lunedì, dicembre 11, 2023

L’ULTIMA SPIAGGIA di Carmen Laterza

 


Ritorno al mio blog dopo una lunga pausa.

Ognuno dei testi che ho letto in questi mesi avrebbe meritato una riflessione post lettura, un commento per elaborarne alcuni passaggi significativi, eppure solo adesso sento nuovamente l‘urgenza di condividere un titolo. La causa sbloccante è senz’altro il libro di Carmen Laterza, straordinario e coinvolgente.

Trattandosi di un romanzo storico, i protagonisti, oltre ad Alvise e Zeno, due amici alle soglie dell’adolescenza, sono i luoghi, l’epoca, le famiglie, la società, la pericolosa instabilità di alcune regioni all’indomani della seconda guerra mondiale e un evento tragico, realmente accaduto e scandalosamente sconosciuto ai più.

Quello che rende il racconto avvincente è innanzi tutto la capacità dell’autrice di riportare in vita il passato e di farlo attraverso dei personaggi delineati così bene, da renderli famigliari, tangibili, riconoscibili per il loro modo di agire e pensare. Nel caso di Alvise e Zeno si tratta di figure caratterialmente e socialmente diverse, nondimeno profondamente affini.

Dello scenario dal quale i due ragazzi provengono si percepisce la dignitosa semplicità degli umili e la ricercata compostezza della classe media. Le persone hanno la bellezza di mostrarsi per quello che sono, certamente per via del loro ambiente ma anche a prescindere da questo.

 «Ottavia aprì le imposte ad una ad una lasciando entrare in casa la luce dorata e l’aria tiepida del tardo pomeriggio. Si fermò sul terrazzo del soggiorno, ispezionò le fioriere, sfiorando con le dita i petali rossi dei gerani, guardò in strada, lungo la penombra polverosa dei portici e poi giù fino alla piazzetta».

«…a Rita sembrava che la casa mancasse di decoro e non faceva che pulire tutti i giorni ogni stanza con cura maniacale. Solo i mobili della camera matrimoniale, che Sebastiano aveva costruito appena aperta la bottega, erano per lei una quotidiana fonte di orgoglio».

I bambini sono uguali a quelli di ogni altro tempo: istintivi, spontanei, sempre all’inseguimento di qualche avventura, in una competizione che già mette in luce l’intraprendenza degli uni e la ritrosia degli altri. L’infanzia di questi giovani del 1946 non era diversa dalla mia negli anni settanta. Facevamo le stesse cose, con la differenza che nel periodo della narrazione l’essere figlio di un medico piuttosto che di un falegname preludeva a un diverso destino, un futuro più o meno già scritto alla nascita.

«E in quel futuro importante, che partiva dalle scuole medie e arrivava all’esempio autorevole del padre, per Alvise non c’era posto e, peggio ancora, Alvise un posto, là dentro nemmeno lo voleva … Zeno, però, non se la prendeva perché loro erano amici e stavano dalla stessa parte».

Al di là del valore del romanzo da un punto di vista letterario, ne raccomando la lettura anche per la necessità di conoscere meglio il periodo storico e le vicende a cui si riferisce. Prendere coscienza di una ferita collettiva, sapere che qualcosa di doloroso e irrisolvibile è successo, documentarsi, interessarsi e soprattutto sentire, provare delle emozioni ha il pregio di alimentare una preziosa energia che, portando alla memoria fatti e persone, permette alle vittime di rivivere nei pensieri di coloro che ancora oggi ne coltivano il ricordo. 

La vicenda degli italiani di Pola e di Istria, la maniera in cui la regione venne divisa, la difficile convivenza con i "titini" ed il triste epilogo dell’esodo spostano la mia personale riflessione sull’incapacità umana di risolvere i conflitti e mettere le giuste priorità. 

Possibile che non ci sia un modo per far coabitare all'interno di un territorio conteso due diverse etnie con gli stessi diritti e gli stessi doveri? Uno spazio abbastanza largo e lungo, in cui ciascuno abbia la piena libertà di essere e vivere senza discriminazioni, nel rispetto di tutti e sulla base di una assoluta e universalmente riconosciuta uguaglianza?

«Il ragazzo si prese la testa tra le mani e cominciò a scuoterla piano, mentre chiudeva forte gli occhi. Sebastiano gli appoggiò una mano sulla spalla per consolarlo, perché sapeva che si era innamorato di una ragazza jugoslava e solo una settimana prima batteva i pugni sul tavolo del Circolo, affermando che i buoni e i cattivi c'erano da entrambe le parti e sparare nel gruppo non serviva a nessuno ».

 

Grazie CarmenLaterza Grazie

 

“Ricordare è oggi un gesto di educazione, una sfida personale alla dittatura del
 presente che ci fa tutti informati e distratti, condannati a oblio repentino.”

