martedì, aprile 25, 2023

URRÀ PER LE MIE AMICHE

 


Spesso si frequentano delle persone che sembrano destinate a restare con noi a lungo. Eppure, capita che le incompatibilità non oltrepassino i primi ostacoli e che quegli occasionali compagni di viaggio spariscano. Ogni volta che inizio a coltivare un nuovo rapporto mi chiedo chissà cosa diventeremo un giorno… chissà dove saremo tra un anno… Non riesco neppure a quantificare il numero di individui che hanno attraversato la mia esistenza lasciando debolissime tracce. Come se il tempo fosse una stazione ferroviaria, ho visto volti arrivare e partire, sorrisi aperti e manine sventolate da lontano.

Le stagioni e i giorni ci impongono continui adattamenti e trasformazioni, quello che una volta ci corrispondeva, smette di rappresentarci. Pensiamo di non riconoscere più l’altro, in realtà siamo noi che ci troviamo già altrove, con un nuovo sentire e nuove visioni. Per questo, tante amicizie compiono straordinari cicli, si perdono ma se sono autentiche si ritrovano. Se finiscono, è possibile che quegli esseri umani abbiano terminato il loro compito con noi. Comunque siano andate le cose, possiamo farcene una ragione, comprendendo il senso di quell’incontro, imparando a scegliere a chi accostarci e da cosa dissociarci.

Nel perpetuo caos della vita io sono stata molto fortunata, perché ho avuto il privilegio di condividerla con delle donne eccezionali, che considero sorelle: sono stata ascoltata e accettata nelle mie fragilità con infinita pazienza. Le mie amiche hanno colmato in parecchie occasioni vuoti e mancanze, si sono prese cura non solo di me ma del mio intero mondo, integrandoci nel loro.

Tra queste anime belle c’è chi mi restituisce l’orizzonte ogni volta che lo perdo e contribuisce con una tale determinazione al mio successo, che se vinco, vinciamo in due e se perdo … non perdo. E ancora chi, nei momenti difficili, mette in luce le mie qualità, ricordandomi tutte le volte che sembrava impossibile e invece ce l’ho fatta …

Penso alla bellezza di stare insieme, al modo di parlare, di gesticolare, a quella speciale energia che unisce le persone che si vogliono bene, fino a farle rassomigliare benché non siano parenti. Anche se restassero anni senza vedersi, si ritroverebbero in una fraterna bolla, si guarderebbero con gli stessi occhi e riderebbero nello stesso modo.

Che tu sia nella mia vita da 38 anni, da 31, da 28 o da 5

Io ti ringrazio di esserci e naturalmente ti invito a rimanerci.

Rossana



sabato, marzo 25, 2023

TUTTO CHIEDE SALVEZZA di DANIELE MENCARELLI

 

É la prima volta che passo da un film al libro, anzi in questo caso dalla serie Netflix. In entrambi i casi, emozionandomi e ragionando, ho acquisito nuove intuizioni.

La versione cinematografica del testo di Daniele Mencarelli mi ha talmente coinvolta, che, già sui titoli di coda, ne ho sentito la mancanza. Così, alla prima occasione, ho comprato il romanzo. Questa lettura non solo ha integrato le immagini della pellicola, ma ha aggiunto commozione e riflessioni. Il libro è in alcuni aspetti diverso dal film, tuttavia le modifiche della serie non disturbano lo scritto. 

Non essendomi mai facilmente omologata e tantomeno sentita “normale”, da sempre quello della pazzia è un tema che rapisce la mia attenzione. Se ognuno di noi andasse a fondo e si aprisse senza pregiudizio anche a quelli più lontani dai propri schemi, quanti punti in comune troverebbe? Possibile che lo si possa scoprire soltanto naufragando su un’isola deserta? O nel corso di un forzato esilio? Questo è un po’ quanto accade a Daniele, nella settimana di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO). Tutti i compagni di stanza del reparto di psichiatria hanno qualcosa di straordinario, anche quelli più irraggiungibili e apparentemente assenti come Alessandro e Madonnina. La maggior parte di costoro si contraddistingue per l’eccezionalità del sentire, una stranezza che, se anziché essere isolata, venisse integrata in modo costruttivo nella coscienza comune, certamente migliorerebbe qualcosa. Innocenza, lealtà, purezza d’animo, estrosità, ironia, franchezza sono solo alcune delle qualità che si nascondono sotto al disagio psichico di Daniele, Mario, Gianluca e Giorgio.

“Quei pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più sono i fratelli, offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare”.

La voce narrante non descrive il mondo visto da un folle, bensì l’esperienza di un ragazzo altamente sensibile, insolitamente maturo per la sua giovane età, capace di svolgere un’analisi lucida e profonda su se stesso e su chi incontra. Lo fa annullando i limiti e i confini. Nonostante il proprio disagio e la pesantezza del TSO, accoglie l’altro, lo ascolta, stabilisce un contatto, come se gli tenesse invisibilmente la mano nel cercare l’uscita da quello scomodo tunnel.

“Oggi so che non sono io a vedere grandi le cose, ma sono loro ad esserlo, io mi limito a guardarle nella loro reale dimensione. E la dimensione reale delle cose è gigantesca. Ogni singola giornata è costellata di azioni, visioni, degne di un’epopea straordinaria. Ogni persona incontrata, ogni scorcio di realtà inedito. Ma questa consapevolezza che stringo ora nei pugni so che passerà, come è già passata, tutto in quel momento tornerà ad essere sintomo di un male ancora senza un nome. La mia vita scorre su questa altalena impazzita.”

“Un figlio nato da una madre instabile e padre suicida viaggia per il mondo. Un principe. Un messia. Un futuro uomo capace di tutto … In lui la somma dei mali si è trasformata in bellezza, equilibrio, futuro degno di questo nome. Lo vedo tra mille ragazze, più forte di ogni chiacchera infame, di ogni pregiudizio. Vai. Onora il padre e la madre. Dimostra all’umanità intera che dagli ultimi, i reietti, nascono miracoli come te”.

