri ragionamenti: proiettiamo aspettative, desideri, il nostro concetto di giusto o sbagliato. A Chris viene restituita la replica della moglie Harey, non la compagna come è veramente ma quello che l’oceano ha scoperto nel subconscio del protagonista, come lui la vede, la vuole e la sente. Queste presenze alla fine sono dei simulacri, che non riportano in vita se stesse ma l’immagine che gli umani avevano di loro. Il messaggio forte e chiaro è quello di sforzarsi di guardare gli altri per come sono veramente e non per come noi ci ostiniamo a vederli. Del resto, per quanto sia complicato mettersi da parte, è decisamente più gratificante essere circondati da anime vive, vere, pensanti e dissenzienti piuttosto che da pura apparenza.

Ora, detto questo, le persone che ci stanno sulle palle (perdonate il francesismo) possono continuare a stare lì dove si trovano ma… si può fare il piccolo esercizio di ricordare che costoro sentono, vivono e pensano a proprio modo e piacimento, a prescindere da noi e, probabilmente, quei loro gesti fastidiosi avvengono nostro malgrado e non a causa di uno studiato piano persecutore. Proviamo a convincerci che, per fortuna, noi non siamo così importanti per loro. Siamo solo e per fortuna diversi da loro.



 

 

 

 

 

 

 

giovedì, gennaio 18, 2024

MATTATOIO N. 5 di KURT VONNEGUT

 

Si tratta di un romanzo di fantascienza del 1966. E la prima volta che leggo un libro di questo genere e, se non mi fosse stato assegnato come compito, mai lo avrei scelto. Ammetto con sorpresa che ne è valsa davvero la pena.

Attraverso il personaggio di Billy Pilgrim, l’autore descrive la distruzione di Dresda e  mette in evidenza con straordinaria originalità la barbarie della guerra: lo fa mescolando il reale al surreale, fino a confondere il lettore. Il protagonista viaggia in una dimensione spaziotemporale e cambia continuamente contesto: lo scenario bellico della seconda guerra mondiale si alterna all’America degli anni sessanta come pure ad una prigionia presso gli alieni di indefinibile durata.

Billy sembra non avere il minimo controllo sulle cose che gli accadono, tanto che le vive come se venisse trasportato all’interno di un inarrestabile flusso: galleggiando in direzione della corrente, egli si abbandona al perpetuo caos dell'universo. Qualsiasi evento gli si scagli contro, lui osserva, va avanti e, lasciando andare ogni giudizio, cerca di sopravvivere. Il suo fascino principale è proprio saper stare nel momento con l’ingenuità e l’innocenza di un bambino. Di conseguenza, che sia il racconto della reclusione dell’autore nelle mani dei tedeschi, quello della sua professione di ottico o che si tratti della narrazione del rapimento sul pianeta di Tralfamadore, ciascun istante è vissuto in un presente eterno e dilatato.

Talvolta Pilgrim ha bisogno di versare qualche lacrima per consentire alle emozioni di uscire ma non si lamenta e non si piange mai addosso.

Ciò su cui la storia fa riflettere sono i temi dell’accettazione e della scelta. Gli esseri umani istintivamente cercano di avere il controllo sull’esistenza, fanno fatica ad accogliere eventi non scelti e indipendenti dalla loro volontà. Al contrario Billy, invece di opporre resistenza e sacrificare preziose risorse, ripete come un mantra la frase “cosi è la vita”. Nonostante le conseguenze più agghiaccianti del conflitto siano senza sosta sotto il suo sguardo e benché lutti e dolore ripetutamente lo colpiscano, l'approccio dell'autore rivela una luce di fondo, la fiducia che la morte sia un passaggio veloce al quale seguirà non tanto un nuovo inizio ma piuttosto un proseguimento. In sostanza, si muore per continuare a vivere. 

“Se è vero quello che Billy Pilgrim ha imparato dai tralfamadoriani , e cioè che tutti noi vivremo in eterno, indipendentemente dal fatto che ogni tanto possiamo sembrare morti, non ne sono poi così felice. Comunque, se devo passare l’eternità visitando ora questo e ora quel momento, sono grato che tanti di questi momenti siano belli”.

Il protagonista è strano, strano ma bello. La sua attitudine è una sfida, poiché istintivamente i più si illudono di controllare non solo la propria vita ma anche lo spazio e il tempo. In realtà l’unica certezza che possiamo avere è quella di essere parte di un grande mistero, all’interno del quale è sensato fare bene, coscienti che le cose semplicemente accadono e le persone semplicemente sono.