Marco Paolini

 

 

 


martedì, giugno 27, 2023

KINTSUGI DI SELENE CALLONI WILLIAMS

 


Il Kintsugi è una tecnica giapponese che ripara le crepe della ceramica con una lacca dorata. Dal Paese del Sol Levante la conoscenza di questa pratica si sta diffondendo anche in Europa e sovente se ne sente parlare. Del metodo mi attrae non solo il fatto di aggiustare qualcosa che è rotto, bensì la possibilità di conservare il vecchio, rendendolo nuovo e accrescendone il valore.

Proprio mentre mi domandavo in quali situazioni si possa ricorrere a tale procedura, sono incappata nel libro “Kinstugi. Ripara le ferite dell’anima e rendi prezioso ogni istante della tua vita”. Per riuscire a rimettere insieme i nostri frammenti staccati o riempire i buchi lasciati dalle fratture, inevitabilmente bisogna affrontare qualche battaglia.

L’autrice mi sorprende favorevolmente, perché tocca i temi che più mi interessano e ai quali già con precedenti letture avevo prestato attenzione: in particolare, la prima di tutte le sfide, imparare a stare in pena, quando arriva il disagio, sopportarlo senza scappare né lamentarsi.

“Qualsiasi dolore, fisico o psicologico, non ha lo scopo di farci soffrire ma di scuotere l’anima dal suo torpore e di chiamarci a un viaggio iniziatico … lo sa chi, in seguito alla perdita di un lavoro, a un fallimento o a un matrimonio sbagliato, ha compiuto il grande viaggio … e ha trovato in sé la forza e la resilienza che lo hanno riportato alla vita con una libertà tutta nuova”.

Accogliere una grande sofferenza, capace di affliggerci e fagocitarci in un angoscioso abisso, significa dare rifugio a una parte di noi, un io belligerante, che oppone la più cieca resistenza e che, usando il dolore come unico strumento per farsi ascoltare, rumorosamente protesta. In suo e nostro soccorso, il testo propone diverse meditazioni. La mia preferita è quella del torrente impetuoso, che prevede, dopo aver individuato il punto in cui sentiamo maggiore tormento, di visualizzare la ferita rimarginata attraverso l’energico scorrere di un flusso dorato.

In una società ipertecnologica, che aspira insistentemente ad una perfezione che non ci corrisponde, facilmente avvertiamo frustrazione e il senso di essere difettosi, mancanti, incompleti.

“Siamo stati progettati per romperci innumerevoli volte, perché è proprio da queste rotture che procede la nostra spinta a evolvere, a trovare soluzioni, a pensare a ciò che fino a quel momento non era ancora stato pensato”.

Del resto, ogni cosa che si ripara è per eccellenza imperfetta. Mi tornano alla mente alcuni rammendi che faceva mia nonna, come ero felice quando mi rattoppava la biancheria e quanto ero orgogliosa di quelle grosse cuciture su lenzuola e tovaglie.

La riparazione implica un passaggio da uno stato ad un altro, pur nella conservazione della propria identità. Per accedere al cambiamento e possibilmente alla crescita non penso si debba sistemare per forza ogni aspetto dell'esistenza o della persona. Ci sono vuoti che non si possono riempire e parti storte che non si possono raddrizzare. Nell’elogio dell’imperfezione allora mi permetto di aggiungere anche la libertà di non dover obbligatoriamente sistemare tutto.

Se pensiamo ai traumi, ai lutti, ai dispiaceri, alla maniera in cui la vita ci mette alla prova, ognuno di noi è un vaso ricomposto. Il numero dei pezzi in cui ci possiamo frantumare dipende dalle singole sensibilità, da quanto siamo scalfibili: tutti siamo frangibili in qualche posto e, alla fine, la differenza tra un individuo e l’altro sta nella quantità dei cocci, nella profondità delle crepe. Riunire i brandelli o riempire le fessure con l’oro significa diventare arte, dare somma dignità alle proprie cicatrici, esibirle con lo stesso orgoglio con cui si mostrerebbe un gioiello prezioso… Significa uscire a testa alta per strada e dire al mondo: Eccomi. Sono io, sono vecchio e sono nuovo, sono un puzzle ricomposto... nondimeno sono intero. Il cuore è integro, l’anima è sanata ... Io sono un autentico Kintsugi!

“Il tuo cuore fragile diventerà il tuo più grande spirito guardiano” mi disse Oda “ti proteggerà per sempre”.


 NOTA: Nella fotografia in alto, accanto al libro un portacenere acquistato 25 anni fa, durante il viaggio di nozze... posacenere compagno di numerosi traslochi, caduto, rotto e incollato...proprio come il matrimonio che rappresenta.