Mario, il paziente più anziano della camera, è una figura estremamente delicata e poetica. Padre di famiglia, marito, maestro elementare, essere umano dal fare gentile e discreto, a un certo punto della propria esistenza precipita nel caos, si rompe e non si ripara mai più. Da quel momento perde lavoro, affetti e si ritrova solo, di degenza in degenza, alternando giorni apparentemente tranquilli a notti dolorose e tormentate. Eppure, in qualche modo, continua ad essere maestro. Interrogandosi insistentemente, contempla dalla finestra la vita in tutte le forme e riconosce nella semplicità la bellezza.

“Non sto dicendo che non esista la malattia mentale, ci mancherebbe, ho conosciuto squilibrati da mettere i brividi. Ma oggi non si cura più solamente la malattia mentale, oggi è l’enormità della vita a dare fastidio, il miracolo dell’unicità dell’individuo… Perché un uomo che si interroga sulla vita non è più un uomo produttivo… un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi”.

In effetti, è proprio attraverso l’inquietudine dei tempi difficili che si cresce, si migliora, in ogni caso ci si trasforma. Dalla contemplazione del bello, che passa attraverso un uccellino che torna al nido o l’ascolto di una poesia, Mario associa l’arte alla pazzia e, dal mio punto di vista, con lui l’autore tocca il punto più alto della propria osservazione.

“Io credo che gli artisti, come certi matti, abbiano dentro sé il seme di un ricordo lontanissimo, qualcosa avvenuto prima di tutte le storie. È la bellezza che scintilla di tutto. Io, ecco, credo che in certi uomini sia rimasto un ricordo sgranato, finito nel subcosciente. Questi uomini guardano tutto per come era veramente, prima di quella cosa che è successa e che ha cambiato tutto”.

Come se le creature più delicate e vulnerabili sentissero la nostalgia di un pezzo mancante, splendido e puro, qualcosa che si generò nella notte dei tempi e che nella notte dei tempi si deflagrò. Sebbene quella parte non la si conosca, se ne percepisce l’assenza. Ecco l’infinita ricerca degli artisti e l’indefinibile malessere delle anime fragili.

Tra gli altri compagni di viaggio, Gianluca e Giorgio. Tanto belli, quanto facili a sbriciolarsi, sbagliati nella misura in cui la società li convince della loro inadeguatezza. Condannati senza processo, in virtù di una non conformità sancita da nessun trattato.

“A me la quinta elementare non me l’hanno fatta fa’… Giorgio deve stare con quelli come lui … come lui come? Perché io come so’? In non do fastidio a nessuno, ma se me vengono sotto, se me ridono in faccia, me fanno le linguacce, io m’arrabbio, poi arriva la polizia, l’ambulanza. Se la pijano tutti co’me, perché io so matto, loro che m’hanno provocato invece so’ i sani, capito?”.

Tutto chiede salvezza. La cura e la premura chiedono salvezza. L’attenzione chiede salvezza. La non conformità, l’imperfezione, la non omologazione, l’unicità, il diritto alla fragilità…per tutto e per tutti si chieda anzi si pretenda salvezza.

Grazie DanieleMencarelli Grazie💓


Day after day, alone on a hill
The man with the foolish grin is keeping perfectly still
But nobody wants to know him, they can see that he's just a fool
And he never gives an answer

But the fool on the hill sees the sun going down
And the eyes in his head see the world spinning around

Giorno dopo giorno, solo su una collina
L'uomo col ghigno da matto
se ne sta perfettamente immobile
Ma nessuno lo vuole conoscere
Vedono che è solo un matto
Non dà mai nessuna risposta
Ma il matto sulla collina
Vede il sole tramontare e con gli occhi della mente vede il mondo girare

The fool on the hill, John Lennon & Paul McCartney

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 



martedì, febbraio 28, 2023

UN'AMICIZIA. SILVIA AVALLONE


 

Il libro di Silvia Avallone descrive la parabola dell'amicizia, nata sui banchi di un liceo, tra Elisa e Beatrice. Diametralmente opposte sia nell’aspetto che nel carattere, le protagoniste si incastrano con massima precisione. Nonostante contrasti e rotture, il loro legame ha in sé l’energia e il senso di ribellione dell’adolescenza.

Del romanzo mi ha appassionato non tanto la trama, quanto l’arte del racconto e il talento nell'analisi dei sentimenti e delle situazioni. L’autrice riflette avvedutamente su esseri umani, relazioni, fragilità e stortezze della vita.

“…Siamo tutti fatti di angoli e spigoli, quindi ci urtiamo”.

Entrambi i personaggi provengono da famiglie inadeguate e hanno dei rapporti irrisolti con le rispettive madri.

“Sapevo che una madre conteneva due estremi e passava dall’uno all’altro senza preavviso. E tu potevi odiarla finché volevi, ma poi arrivava sempre la necessità fisica di farti abbracciare e accettare. Tu irrisoria e lei gigantesca, una disparità incolmabile che in certi casi ti compromette la vita”.

Dietro alle figure principali c’è una società che si trasforma e la percezione di un tempo che scorre senza infamia né lode. Nell’arco del ventennio che fa da sfondo alla narrazione, non tutti i mutamenti coincidono con un’evoluzione. Elisa cresce e diventa adulta, Beatrice semplicemente cambia ma, nell’inseguire fama e successo, conserva il narcisismo e l’individualismo della pubertà.

“E così facile fingere. Mettersi in posa. Sorridere… esibirsi e sbatterlo in faccia. Ma gli altri giorni? Per le paure? Le malattie, i funerali, come pensa di organizzarsi l’umanità?”.

“Eppure lo sapevamo già che il tempo futuro è un tempo che toglie e non aggiunge”.