“Sulla parete del suo ufficio Billy aveva una preghiera incorniciata che esprimeva il suo metodo per tirare avanti …

DIO MI CONCEDA LA SERENITÂ DI ACCETTARE LE COSE CHE NON POSSO CAMBIARE, I CORAGGIO DI CAMBIARE QUELLE CHE POSSO E LA SAGGEZZA DI COMPRENDERE SEMPRE LA DIFFERENZA”.

 

lunedì, gennaio 15, 2024

I RICORDI NON FANNO RUMORE (VOL. 1,2,3) di CARMEN LATERZA

 


L’opera consta di tre avvincenti volumi: il primo copre l’arco cronologico dal 1939 al 1948, il secondo quello dal ’52 al ’65 e l’ultimo va dal ’65 al ’78.

Nonostante la narrazione sia attraversata da numerosi personaggi, i principali interpreti delle vicende sono Bianca, i fatti e il modo in cui il destino si compie nella sua vita di bambina e di donna. La lettura è coinvolgente, il pregio è quello di collocare magistralmente gli esseri umani nelle diverse epoche e di mostracele senza nemmeno il bisogno di chiudere gli occhi. Senza chiudere gli occhi lo spettatore partecipa delle leggi razziali nella loro fase più ipocrita e silenziosa, assiste sbalordito alla fuga dei civili dalle città, alla lotta per la sopravvivenza nelle campagne, il suo sguardo cerca riparo tra i muri sventrati dai bombardamenti.

«Ida e Giovanna restarono mute. Udirono il rumore lontano di un aereo che fece risalire come un conato la paura sorda, appiccicata addosso come un ricordo ancestrale; La paura del momento in cui tutto quel barcamenarsi in una pretesa di normalità si sbriciolava sotto le bombe di una guerra vera, e svelava, sotto le macerie delle case e degli affetti, la carnalità dell’istinto animale di sopravvivenza»

Una mano invisibile esce dalle pagine e trascina il lettore all’interno delle vicende.

Si tratta di trentanove anni in cui tutto accade e tutto si trasforma: diritto, società, etica, libertà e lavoro, ogni cosa evolve attraverso passaggi che impongono sacrifici individuali e collettivi. Tra i numerosi temi di cui si potrebbe parlare, quello dell’emancipazione femminile è la luce del racconto: la storia la fanno le donne del romanzo e non gli uomini. Questi ultimi semmai partecipano con i loro difetti e le loro virtù. Quasi nessuna delle figure femminili può dirsi sbagliata, poiché ognuna contribuisce alla crescita di una comune coscienza. Persino un personaggio limitato e sottomesso come la zia Augusta consente a Bianca di scegliere fin da piccola chi o cosa non essere da grande. Allo stesso modo, la signora Elvira, che le insegna a ricamare, è la prima, tra le donne incontrate dalla giovane, a ribellarsi alla mentalità patriarcale, che sistematicamente sottometteva le femmine nel contesto famigliare e le relegava ai margini della vita sociale.

«Hai le idee chiare, piccola Bianca» le diceva Elvira senza condiscendenza. «Ma quando metti il tuo destino nelle mani di un’altra persona, non sei più libera. Forse puoi sentirti al sicuro, ma come le bestie nella stalla, che hanno sempre un padrone che chiude il cancello la sera e lo riapre la mattina».

«Allora» disse infine Bianca «diventerò una principessa anche senza un principe».

Bianca prende il meglio e lo fa suo, si nutre del tanto o del poco che la vita le offre e ne fa tesoro, mettendo ogni lezione in quel bagaglio che sarà la chiave del suo successo di donna.

La vicenda mi lascia senza parole quando, nel secondo libro, scopro che la protagonista e lo sposo emigrano in Svizzera, proprio qui a Sangallo, la località in cui io stessa risiedo da oltre sedici anni. L’autrice restituisce molto bene le immagini dei luoghi, della società e le difficoltà degli italiani che si trasferivano all’estero per svolgere lavori di fatica, guardati con cipiglio dalla gente del posto. Ogni tanto io quello sguardo lo riconosco ancora. Dappertutto, in ogni Paese, c’è un «noi» di cui io, tu, lei, lui, voi, loro non fanno parte sulla base di un confronto che verte esclusivamente sulla provenienza.