Targa realizzata da mia madre Ginetta Garutti 
con il Kintsugi 


" Se davvero la sofferenza impartisse lezioni, il mondo sarebbe popolato da soli saggi. E invece il dolore non ha nulla da insegnare a chi non trova il coraggio e la forza di starlo ad ascoltare"
Sigmund Freud


mercoledì, maggio 24, 2023

UN RAGAZZO NORMALE, di Lorenzo Marone

 


Il protagonista del romanzo è Mimì, un dodicenne dotato di notevole sensibilità, capace di guardare alle cose dall’interno e di cogliere anche i più piccoli e impercettibili dettagli. Il segreto della sua eccezionalità è forse quello di essere riuscito fin da piccolo a compensare dei limiti esterni, reali e oggettivi con un mondo interiore luminoso ed esteso. Proveniente da una famiglia umile, nella Napoli degli anni Ottanta, il ragazzo trova nella propria immaginazione lo spazio che gli manca:

“A ogni modo, questa è stata la mia infanzia, la mia vita da adolescente: uno stare tutti insieme, il respiro di uno sulla guancia dell’altro, senza alcuna possibilità di avere un momento e un luogo che fossero davvero miei. Fu proprio quella situazione di eterna condivisione a spingermi a isolarmi, a farmi rifugiare in un mondo solo mio che viveva di vita propria, e in quel mondo, in quei frangenti, imparai a non avvertire più il russare di papà, a non sentire le telenovele della nonna, i dibattiti politici del nonno o il ruminare rumoroso con il quale Bea masticava il suo chewingum.

Il giorno che pensai di diventare un supereroe, non sapevo che, in realtà, io supereroe già lo ero”.

 

Delicato e fragile, bravo nello studio e incontenibilmente curioso nei confronti di ogni singolo aspetto dell’esistenza, Mimì rivela anche una forza così straordinaria che, allo sguardo del lettore, supereroe lo diventa sul serio. Nonostante i coetanei lo considerino uno “sfigato”, lui non si omologa e va avanti per la propria strada, senza stancarsi di ascoltare istinto e cuore. Sceglie come amici Matthias, un senzatetto scappato dalla Germania orientale, e Giancarlo Siani, un giovane giornalista, coraggioso al punto di scrivere contro la camorra e così firmare la propria condanna a morte. Il protagonista sceglie di essere se stesso anche quando si innamora di Viola, una ragazza molto bella e corteggiata, figlia di una coppia benestante residente nello stesso stabile in cui suo padre fa il portinaio. Nonostante la famiglia e gli amichetti del quartiere si sforzino di dissuaderlo e cerchino di levargli anche la più piccola illusione, lui si mostra senza paura per il fanciullo che è, senza maschere né atteggiamenti spocchiosi.

“Sai come sono nate le fate? Chiesi d’improvviso a Viola … Lei si girò a guardarmi con occhi curiosi… Quando il primo bimbo rise per la prima volta, la sua risata si sbriciolò in migliaia di frammenti che si sparpagliarono qua e là. Fu così che nacquero le fate”.

 

La sua aspirazione è quella di poter svolgere un giorno una missione che abbia un senso, che lo faccia sentire libero e nel giusto, proprio come il suo idolo Giancarlo.

“Sentirsi invincibili non è una buona cosa, perché ti porta a commettere degli errori, a sottovalutare i segnali, a non accorgerti della precarietà delle cose. Ciò che ci rende umani e per questo speciali, caro Mimì, sono proprio le nostre debolezze, i difetti se vuoi chiamarli così”.

 

La bellezza di questo racconto è quella di riportarci alla nostra autenticità, di renderci consapevoli che la prima sfida, prima ancora dei risultati scolastici, professionali o sociali, sta nell’essere fedeli a noi stessi, perché solo chi veramente lo è, alla fine trionfa. Diversamente, vincerebbe il ruolo che stiamo interpretando. Mimì ci insegna a buttarci nelle imprese che ci attraggono, a fare spallucce quando gli altri ci giudicano o ci deridono.

“Poiché alla fine di quella terribile e magnifica estate capii che gli unici superpoteri a disposizione di noi poveri umani sono i rapporti che riusciamo a costruirci, gli amori, le amicizie, gli affetti. Sono la qualità di queste relazioni a fare la differenza fra chi è super e chi, forse, lo è un po’ meno”.

 

Come sempre mi accade con i libri di Lorenzo Marone resto piena di ammirazione e meraviglia, per la vicenda narrata, per il modo e soprattutto per quell’analisi che vola alta sulle cose del mondo e risponde a questioni mai veramente formulate, eppure presenti chissà dove e chissà da quando.