Ho provato una crescente insofferenza nei confronti del personaggio di Beatrice: cinica e menefreghista si approfitta continuamente dell’affetto della compagna. Il bello del romanzo è la possibilità di scegliere dove stare, con quale delle due "Eva" solidarizzare o identificarsi. Durante gli anni delle superiori, il rapporto tra le coetanee si interrompe in un paio di occasioni per poi risolversi e proseguire con rinnovata complicità. Benché la frequentazione con l’amica sia tossica, Elisa ogni volta la riprende e ricomincia da capo.

“… Non si cresce e non si vive senza passare attraverso un’amicizia sbagliata”.

Inevitabilmente, data la totale assenza di reciprocità, a un certo punto il meccanismo si inceppa e il legame sembra spezzarsi per sempre.

“Ma la verità è che il lutto per un’amicizia finita non si risolve. Non c’è modo di curarlo, rielaborarlo, chiudere e andare avanti. Rimane lì piantato in gola a metà tra il rancore e la nostalgia”.

Un passaggio che mi è piaciuto moltissimo è il quadro in cui la scrittrice dipinge l’ipocrisia dell’apparenza dei nostri giorni. 

“Si truccano, si vestono bene, vanno in centro a passeggiare, entrano in un bel locale e, tenendo alti i bicchieri, brindando con larghi sorrisi, si scattano una foto, che subito dopo, naturalmente, finirà su internet: un messaggio scagliato contro gli ex fidanzati, le amiche che le hanno tradite, i pettegoli delle province da cui provengono. «Lo vedete come ci divertiamo? Come sembriamo felici?» …Nessuno riuscirà mai a convincermi che quelle tre foto su internet delle mie vicine di casa siano più interessanti di tutti i giorni, mesi, anni della loro vita in cui non sembrano niente, non vogliono assomigliare a nessuno, né vincere nulla … Perché quelle immagini io non le riesco ad amare, ma la presenza di quelle persone, la loro verità si…Mi viene da pensare … che chi siamo è infinitamente più interessante e commovente di quel che vorremmo a tutti i costi sembrare”.

Come lo dice bene. Come sono d’accordo. Quanto più si insiste nel voler mostrare al resto del mondo quanto si è ricchi, belli e felici, tanto più mi sorge il dubbio che in realtà si stia cercando di nascondere l’infinita ampiezza della propria voragine interiore.

Al di là della vicenda, mi interrogo sul tema dell’amicizia in senso più lato, su cosa possa garantirne la sopravvivenza, nonostante le distanze, di qualsiasi tipo esse siano: geografiche, temporali, sociali, culturali o ideologiche … Due anime affini si manterranno tali, con la consapevolezza che niente e nessuno potrà separarle, se da entrambe le parti ci sarà la capacità di accettare i cambiamenti dell’altra. Adattarsi e trasformarsi senza perdersi. Farsene una ragione anche quando il fraterno compagno non piace in qualcosa o non corrisponde alle aspettative. Finché gli amici restano così come li vogliamo, allora sono capaci tutti. L’importante è che mai vengano a mancare lealtà, fedeltà, rispetto e trasparenza. 

Una distanza materiale non potrà mai separarci davvero dagli amici. Se anche solo desideri essere accanto a qualcuno che ami, ci sei già.
(Richard Bach)

L’amicizia è un albero che ti ripara.
(Samuel Taylor Coleridge)


Grazie Sivia Avallone Grazie 👏



martedì, febbraio 21, 2023

"STRANO MA BELLO", IL MONDO VISTO DA UN MICRORGANISMO


STRANO MA BELLO, QUANDO UN SOGNO DIVENTA PROGETTO

Dopo tante letture presentate su questo blog, stavolta mi recensisco da sola. 

Strano ma bello è la storia di una creatura che cerca se stessa e, riconsiderando la propria esistenza, tenta di capire quale sia il suo posto nel mondo.

Tantissimi anni fa, guardando mia figlia dormire, mi domandavo oltre alla maternità, alla famiglia e al lavoro, cos’altro mi ballasse dentro. Pertanto, ogni volta in cui mi sentivo inquieta, scrivendo, placavo la confusione ed il rumore interno. Iniziai con la traduzione di alcune ricette italiane in un tedesco sgrammaticato e improbabile. In seguito, passai alla stesura di alcuni racconti, nei quali tutto ruotava intorno alla mia condizione di straniera, anzi di “apolide”. Non ero più la stessa donna che aveva lasciato l’Italia e tantomeno il processo di integrazione poteva dirsi compiuto. Si trattava di narrazioni talvolta ironiche e spiritose, come l’iscrizione al consolato di Francoforte, talaltra profondamente nostalgiche, come i ritorni dai viaggi nel Sud. Qualche aneddoto potrei pubblicarlo con il titolo: “Ironia e malinconia: istruzioni per l’uso” oppure “Tutto quello che non si deve fare quando ci si trasferisce all’estero”.

Ebbene, con il passare del tempo, dei traslochi e con lo spostamento in Svizzera, la vita si fece più frenetica. Benché la famiglia e la professione riempissero le mie giornate, l’inquietudine restava. Frequentai ogni tipo di seminario e di formazione. Tuttavia, non ero mai soddisfatta perché sentivo che da qualche parte mancava un pezzo. Spesso, anziché usare i manuali scolastici, redigevo io stessa le letture o gli articoli per i miei corsi d’italiano: riprendevo ossigeno e mettevo ali alla mia anima creativa, componendo storielle sull’uso dei tempi verbali o creando libretti di didattica.

Nel 2020 la pandemia ingegnò tutti quanti, sfidandoci a gestire i giorni in modo che le nuove ore a disposizione non andassero perse. Mentre l’uno sfornava focacce e l’altro si modellava i muscoli, io inizialmente mi depressi. Ciononostante, il 7 maggio 2020 con la creazione di questo blog e la pubblicazione del primo post sul Garda, riuscii finalmente a filtrare nel lessico i sentimenti e a dare una struttura ai pensieri. Da quel dì, elessi questo mezzo di comunicazione come finestra dalla quale, di tanto in tanto, affacciarmi. Nondimeno, quando il volume delle emozioni si fece troppo alto, mi resi conto che per canalizzare quel caos di energia repressa, ci voleva altro.

