Tutto è doppio.
Immaginate
un palcoscenico teatrale con due scenografie, sul fondale dell’una un bagno
turco di Istanbul, su quello dell’altra l’interno di un appartamento romano.
Immaginate due epoche e di alternare gli anni 70 al presente. Naturalmente
anche le protagoniste sono due: Elsa e Adele, legatissime sorelle, separate dagli
eventi e lontane per un cinquantennio. Questo libro di Ferzan Ozpetek,
avvincente fino alle ultime pagine, si adatterebbe magnificamente ai tempi di
una pièce del teatro.
Trama: Elsa
abbandona improvvisamente Roma per recarsi sul primo treno della notte. Mettendosi
nelle mani della sorte, acquista un biglietto senza preoccuparsi della
destinazione. Giunta ad Istanbul, incomincia una nuova vita, fa delle
esperienze e degli incontri che la portano ad aprire un hammàm. Dal 1969, data
della sua fuga, fino al 2019 scrive alla sorella delle lunghe lettere che però non
ricevono risposta. Di ritorno in Italia, si reca nella casa in cui risiedeva
Adele cinquant’anni prima. In questo alloggio il destino delle due donne si
incrocia con quello dei suoi nuovi proprietari e di alcuni loro amici.
“Ai suoi occhi questo era rimasto l’appartamento
dove cinquant’anni fa era vissuta. Un luogo amico, benevolo, familiare. Che ci
fossimo noi o qualcun altro, per Elsa non aveva la minima importanza: l’essenziale
era trovarsi qui. Certi posti hanno la capacità di trattenere le emozioni,
proprio come fa un essere umano con il respiro. Poi le lasciano andare molto
lentamente, e chi è in grado di percepirle le assorbe in ogni cellula del suo
corpo. Ti fanno sentire a casa per sempre”.
Sebbene
l’animo dei protagonisti, trascinato dall’impeto dei ricordi e degli eventi, sia
turbato, la distanza temporale che separa i fatti dalle loro conseguenze offre
una narrazione dal ritmo tranquillo e pensoso. Come se il passare degli anni
concedesse lo spazio della riflessione: tutto in questo romanzo sembra galleggiare gentilmente sulle onde della vita dei suoi protagonisti.
Lo
stile con il quale l’autore descrive i personaggi porta alla memoria la sua
regia cinematografica. Li delinea nei gesti, nei silenzi, nelle reazioni
involontarie forse ancora più che con le parole. Si capisce da come muovono gli
occhi o da un improvviso rossore che si stanno nascondendo… mentre il lettore
gli gira intorno, li studia, apre loro la borsa, gli armadi della cucina, fino
a seguirli nelle stanze più nascoste. Forse ogni essere umano custodisce in sé un
giardino segreto che nessuno o quasi nessuno conosce. Senza fargliene una colpa,
l’autore lo mette alla luce come qualcosa di naturale e inalienabile. Ozpetek
racconta la fragilità umana con commovente indulgenza, per quanto le azioni
commesse da alcune figure siano basse e deplorevoli, non si può fare a meno di
empatizzare con loro e di comprendere il momentaneo impeto che le fa agire.
“Quante persone amano di
nascosto, tramano, tradiscono.”
“Ci sono amori per i quali
non basta una vita intera e altri che bruciano in una notte. Non sto dicendo
che i primi siano migliori dei secondi: è solo una questione di scadenza. Se non vuoi soffrire, devi conoscere i tempi.”
“Sai una cosa? In fondo
anche l’amore è un delitto perfetto: a volte ti uccide, altre forte ti rende
più forte, ma in ogni caso rappresenta l’alibi ideale per ogni tua follia.”
“Cosa significa odiare una
persona con tutte le tue forze? Non vuol dire nulla. Tanto lo sai che il tuo
rancore è solo una diversa forma d’amore. Avvelenato dell’umiliazione, dal
sospetto e dalla gelosia, ma non per questo meno vero.”
Questa
vicenda ammonisce e fa pensare a quanto il perdono sia salvifico e a come,
anche nelle situazioni più sgradevoli e per quanto ci si senta feriti,
bisognerebbe concedere alla controparte la possibilità di spiegarsi e di
giustificare le proprie azioni. Prima di chiudere un ciclo per sempre, quanto
meno esserne sicuri.
Immenso
Ferzan Ozpetek, 9 e mezzo