Grazie Lorenzo Marone Grazie

A chi fosse interessato a conoscere la breve biografia di Giancarlo Siani, giro questo link

Biografia - Fondazione Giancarlo Siani

 

I see your true colors Shining through (true colors) I see your true colors And that's why I love you So don't be afraid to let them show Your true colors True colors are beautiful
Like a rainbow


True Colors

Billy Steinberg e Tom Kelly


martedì, aprile 25, 2023

URRÀ PER LE MIE AMICHE

 


Spesso si frequentano delle persone che sembrano destinate a restare con noi a lungo. Eppure, capita che le incompatibilità non oltrepassino i primi ostacoli e che quegli occasionali compagni di viaggio spariscano. Ogni volta che inizio a coltivare un nuovo rapporto mi chiedo chissà cosa diventeremo un giorno… chissà dove saremo tra un anno… Non riesco neppure a quantificare il numero di individui che hanno attraversato la mia esistenza lasciando debolissime tracce. Come se il tempo fosse una stazione ferroviaria, ho visto volti arrivare e partire, sorrisi aperti e manine sventolate da lontano.

Le stagioni e i giorni ci impongono continui adattamenti e trasformazioni, quello che una volta ci corrispondeva, smette di rappresentarci. Pensiamo di non riconoscere più l’altro, in realtà siamo noi che ci troviamo già altrove, con un nuovo sentire e nuove visioni. Per questo, tante amicizie compiono straordinari cicli, si perdono ma se sono autentiche si ritrovano. Se finiscono, è possibile che quegli esseri umani abbiano terminato il loro compito con noi. Comunque siano andate le cose, possiamo farcene una ragione, comprendendo il senso di quell’incontro, imparando a scegliere a chi accostarci e da cosa dissociarci.

Nel perpetuo caos della vita io sono stata molto fortunata, perché ho avuto il privilegio di condividerla con delle donne eccezionali, che considero sorelle: sono stata ascoltata e accettata nelle mie fragilità con infinita pazienza. Le mie amiche hanno colmato in parecchie occasioni vuoti e mancanze, si sono prese cura non solo di me ma del mio intero mondo, integrandoci nel loro.

Tra queste anime belle c’è chi mi restituisce l’orizzonte ogni volta che lo perdo e contribuisce con una tale determinazione al mio successo, che se vinco, vinciamo in due e se perdo … non perdo. E ancora chi, nei momenti difficili, mette in luce le mie qualità, ricordandomi tutte le volte che sembrava impossibile e invece ce l’ho fatta …

Penso alla bellezza di stare insieme, al modo di parlare, di gesticolare, a quella speciale energia che unisce le persone che si vogliono bene, fino a farle rassomigliare benché non siano parenti. Anche se restassero anni senza vedersi, si ritroverebbero in una fraterna bolla, si guarderebbero con gli stessi occhi e riderebbero nello stesso modo.

Che tu sia nella mia vita da 38 anni, da 31, da 28 o da 5

Io ti ringrazio di esserci e naturalmente ti invito a rimanerci.

Rossana



sabato, marzo 25, 2023

TUTTO CHIEDE SALVEZZA di DANIELE MENCARELLI

 

É la prima volta che passo da un film al libro, anzi in questo caso dalla serie Netflix. In entrambi i casi, emozionandomi e ragionando, ho acquisito nuove intuizioni.

La versione cinematografica del testo di Daniele Mencarelli mi ha talmente coinvolta, che, già sui titoli di coda, ne ho sentito la mancanza. Così, alla prima occasione, ho comprato il romanzo. Questa lettura non solo ha integrato le immagini della pellicola, ma ha aggiunto commozione e riflessioni. Il libro è in alcuni aspetti diverso dal film, tuttavia le modifiche della serie non disturbano lo scritto. 

Non essendomi mai facilmente omologata e tantomeno sentita “normale”, da sempre quello della pazzia è un tema che rapisce la mia attenzione. Se ognuno di noi andasse a fondo e si aprisse senza pregiudizio anche a quelli più lontani dai propri schemi, quanti punti in comune troverebbe? Possibile che lo si possa scoprire soltanto naufragando su un’isola deserta? O nel corso di un forzato esilio? Questo è un po’ quanto accade a Daniele, nella settimana di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO). Tutti i compagni di stanza del reparto di psichiatria hanno qualcosa di straordinario, anche quelli più irraggiungibili e apparentemente assenti come Alessandro e Madonnina. La maggior parte di costoro si contraddistingue per l’eccezionalità del sentire, una stranezza che, se anziché essere isolata, venisse integrata in modo costruttivo nella coscienza comune, certamente migliorerebbe qualcosa. Innocenza, lealtà, purezza d’animo, estrosità, ironia, franchezza sono solo alcune delle qualità che si nascondono sotto al disagio psichico di Daniele, Mario, Gianluca e Giorgio.