Così, all’improvviso, trasformandomi in un piccolo organismo, mi presi il lusso di viaggiare tra il passato e il presente, di guardare le cose dall’esterno, per rifletterci e trovare un diverso equilibrio. Dall’istante in cui scrissi la parola fine sull’ultima pagina del manoscritto, il senso di incompletezza mi abbandonò e il giorno in cui l’editore annunciò l’intenzione di pubblicarlo, compresi che tutto quello che avevo vissuto prima, bello o brutto che fosse, proprio lì mi doveva portare. Alla fin fine, avevo trovato una direzione, una strada e una risposta affermativa.

Adesso il mio desiderio è che il libro risulti gradevole a chiunque lo legga…ma sarei veramente felice se qualcuno vi trovasse una parte di sé o, anche per un fugace attimo, si sentisse meno solo. Insomma, vorrei che la storia uscisse dalle pagine e raggiungesse anime e cuori bisognosi di compagnia.

A tutti coloro che come me si sentono strani, non solo l’augurio di accettarsi ma soprattutto quello di insistere con la propria unicità ad abbellire il mondo.

Firmato, il Microrganismo.

 


Being different is neither a good nor bad thing. it only signifies that you are brave enough to be yourself.
Essere diversi non è una cosa né buona né cattiva. Significa semplicemente che sei abbastanza coraggioso da essere te stesso.(Albert Camus) 

mercoledì, gennaio 11, 2023

GRAZIE 2022

 

A causa di un virus, allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre giacevo a letto addormentata. Di conseguenza, non ho potuto brindare e congedarmi da questo amico in partenza: l’anno 2022.

In effetti, San Silvestro è un allegro funerale, il congedo gioioso con cui realizziamo che qualcosa è andato via per sempre e, contando da 10 a zero, tracciamo un netto confine tra il vecchio e il nuovo. Come se un maturo re saggio si spogliasse della sua corona a dodici punte e, abdicando in favore del prossimo regnante, si ritirasse nella memoria collettiva. Allora, prima che questi ricordi ancora vivi sbiadiscano o diventino brandelli, vorrei dire al Signor 2022 GRAZIE!

Grazie per le bellissime esperienze nel mondo della lettura e della scrittura. Il libro che più ho apprezzato è stato senz’altro “Il colibrì” di Sandro Veronesi. Gli altri autori che hanno maggiormente illuminato la mia coscienza sono stati Lorenzo Marone e Ferzan Ozpetek. A pari merito con loro, Fabrizio Caramagna, poetico aforista, geniale, romantico e lunare.  La mia passione per la scrittura si nutre della lettura come di una linfa vitale, che costantemente alimenta l' anima, i pensieri, le emozioni e il lessico.

Grazie Sua Maestà 2022! Per i giorni felici con gli amici cari e la famiglia. Momenti spensierati, tanto graditi, quanto inattesi. Grazie per il blu del mare Mediterraneo, per il rosso dei tramonti e per tutti quegli attimi che custodirò con cura in una stanza speciale della memoria.

Grazie per i viaggi! Corti, lunghi, vicini, lontani, frequenti e bellissimi. Grazie per gli incontri, per i delfini, per le meraviglie che ci hai mostrato, per le scoperte umane e naturali. Grazie per i nuovi amici che il destino benevolo, a nostra insaputa, ci aveva messo nel pacchetto vacanze.

Grazie per le sfide, ma anche per i dispiaceri o per quelle prove difficili che, imponendo scelte dolorose ma necessarie, mi hanno offerto l’occasione di voltare pagina e andare avanti.

Grazie 2022 Grazie!

Prometto di sorridere di più, di prendermi un po’ in giro e di essermi fedele.

Prometto di ascoltare e di cercare di comprendere anche quando sono in disaccordo.

Prometto di astenermi dai giudizi severi, di prendere atto e andare avanti senza troppe recriminazioni.

Prometto di liberare ogni resistenza nel respiro, di lasciare andare anziché trattenere, ma anche di accogliere chi lo merita. Prometto di ricorrere alle parolacce solo in casi di estremo bisogno.

Anche se so che sarà faticoso, prometto di sforzarmi di accettare le critiche e di farne buon uso, filtrando l’utile ed eliminando il superfluo.

Prometto di prendere posizione e di essere coraggiosa.

Prometto, prometto, prometto…

... Prometto di provarci.

 

Addio 2022

Grazie di tutto

lunedì, dicembre 05, 2022

INVENTARIO DI UN CUORE IN ALLARME. LORENZO MARONE

 


Lo scrittore in questo volume svela la propria ipocondria. Mentre nelle altre letture il racconto parte sempre dalla storia di qualcun altro, in questo caso il protagonista è proprio lui, Lorenzo Marone, con la sua smania per la salute ed il terrore verso qualunque possibile infermità. La paura del malanno incombe come un’ombra inquietante e oscura, che si presenta con capricciosa e regolare insistenza. Consapevole di essere vittima di un meccanismo perverso, applicando la legge di attrazione al contrario, egli cerca e trova tutti i sintomi possibili. Nonostante questo, si mette a nudo con autoironia e competenza. Il suo ritratto di ipocondriaco alterna la vicenda umana ad alcune digressioni sulla storia e sulle scoperte della scienza medica. 

Tra tutti, il capitolo che ho preferito ha per titolo “Malebolge”.