«Bisogna ignorarle, quelle signore là, e i loro commenti stupidi. Quelle là si farebbero ammazzare piuttosto che vedere i figli diventare operai. E ci guardano dall’alto in basso se siamo vestiti da lavoro e ancora peggio quando siamo vestiti da festa. Ma quando salgono in treno si riempiono la bocca dei prodigi della tecnica svizzera e fanno finta di non sapere chi li fa, veramente, quei prodigi. Siamo noi a farli, mica loro! Noi, che non abbiamo paura di bagnarci la camicia. Noi, che viviamo in baracche luride per spendere il meno possibile e mandare i soldi a casa. Noi, che ci spacchiamo la schiena ma non molliamo per non perdere il contratto».

Nonostante la presenza di una madre amorevole, Bianca fa esperienza fin da piccola dell’abbandono, della separazione, della perdita improvvisa e ingiustificata dei suoi punti di riferimento. Effettivamente, il romanzo è perfetto nel descrivere l’imperfezione della vita reale con i colpi di scena che il destino ha in serbo per noi. Bianca riconosce il bene e lo persegue, pur mantenendo sempre alta la guardia. I rapporti affettuosi con le persone care danno luogo ad una parentela dell’anima in cui l’amicizia si trasforma nella migliore delle famiglie.

L’intera vicissitudine di Bianca insegna, al di là dell’imprevedibilità dell’esistenza e delle brutture dei tempi, a dare il proprio meglio qualsiasi cosa accada e, se necessario, a ricominciare tutto da capo, perché in fondo non si riparte mai veramente da zero.

«Ogni passo porta al successivo. Si può solo andare avanti. Né i rimpianti né l’invidia per la fortuna altrui ci daranno una seconda opportunità».


 GRAZIE CARMEN LATERZA GRAZIE


domenica, gennaio 07, 2024

THANKS especially to the USA



Sebbene io non possa sapere chi legge il mio blog, posso tuttavia essere al corrente della nazione da/in cui le visualizzazioni hanno luogo. Nella convinzione di essere piuttosto scarsa ad autopromuovermi, credevo che il mio fosse il blog meno letto al mondo. Un esempio: anche a distanza di mesi dalla pubblicazione, qualche testo ha raggiunto il record di 5 visualizzazioni. Persino dopo l’apertura di un profilo Instagram, la situazione è rimasta assolutamente immutata. Pur continuando a scrivere per un personale bisogno di comunicare, ammetto che la redazione dei post senza una condivisione renderebbe l’esperienza piuttosto insapore. Tuttavia, ho raggiunto la consapevolezza che, postata una recensione, fosse sufficiente lasciarla andare al proprio destino. Benché la situazione nel tempo sia pigramente migliorata, negli ultimi tre mesi è avvenuto un piccolo miracolo, che nutre il mio lavoro di fiducia e reciprocità. Ora, io non so come, né perché ma ilviaggioseitu sta ricevendo dagli Stati Uniti tantissime visite, non solo veloci passaggi ma proprio l’apertura e spero anche la lettura dei vari articoli.

Chiunque voi siate o chiunque tu sia, io ti ringrazio con tutto il cuore per l’attenzione e per il tempo, che davvero mi incoraggiano a continuare questo progetto. Non capisco per quale motivo, il post in assoluto più cliccato sia la recensione al libro di Lorenzo Marone “La tristezza ha il sonno leggero”, che non è certamente la cosa più bella che abbia pubblicato finora.

Comunque, a prescindere da ciò che più suscita la vostra curiosità, a voi navigatori degli USA e di qualunque altro paese GRAZIE LETTORI GRAZIE!

 🧡🙏💖

Although I cannot know who reads my blog, I can still be aware of the country from the views take place. In the belief that I am rather poor at self-promoting, I believed that mine was the least read blog in the world. An example: even months after publication, some texts have reached the record of 5 views. Even after opening an Instagram profile, the situation has remained absolutely unchanged. While I continue to write out of a personal need to communicate, I admit that writing posts without a share would make the experience rather dull. However, I decided that, having posted a review, it was enough to let it go to its fate. Although the situation has lazily improved over time, a small miracle has happened in the last three months, nourishing my work with trust and reciprocity. Now, I don't know how, or why, but ilviaggioseitu is receiving so many visits from the USA, not just quick views but really opening and I hope also reading the various articles.

Whoever you are, I thank you WHOLEHEARTEDLY for your attention and time, which really encourage me to continue this project. I do not understand why, the absolute most clicked post is my review of Lorenzo Marone's book 'La tristezza ha il sonno leggero', which is certainly not the best thing I have written.

Anyway, regardless of what arouses your curiosity the most, to you surfers in the USA and elsewhere THANK YOU!

Rossana

« AN ATTITUDE OF GRATITUDE INCREASES YOUR ALTITUDE » 

K. Steadman





DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

  Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insiem...