“Quei pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più sono i fratelli, offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare”.

La voce narrante non descrive il mondo visto da un folle, bensì l’esperienza di un ragazzo altamente sensibile, insolitamente maturo per la sua giovane età, capace di svolgere un’analisi lucida e profonda su se stesso e su chi incontra. Lo fa annullando i limiti e i confini. Nonostante il proprio disagio e la pesantezza del TSO, accoglie l’altro, lo ascolta, stabilisce un contatto, come se gli tenesse invisibilmente la mano nel cercare l’uscita da quello scomodo tunnel.

“Oggi so che non sono io a vedere grandi le cose, ma sono loro ad esserlo, io mi limito a guardarle nella loro reale dimensione. E la dimensione reale delle cose è gigantesca. Ogni singola giornata è costellata di azioni, visioni, degne di un’epopea straordinaria. Ogni persona incontrata, ogni scorcio di realtà inedito. Ma questa consapevolezza che stringo ora nei pugni so che passerà, come è già passata, tutto in quel momento tornerà ad essere sintomo di un male ancora senza un nome. La mia vita scorre su questa altalena impazzita.”

“Un figlio nato da una madre instabile e padre suicida viaggia per il mondo. Un principe. Un messia. Un futuro uomo capace di tutto … In lui la somma dei mali si è trasformata in bellezza, equilibrio, futuro degno di questo nome. Lo vedo tra mille ragazze, più forte di ogni chiacchera infame, di ogni pregiudizio. Vai. Onora il padre e la madre. Dimostra all’umanità intera che dagli ultimi, i reietti, nascono miracoli come te”.

Mario, il paziente più anziano della camera, è una figura estremamente delicata e poetica. Padre di famiglia, marito, maestro elementare, essere umano dal fare gentile e discreto, a un certo punto della propria esistenza precipita nel caos, si rompe e non si ripara mai più. Da quel momento perde lavoro, affetti e si ritrova solo, di degenza in degenza, alternando giorni apparentemente tranquilli a notti dolorose e tormentate. Eppure, in qualche modo, continua ad essere maestro. Interrogandosi insistentemente, contempla dalla finestra la vita in tutte le forme e riconosce nella semplicità la bellezza.

“Non sto dicendo che non esista la malattia mentale, ci mancherebbe, ho conosciuto squilibrati da mettere i brividi. Ma oggi non si cura più solamente la malattia mentale, oggi è l’enormità della vita a dare fastidio, il miracolo dell’unicità dell’individuo… Perché un uomo che si interroga sulla vita non è più un uomo produttivo… un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi”.

In effetti, è proprio attraverso l’inquietudine dei tempi difficili che si cresce, si migliora, in ogni caso ci si trasforma. Dalla contemplazione del bello, che passa attraverso un uccellino che torna al nido o l’ascolto di una poesia, Mario associa l’arte alla pazzia e, dal mio punto di vista, con lui l’autore tocca il punto più alto della propria osservazione.

“Io credo che gli artisti, come certi matti, abbiano dentro sé il seme di un ricordo lontanissimo, qualcosa avvenuto prima di tutte le storie. È la bellezza che scintilla di tutto. Io, ecco, credo che in certi uomini sia rimasto un ricordo sgranato, finito nel subcosciente. Questi uomini guardano tutto per come era veramente, prima di quella cosa che è successa e che ha cambiato tutto”.

Come se le creature più delicate e vulnerabili sentissero la nostalgia di un pezzo mancante, splendido e puro, qualcosa che si generò nella notte dei tempi e che nella notte dei tempi si deflagrò. Sebbene quella parte non la si conosca, se ne percepisce l’assenza. Ecco l’infinita ricerca degli artisti e l’indefinibile malessere delle anime fragili.

Tra gli altri compagni di viaggio, Gianluca e Giorgio. Tanto belli, quanto facili a sbriciolarsi, sbagliati nella misura in cui la società li convince della loro inadeguatezza. Condannati senza processo, in virtù di una non conformità sancita da nessun trattato.

“A me la quinta elementare non me l’hanno fatta fa’… Giorgio deve stare con quelli come lui … come lui come? Perché io come so’? In non do fastidio a nessuno, ma se me vengono sotto, se me ridono in faccia, me fanno le linguacce, io m’arrabbio, poi arriva la polizia, l’ambulanza. Se la pijano tutti co’me, perché io so matto, loro che m’hanno provocato invece so’ i sani, capito?”.

Tutto chiede salvezza. La cura e la premura chiedono salvezza. L’attenzione chiede salvezza. La non conformità, l’imperfezione, la non omologazione, l’unicità, il diritto alla fragilità…per tutto e per tutti si chieda anzi si pretenda salvezza.