La realtà è che spesso la storia non insegna perché non la si vuole ascoltare. Perché non le diamo credito? Perché sentiamo il bisogno di affidarci all’omeopatia, all’astrologia, agli ufo, agli stregoni e agli pseudoscienziati? Perché vogliamo credere alla dannosità dei vaccini, alla terra piatta e ai fiori di Bach? Si, di base siamo tutti un po’ americani, ma non è questo il punto, il punto, a mio avviso, è che non ci si affida a qualcosa di assurdo, ma si diffida di qualcosa di accettato da tutti. Uso l’omeopatia perché non mi fido della medicina normale, non vaccino mio figlio perché non conosco la scienza, non voglio affidarmi ai poteri forti che vogliono impormi le loro verità. Credo alle cospirazioni e ai complotti perché se non ci credo passo per un ingenuo credulone, E così divento un credulone per non fare la figura del credulone.

La prima pubblicazione del testo è del febbraio 2020. Lorenzo Marone pare proprio l’antesignano dei lunghi dibattiti e degli accesi scontri conseguiti alla pandemia. Quando si crede in un principio così importante, bisogna avere il coraggio di esporlo e soprattutto di difenderlo. A maggior ragione, esprimo il mio pieno compiacimento e la mia totale adesione a questa scuola di pensiero.

Molti sono i passaggi che durante la lettura mi hanno indotto talvolta al sorriso talaltra al ragionamento; é interessante entrare nell’immaginario di un ipocondriaco e collegare quelli che per me sono dettagli insignificanti ad una eventuale condizione di infermità. Anzi, a differenza del protagonista, pur di evitare le visite mediche, tendo a ignorare i sintomi o ad attendere che se ne vadano da soli. Forse sono un’ipocondriaca al rovescio, ho un tale rifiuto per la malattia che fingo di essere in salute anche quando non sono in perfetta forma. Comunque, il più delle volte funziona.

Anche in questo libro ritrovo una considerazione tanto bella quanto difficile. Dal momento che l’imperfezione è per eccellenza la costante della vita, tanto vale farsene una ragione e imparare a conviverci, per riuscire ad accettarsi senza rassegnarsi.

Dovremmo semplicemente accettare le fragilità, accettare l’idea che dall’imperfezione possa nascere qualcosa di più evoluto, renderle omaggio, come fa quella tecnica giapponese, il Kintsugi, letteralemente "riparare con l'oro", che usa il prezioso metallo per tenere insieme i cocci rotti.

Gli avrei voluto spiegare che di rassegnazione nelle mie parole non ce n’era, parlerei più di accettazione, che significa prendere atto della realtà senza star li a sprecare energie vitali. La distinzione è sottile ma importante: la rassegnazione è una resa, l’accettazione un punto di partenza.

Nonostante tra le opere di Marone finora lette questa sia stata meno avvincente, come sempre ne ho tratto riflessioni e frasi illuminanti. Ogni volta che leggo i suoi testi realizzo come la scrittura sia il talento di dire cose intelligenti, possibilmente rivelatrici, attraverso protagonisti o vicende avvincenti. In effetti, questa autobiografia mi ha appassionato davvero poco. Eppure, se non avessi sottolineato e riscritto alcuni passaggi mi sarei persa qualcosa di importante per la vita:

… per cambiare davvero, si deve affrontare il passato e disattivare l’evento che ha portato al difficile presente. Qualsiasi azione limitata a oggi, al contrario, porterebbe a modificare un futuro che è già storto in partenza.

D’ora in poi, di fronte alle fragilità, alle reazioni eccessive, ai comportamenti sbagliati, al manifestarsi delle mie parti rotte, come un mantra mi ripeterò: disattivare l’evento, disattivare l’evento, disattivare l’evento, disattivare l’evento … e naturalmente viaggerò a ritroso nel tempo per cercare l'evento da disattivare.

Non possiamo cambiare le carte che ci sono date, possiamo soltanto decidere come giocare la prossima mano.

Grazie Lorenzo Marone Grazie

 

venerdì, novembre 04, 2022

IL COLIBRÌ. SANDRO VERONESI

 


 

Marco Carrera è il colibrì. Sebbene intorno a tutta la vicenda magistralmente narrata da Sandro Veronesi ruotino vari personaggi, è lui la luce del romanzo. Nasce sotto una buona stella, in una famiglia istruita ed economicamente agiata. Tuttavia, a causa della durezza con la quale alcuni eventi lo metteranno alla prova, si percepisce una sorta di giustizia sociale per cui il destino colpisce tutti indistintamente, ricchi, poveri e borghesi. La differenza sostanziale è il modo attraverso il quale si reagisce a queste sfide. Piangere e disperarsi è legittimo ma, passato lo sbigottimento, c’è chi ha l’intelligenza e la tenacia di usare gli ostacoli come dei gradini su cui salire. Marco Carrera ha la resilienza di quelli che all’indomani di un uragano, spalano il fango e ricostruiscono casa.

L’associazione al colibrì segue tutta la parabola della sua esistenza. Per la prima parte della gioventù, fino al momento in un cui gli viene somministrata un’innovativa cura ormonale, la crescita fisica procede con biblica lentezza. Eppure, alla scarsa altezza il giovane contrappone intelligenza rapida e movimento fulmineo.

«Del resto, non appena questo deficit era apparso evidente, lei aveva coniato per il suo bambino il più rassicurante dei soprannomi, colibrì, per l’appunto, e la velocità: fisica – notevole, in effetti – che gli tornava buona negli sport; e mentale – asserita, questa, più che altro – nella scuola e nella vita sociale. Perciò aveva continuato a ripetere sempre lo stesso mantra, anno dopo anno: non c’era da preoccuparsi, non c’era da preoccuparsi, non c’era da preoccuparsi».