Grazie DanieleMencarelli Grazie💓


Day after day, alone on a hill
The man with the foolish grin is keeping perfectly still
But nobody wants to know him, they can see that he's just a fool
And he never gives an answer

But the fool on the hill sees the sun going down
And the eyes in his head see the world spinning around

Giorno dopo giorno, solo su una collina
L'uomo col ghigno da matto
se ne sta perfettamente immobile
Ma nessuno lo vuole conoscere
Vedono che è solo un matto
Non dà mai nessuna risposta
Ma il matto sulla collina
Vede il sole tramontare e con gli occhi della mente vede il mondo girare

The fool on the hill, John Lennon & Paul McCartney

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 



martedì, febbraio 28, 2023

UN'AMICIZIA. SILVIA AVALLONE


 

Il libro di Silvia Avallone descrive la parabola dell'amicizia, nata sui banchi di un liceo, tra Elisa e Beatrice. Diametralmente opposte sia nell’aspetto che nel carattere, le protagoniste si incastrano con massima precisione. Nonostante contrasti e rotture, il loro legame ha in sé l’energia e il senso di ribellione dell’adolescenza.

Del romanzo mi ha appassionato non tanto la trama, quanto l’arte del racconto e il talento nell'analisi dei sentimenti e delle situazioni. L’autrice riflette avvedutamente su esseri umani, relazioni, fragilità e stortezze della vita.

“…Siamo tutti fatti di angoli e spigoli, quindi ci urtiamo”.

Entrambi i personaggi provengono da famiglie inadeguate e hanno dei rapporti irrisolti con le rispettive madri.

“Sapevo che una madre conteneva due estremi e passava dall’uno all’altro senza preavviso. E tu potevi odiarla finché volevi, ma poi arrivava sempre la necessità fisica di farti abbracciare e accettare. Tu irrisoria e lei gigantesca, una disparità incolmabile che in certi casi ti compromette la vita”.

Dietro alle figure principali c’è una società che si trasforma e la percezione di un tempo che scorre senza infamia né lode. Nell’arco del ventennio che fa da sfondo alla narrazione, non tutti i mutamenti coincidono con un’evoluzione. Elisa cresce e diventa adulta, Beatrice semplicemente cambia ma, nell’inseguire fama e successo, conserva il narcisismo e l’individualismo della pubertà.

“E così facile fingere. Mettersi in posa. Sorridere… esibirsi e sbatterlo in faccia. Ma gli altri giorni? Per le paure? Le malattie, i funerali, come pensa di organizzarsi l’umanità?”.

“Eppure lo sapevamo già che il tempo futuro è un tempo che toglie e non aggiunge”.

Ho provato una crescente insofferenza nei confronti del personaggio di Beatrice: cinica e menefreghista si approfitta continuamente dell’affetto della compagna. Il bello del romanzo è la possibilità di scegliere dove stare, con quale delle due "Eva" solidarizzare o identificarsi. Durante gli anni delle superiori, il rapporto tra le coetanee si interrompe in un paio di occasioni per poi risolversi e proseguire con rinnovata complicità. Benché la frequentazione con l’amica sia tossica, Elisa ogni volta la riprende e ricomincia da capo.

“… Non si cresce e non si vive senza passare attraverso un’amicizia sbagliata”.

Inevitabilmente, data la totale assenza di reciprocità, a un certo punto il meccanismo si inceppa e il legame sembra spezzarsi per sempre.

“Ma la verità è che il lutto per un’amicizia finita non si risolve. Non c’è modo di curarlo, rielaborarlo, chiudere e andare avanti. Rimane lì piantato in gola a metà tra il rancore e la nostalgia”.

Un passaggio che mi è piaciuto moltissimo è il quadro in cui la scrittrice dipinge l’ipocrisia dell’apparenza dei nostri giorni. 

“Si truccano, si vestono bene, vanno in centro a passeggiare, entrano in un bel locale e, tenendo alti i bicchieri, brindando con larghi sorrisi, si scattano una foto, che subito dopo, naturalmente, finirà su internet: un messaggio scagliato contro gli ex fidanzati, le amiche che le hanno tradite, i pettegoli delle province da cui provengono. «Lo vedete come ci divertiamo? Come sembriamo felici?» …Nessuno riuscirà mai a convincermi che quelle tre foto su internet delle mie vicine di casa siano più interessanti di tutti i giorni, mesi, anni della loro vita in cui non sembrano niente, non vogliono assomigliare a nessuno, né vincere nulla … Perché quelle immagini io non le riesco ad amare, ma la presenza di quelle persone, la loro verità si…Mi viene da pensare … che chi siamo è infinitamente più interessante e commovente di quel che vorremmo a tutti i costi sembrare”.