Del piccolo uccellino, il protagonista, alto e adulto, conserva la capacità di restare immobile quando le tragedie lo affliggono. È il suo modo di reagire ai traumi, sentire il dolore e lasciarsi travolgere senza fare nulla, senza lottare per opporvisi. Come se ci fosse una centratura nella disperazione, che è l’esatto contrario di quello che fanno i più. La sua forza è quella di non scappare dall’alluvione, di solito non ha nemmeno il tempo di accorgersene ma quando la piena lo raggiunge, resiste senza arrendersi aggrappato a un ramo. Forse allora, essere forti non significa combattere a oltranza ma accettare lo scorrere della vita senza cedere, senza mollare la presa. La sfida è proprio quella di restare appesi fino a che la tempesta è passata.

Marco affronta ogni singola situazione assumendosene l’intera responsabilità, mettendo ciascuna risorsa al servizio di chi per lui conta. Ama nel senso più nobile e antico del termine, ama con valore e sacrificio, ama al punto di vivere nell’attesa di qualcosa che potrebbe non essere, che anzi, quasi certamente non accadrà. Eppure, per sempre risolutamente ama. 

«Ma è vero che se una storia d’amore non finisce, o come in questo caso nemmeno comincia, essa continuerà a perseguitare la vita dei protagonisti con i suoi nulla di cose non dette, azioni non compiute, baci non dati»

Il colibrì si prende cura con immensa affezione del nido, assiste teneramente tutti coloro che ne fanno o ne hanno fatto parte, talvolta porta senza dolersene valigie non sue. Lo fa e basta, lo fa da solo. Lo fa con i genitori malati e vicini alla morte. Lo fa come papà singolo che ricostruisce alla figlia un paradiso perduto. Lo fa come nonno anzitempo, accogliendo una gravidanza inaspettata. Lo fa nel tirare su come genitore singolo la nipotina rimasta orfana.

«E ho capito, all’improvviso (ecco perché all’improvviso ti scrivo, anche se so che non mi risponderai) che tu sei davvero un colibrì. Ma certo. È stata un’illuminazione: tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci a fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro. Ed ecco perché starti vicino è così bello»

«Ma questo è perché il tempo ha conferito sempre più valore al cambiamento, anche a quello fine a se stesso, e il cambiamento è ciò che vogliono tutti. Così non c’è niente da fare, alla fine chi si muove è coraggioso e chi resta fermo è pavido, chi cambia è illuminato e chi non cambia è un ottuso. E ciò che ha deciso il nostro tempo. Per questo mi fa piacere che tu ti sia accorta … che ci vogliono coraggio ed energia anche per restare fermi»

Marco Carrera è la figura letteraria di cui mi sono più innamorata negli ultimi anni. È il marito, il padre, il fratello, il figlio che tutte vorremmo. Io di sicuro. Come Nicola Carati di “La meglio gioventù”, lui è per eccellenza un uomo perbene senza essere eroe, semplicemente identificando quei valori che altri spregiudicatamente tradiscono. Il bello è che lo fa istintivamente, quasi senza sceglierlo. É la sua natura.

«Vi sono esseri che per tutta la loro vita si dannano allo scopo di avanzare, conoscere, conquistare, scoprire, migliorare, per poi accorgersi d’esser sempre andati alla ricerca solo della vibrazione che li ha scaraventati al mondo: per costoro il punto di partenza e il punto di arrivo coincidono. Poi ce ne sono altri che invece pur stando fermi percorrono una strada lunga e avventurosa perché è il mondo a scivolare sotto i loro piedi, e finiscono molto lontano da dove erano partiti: Marco Carrera era uno di essi. Ormai era chiaro: la sua vita aveva uno scopo. Non tutte le vite lo avevano, la sua lo aveva. Le dolorose vicissitudini che l’avevano segnata avevano esse pure uno scopo, nulla gli era capitato per caso»

Nella classifica dei libri più belli, una sola raccomandazione: leggere lentamente, restare a lungo nella storia, starci dentro immobili e come un colibrì, volare sul posto. Le altre letture possono aspettare. Marco Carrera merita adesso, subito, il nostro tempo e la nostra partecipazione.



Leggere ci dà un posto dove andare anche quando dobbiamo rimanere dove siamo.

Mason Cooley









giovedì, ottobre 27, 2022

IL PESO DELL' ANIMA. PAOLA RUSSO

 


Il peso dell’anima è il racconto coraggioso di Sofia, una ragazza che descrive la propria vicenda nel mondo dell'anoressia mentale.

Sono particolarmente interessata al tema del disturbo alimentare perché, al di là delle esperienze individuali, credo che il rapporto con il cibo sia la relazione per eccellenza più problematica. Senz'altro lo è per me. Chi è veramente certo di nutrirsi equilibratamente? Quanti si riconoscono nell’immagine che gli riflette lo specchio? Chi non ha mai provato sensi di colpa a causa del cibo? Per non parlare poi del fitto intreccio che tesse la mente in presenza di carenze affettive.

Il mio approccio all’alimentazione si basa da anni su una specie di controllo, sul bisogno di misurare, verificare, sorvegliare e dominare peso e forma secondo parametri del tutto soggettivi. "Il controllo è solo l’illusione che tutto possa restare immutato, è la negazione della vita che passa mentre tu sei impegnato a limitare gli imprevisti». L’ossessione per il controllo è il “fuori controllo”, è proprio questa la dipendenza da cui si sviluppa la malattia. Pesarsi maniacalmente è fuori controllo, mettere ogni pietanza sulla bilancia e calcolarne le calorie è fuori controllo, misurarsi con un metro da sarto è fuori controllo. Insomma, la fissazione patologica per il controllo è l’apoteosi del non controllo.

Sofia smette di mangiare dopo aver perso a breve distanza entrambi i genitori. In realtà, non è per il lutto in sé che smette di nutrirsi ma per un disagio molto più antico e ancestrale. Il suo aspetto fisico parla al posto suo, in un percorso che a spirale la trascina al centro della propria voragine, quasi ai limiti di un non ritorno.

«L’affetto che non si mangia ma si percepisce con altri sensi. Troppo ovvio da capire, molto semplice da attuare in una famiglia normale, non nella mia, dove invece tutto era un simbolo, tutto legato al cibo, alla difficoltà di trasmettere i sentimenti in modo sano e diretto. Tutto da decifrare».