Come lo dice bene. Come sono d’accordo. Quanto più si insiste nel voler mostrare al resto del mondo quanto si è ricchi, belli e felici, tanto più mi sorge il dubbio che in realtà si stia cercando di nascondere l’infinita ampiezza della propria voragine interiore.

Al di là della vicenda, mi interrogo sul tema dell’amicizia in senso più lato, su cosa possa garantirne la sopravvivenza, nonostante le distanze, di qualsiasi tipo esse siano: geografiche, temporali, sociali, culturali o ideologiche … Due anime affini si manterranno tali, con la consapevolezza che niente e nessuno potrà separarle, se da entrambe le parti ci sarà la capacità di accettare i cambiamenti dell’altra. Adattarsi e trasformarsi senza perdersi. Farsene una ragione anche quando il fraterno compagno non piace in qualcosa o non corrisponde alle aspettative. Finché gli amici restano così come li vogliamo, allora sono capaci tutti. L’importante è che mai vengano a mancare lealtà, fedeltà, rispetto e trasparenza. 

Una distanza materiale non potrà mai separarci davvero dagli amici. Se anche solo desideri essere accanto a qualcuno che ami, ci sei già.
(Richard Bach)

L’amicizia è un albero che ti ripara.
(Samuel Taylor Coleridge)


Grazie Sivia Avallone Grazie 👏



martedì, febbraio 21, 2023

"STRANO MA BELLO", IL MONDO VISTO DA UN MICRORGANISMO


STRANO MA BELLO, QUANDO UN SOGNO DIVENTA PROGETTO

Dopo tante letture presentate su questo blog, stavolta mi recensisco da sola. 

Strano ma bello è la storia di una creatura che cerca se stessa e, riconsiderando la propria esistenza, tenta di capire quale sia il suo posto nel mondo.

Tantissimi anni fa, guardando mia figlia dormire, mi domandavo oltre alla maternità, alla famiglia e al lavoro, cos’altro mi ballasse dentro. Pertanto, ogni volta in cui mi sentivo inquieta, scrivendo, placavo la confusione ed il rumore interno. Iniziai con la traduzione di alcune ricette italiane in un tedesco sgrammaticato e improbabile. In seguito, passai alla stesura di alcuni racconti, nei quali tutto ruotava intorno alla mia condizione di straniera, anzi di “apolide”. Non ero più la stessa donna che aveva lasciato l’Italia e tantomeno il processo di integrazione poteva dirsi compiuto. Si trattava di narrazioni talvolta ironiche e spiritose, come l’iscrizione al consolato di Francoforte, talaltra profondamente nostalgiche, come i ritorni dai viaggi nel Sud. Qualche aneddoto potrei pubblicarlo con il titolo: “Ironia e malinconia: istruzioni per l’uso” oppure “Tutto quello che non si deve fare quando ci si trasferisce all’estero”.

Ebbene, con il passare del tempo, dei traslochi e con lo spostamento in Svizzera, la vita si fece più frenetica. Benché la famiglia e la professione riempissero le mie giornate, l’inquietudine restava. Frequentai ogni tipo di seminario e di formazione. Tuttavia, non ero mai soddisfatta perché sentivo che da qualche parte mancava un pezzo. Spesso, anziché usare i manuali scolastici, redigevo io stessa le letture o gli articoli per i miei corsi d’italiano: riprendevo ossigeno e mettevo ali alla mia anima creativa, componendo storielle sull’uso dei tempi verbali o creando libretti di didattica.

Nel 2020 la pandemia ingegnò tutti quanti, sfidandoci a gestire i giorni in modo che le nuove ore a disposizione non andassero perse. Mentre l’uno sfornava focacce e l’altro si modellava i muscoli, io inizialmente mi depressi. Ciononostante, il 7 maggio 2020 con la creazione di questo blog e la pubblicazione del primo post sul Garda, riuscii finalmente a filtrare nel lessico i sentimenti e a dare una struttura ai pensieri. Da quel dì, elessi questo mezzo di comunicazione come finestra dalla quale, di tanto in tanto, affacciarmi. Nondimeno, quando il volume delle emozioni si fece troppo alto, mi resi conto che per canalizzare quel caos di energia repressa, ci voleva altro.

Così, all’improvviso, trasformandomi in un piccolo organismo, mi presi il lusso di viaggiare tra il passato e il presente, di guardare le cose dall’esterno, per rifletterci e trovare un diverso equilibrio. Dall’istante in cui scrissi la parola fine sull’ultima pagina del manoscritto, il senso di incompletezza mi abbandonò e il giorno in cui l’editore annunciò l’intenzione di pubblicarlo, compresi che tutto quello che avevo vissuto prima, bello o brutto che fosse, proprio lì mi doveva portare. Alla fin fine, avevo trovato una direzione, una strada e una risposta affermativa.