Il pane è pane, garantisce la sopravvivenza, integra l’amore ma non lo sostituisce. Al di là del modo in cui ogni persona elabora delle gravi mancanze, la protesta alimentare diventa un linguaggio difficile da comprendere. Come per le lingue straniere, andrebbe tradotto, studiato e interpretato.

«Intanto nel delirio della mia mente io non voglio annientarmi anzi, tutt’altro. Il mio corpo è una scatola fatta per comunicare. Chi vuole morire fa in modo che gli altri non se ne possano accorgere, io sto costruendo al contrario il mio strumento di comunicazione con il mondo, proprio perché il mondo si accorge di te per quello che mostri, per la materia che sei, ed io devo “non essere” per lanciare il mio SOS, anche se a volte, la mia testa, mi dice che non posso andare avanti così devo capire cosa succede dentro di me».

Nonostante sia impossibile non riconoscere questo SOS, per i terapeuti stessi è quantomai arduo prestare aiuto e trovare le chiavi giuste per accedere ai propri pazienti. Mi immagino il senso di impotenza di tutti gli affetti coinvolti nel disturbo di un amico o un famigliare stretto. Inoltre, il modo in cui gli altri ci vedono raramente corrisponde a come noi guardiamo noi stessi. Ogni volta in cui ci si confronta con delle forme e dei numeri che, non rappresentandoci, amplificano le nostre insicurezze, a nulla servono i consigli e i complimenti di chi ci vorrebbe rassicurare.  Probabilmente costoro hanno ragione quando ci dicono che stiamo bene così, eppure qualcuno potrebbe sentirsi non capito, non visto, non riconosciuto.

«In fondo non è facile mettersi nella testa di chi apparentemente sembra lontano dalla normalità, le persone si cementano nel comodo “buon senso”. Ma il buon senso è un concetto soggettivo comune a tanti perché c’è un senso che appare buono alla maggior parte delle persone e che resta sempre qualcosa di parziale. Gli schemi della perfezione vanno infranti per capire sotto cosa c’è, cosa ci rende unici».

Come se il cervello si sfidasse in un braccio di ferro e, condannando il resto del corpo, ci inducesse a rinunciare al piacere del gusto, alla leggerezza e alla convivialità, fino a spogliarci non solo dei chili ma della nostra intera naturale e istintiva inclinazione alla vita. Traverstito da falso amico il pensiero, quel tipo di pensiero, tradisce e distrugge.

Grazie a un efficace percorso di psicoterapia e, soprattutto, alla rilettura e all'osservazione della propria storia famigliare con delle nuove lenti, Sofia accetta di interrompere la guerra, di cambiare il linguaggio, di prendersi la responsabilità di esistere, di farlo per se stessa, in armonia, secondo regole, modi e ritmi del tutto personali.

«Le mie sedute mi stavano aprendo la mente oltre gli schemi rigidi e cristallizzati della mia infanzia. Ho raccontato alla dottoressa la mia idea, dosare il senso di colpa che ho, mangiando con i miei tempi. Provare con l'assunzione graduale del cibo, secondo quello che sento dentro di me, senza forzature. Amare il poco che cucino per me, amare me».

Ho letto questo libro molto velocemente ma, a differenza di quanto avviene di solito con altri testi, la stesura del post mi è costata un notevole sforzo. Mi sono ritrovata in alcuni passaggi dello scritto di Paola Russo. Ho capito che alla base di questo disturbo ci possono essere dei rapporti "disfunzionali" con le figure di riferimento, che non ci si accetta e non ci si ama abbastanza, che la perdita del controllo genera delle abitudini perverse che sfociano nella dipendenza, che la dipendenza causa fatalmente dei gravi problemi fisici e mentali. 

Tutto molto doloroso e troppo complicato. Qualunque sia la dipendenza, il comportamento o la sostanza di cui si abusa, un passo alla volta, auguro a tutti di farcela. Non è mai troppo tardi per chiedere aiuto e ricominciare da capo. 




domenica, ottobre 09, 2022

SE MI GUARDI ESISTO. FABRIZIO CARAMAGNA


Sebbene abbia amato questo libro non meno del precedente, ho incontrato uno scrittore diverso. Le emozioni scaturite dagli incontri con il mondo esterno indagano un doppio orizzonte, fatto di luci ma anche di ombre. Dell’opera “Il numero più grande è due” mi avevano rapita le immagini piene di colore, l’eco delle risate, il sentire innocente di qualcuno che a braccia aperte corre verso la vita. In “Se mi guardi esisto” l’autore sembra il fratello maggiore dell’uomo che aveva scritto il romanzo precedente. Pur con lo stesso animo e la stessa gentilezza, indaga i misteri dell’universo con la consapevolezza di chi ha sofferto, di chi, pur frantumandosi in mille pezzi, si ricompone, di chi ha la forza di stare nel dolore e da quell’abisso nuotare senza fretta verso la superficie.

«Come si chiama quella parte del nostro corpo che ha la pelle troppo delicata, che quando esce nel mondo si deve proteggere dagli urti, dai colpi improvvisi, dagli strattoni, persino dal freddo e dalle vibrazioni delle parole? Sensibilità. Si chiama sensibilità».

Nella moltitudine dei volti anonimi che incontriamo ogni giorno si celano terre inesplorate, individui sconosciuti che forse potrebbero incastrarsi con le nostre esistenze. Se solo lo sapessimo!

«… a volte penso a quanti sguardi ci sono là fuori, che si perdono così, senza una parola, un gesto, un incontro. Il mondo è uno spreco di sguardi».

«Ma quanto ci metti a venire da me? Io non so nemmeno da quanto ti aspetto… Facciamo un gioco. Io non ti cerco più e tu mi accadi adesso».

Mi piace questa urgenza di conoscere chi ci è destinato. Che cosa starà facendo in questo momento, quali eventi lo stanno preparando al nostro primo prossimo appuntamento. Alla mercé di un fato dispettoso, di un tempo che non risponde, dobbiamo aspettare. Del resto, la rivelazione di un mistero esige una grande prova di pazienza. Siamo così abituati a riporre le nostre certezze nella scienza, che pare inconcepibile non sapere come, dove, quando e se qualcosa avrà luogo.

Nondimeno siamo così dipendenti dalla tecnologia, che cercando di piacere più agli altri che a noi stessi, dimentichiamo la differenza tra l’autentico e il falso.

«Potete fotografarvi in mille modi, da ogni angolatura con ogni filtro e ritocco ed effetto luce.

Ma il cuore quando incontra un altro cuore è l’unico apparecchio fotografico affidabile».

L’originale è sempre imperfetto, nascosta nelle sue crepe la forza travolgente della bellezza che l’amore subito riconosce.  

«Mi piaci perché hai la bellezza dei vetri rotti, delle cicatrici sulla pelle, delle copertine rovinate dei libri, dei fili aggrovigliati. C’è tanta luce dentro».

Tutti spettinati, riparati dai nostri cocci spezzati e ancora mirabilmente integri. Nonostante le peggiori cadute, le perdite anzitempo, le ferite di guerra, il messaggio forte, chiaro e rimbombante è quello di non arrendersi, di continuare ostinatamente, e malgrado tutto, a lasciare di noi e per noi qualcosa di buono.

«… L’importante non è sapere, ma cercare

Conta scrivere ogni giorno sul quaderno della vita

E farlo con una bella calligrafia.

Conta creare legami,

conta donare parole e atti di gentilezza.

Conta andare avanti e seminare

e seminare ancora».

 

Fabrizio Caramagna è un mago gentile che trasforma in meraviglia tutto ciò che ci circonda. Eppure, nonostante i suoi superpoteri, credo che nella prima pagina dei suoi libri si dovrebbe scrivere: "Fragile. Per favore maneggiare con cura".


Grazie FrabrizioCaramagna Grazie👏

 

Voto: da 11 in su fino all’infinito

 

“Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi
Solo i sogni che non fanno svegliare”

“Sì. Vostro Onore, ma li voglio più grandi”

La canzone del padre, Fabrizio de André

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

martedì, settembre 27, 2022

IL DONO DELLA RECIPROCITÀ

 


Rifletto sulla reciprocità perché tutto ciò che non lo è, o si trasforma, o soccombe. Ogni cosa nella nostra esistenza si basa sull’alternanza di gesti e risposte, su stimoli che per sopravvivere esigono un flusso continuo. Se all’espirazione non seguisse l’inspirazione imploderemmo, se immettessimo aria nei polmoni senza farla uscire scoppieremmo. Il passaggio tra l’uno e l’altro atto ci assicura la vita. Nella prima infanzia i bambini si sintonizzano sulla stessa lunghezza d’onda di chi li accudisce, ricambiando con amorosa dipendenza. Alla base dello scambio, anche in seguito, vi è sempre, comunque ed imprescindibilmente qualcosa di vicendevole.

Nel dare e nell’avere è previsto un soave equilibrio, che rende le relazioni sane, giuste, gratificanti ed armoniose. Che si tratti di amore o di amicizia, il principio di reciprocità ci fa sentire accolti, capiti, accettati e ri-amati. Se questo manca, se lo sbilanciamento tra gli attivi e i passivi è eclatante, bisogna rendersene conto e agire in modalità di risparmio. Forse si è speso troppo; del resto, ogni relazione presuppone il rischio di un investimento. Nel mondo dei sentimenti è complicato pareggiare i conti. Eppure, di tanto in tanto, un bilancio è necessario. Di solito, le persone interessate tengono continuamente aperto il loro libro contabile, invece, quelle più ingenue e generose ne ignorano completamente l’esistenza.

Nonostante preferisca la bellezza della condivisione spontanea, il troppo dare ha delle controindicazioni. Lo sbaglio non è di chi prende ma di chi offre. Penso a delle cene che si svolgono sempre presso l’abitazione della stessa persona, alla cura nella preparazione, ai brindisi e alle lunghe chiacchierate. "La prossima volta facciamo da noi", poi il tempo passa e, siccome è più comodo, si rifà nella stessa casa, le stesse sedie, lo stesso soggiorno. Ecco…forse la prossima volta, facciamo pure da voi. Penso alla gioia che provo nel condividere ciò che accresce la mia coscienza: incontri, esperienze, letture, meditazioni e libri. Poi mi chiedo che cosa arricchisca quella dei miei affetti? Quali testi stiano leggendo adesso; in quale modo stiano evolvendo. Il più delle volte non lo so. Penso al racconto e all’ascolto. Se chi parla e chi ode stanno esclusivamente in quel ruolo, senza mai cambiare posizione, la comunicazione sfiorisce.

La misura della reciprocità non consiste in una quantità proporzionalmente definita e calcolabile ma nella naturale attitudine a rispondere positivamente agli stimoli dell'altro. Senza tale propensione, la cura dei rapporti, anziché una scelta affettuosa, diventa un lavoro.

Al silenzio delle risposte sospese, alle presenze che diventano assenze, al disagio di chi elude i brindisi con invidia malcelata, contrappongo fieramente i frutti del bene reciproco: sono prosecco e salatini offerti da chi ha una casa troppo piccola per ospitare, sono i viaggi di chi sale sul primo aereo per consolare una sorella in lutto, sono messaggi, sono sguardi che accarezzano, sono parole che abbracciano, sono fiori per i non compleanni, sono bollini premio nella buca delle lettere, sono biscotti, sono la poesia di un mondo che si ripara nella semplicità, sono visite inaspettate, momenti di gioia. È la felicità che giustamente arriva senza annunciarsi.







DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

  Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insiem...