Adesso il mio desiderio è che il libro risulti gradevole a chiunque lo legga…ma sarei veramente felice se qualcuno vi trovasse una parte di sé o, anche per un fugace attimo, si sentisse meno solo. Insomma, vorrei che la storia uscisse dalle pagine e raggiungesse anime e cuori bisognosi di compagnia.

A tutti coloro che come me si sentono strani, non solo l’augurio di accettarsi ma soprattutto quello di insistere con la propria unicità ad abbellire il mondo.

Firmato, il Microrganismo.

 


Being different is neither a good nor bad thing. it only signifies that you are brave enough to be yourself.
Essere diversi non è una cosa né buona né cattiva. Significa semplicemente che sei abbastanza coraggioso da essere te stesso.(Albert Camus) 

mercoledì, gennaio 11, 2023

GRAZIE 2022

 

A causa di un virus, allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre giacevo a letto addormentata. Di conseguenza, non ho potuto brindare e congedarmi da questo amico in partenza: l’anno 2022.

In effetti, San Silvestro è un allegro funerale, il congedo gioioso con cui realizziamo che qualcosa è andato via per sempre e, contando da 10 a zero, tracciamo un netto confine tra il vecchio e il nuovo. Come se un maturo re saggio si spogliasse della sua corona a dodici punte e, abdicando in favore del prossimo regnante, si ritirasse nella memoria collettiva. Allora, prima che questi ricordi ancora vivi sbiadiscano o diventino brandelli, vorrei dire al Signor 2022 GRAZIE!

Grazie per le bellissime esperienze nel mondo della lettura e della scrittura. Il libro che più ho apprezzato è stato senz’altro “Il colibrì” di Sandro Veronesi. Gli altri autori che hanno maggiormente illuminato la mia coscienza sono stati Lorenzo Marone e Ferzan Ozpetek. A pari merito con loro, Fabrizio Caramagna, poetico aforista, geniale, romantico e lunare.  La mia passione per la scrittura si nutre della lettura come di una linfa vitale, che costantemente alimenta l' anima, i pensieri, le emozioni e il lessico.

Grazie Sua Maestà 2022! Per i giorni felici con gli amici cari e la famiglia. Momenti spensierati, tanto graditi, quanto inattesi. Grazie per il blu del mare Mediterraneo, per il rosso dei tramonti e per tutti quegli attimi che custodirò con cura in una stanza speciale della memoria.

Grazie per i viaggi! Corti, lunghi, vicini, lontani, frequenti e bellissimi. Grazie per gli incontri, per i delfini, per le meraviglie che ci hai mostrato, per le scoperte umane e naturali. Grazie per i nuovi amici che il destino benevolo, a nostra insaputa, ci aveva messo nel pacchetto vacanze.

Grazie per le sfide, ma anche per i dispiaceri o per quelle prove difficili che, imponendo scelte dolorose ma necessarie, mi hanno offerto l’occasione di voltare pagina e andare avanti.

Grazie 2022 Grazie!

Prometto di sorridere di più, di prendermi un po’ in giro e di essermi fedele.

Prometto di ascoltare e di cercare di comprendere anche quando sono in disaccordo.

Prometto di astenermi dai giudizi severi, di prendere atto e andare avanti senza troppe recriminazioni.

Prometto di liberare ogni resistenza nel respiro, di lasciare andare anziché trattenere, ma anche di accogliere chi lo merita. Prometto di ricorrere alle parolacce solo in casi di estremo bisogno.

Anche se so che sarà faticoso, prometto di sforzarmi di accettare le critiche e di farne buon uso, filtrando l’utile ed eliminando il superfluo.

Prometto di prendere posizione e di essere coraggiosa.

Prometto, prometto, prometto…

... Prometto di provarci.

 

Addio 2022

Grazie di tutto

lunedì, dicembre 05, 2022

INVENTARIO DI UN CUORE IN ALLARME. LORENZO MARONE

 


Lo scrittore in questo volume svela la propria ipocondria. Mentre nelle altre letture il racconto parte sempre dalla storia di qualcun altro, in questo caso il protagonista è proprio lui, Lorenzo Marone, con la sua smania per la salute ed il terrore verso qualunque possibile infermità. La paura del malanno incombe come un’ombra inquietante e oscura, che si presenta con capricciosa e regolare insistenza. Consapevole di essere vittima di un meccanismo perverso, applicando la legge di attrazione al contrario, egli cerca e trova tutti i sintomi possibili. Nonostante questo, si mette a nudo con autoironia e competenza. Il suo ritratto di ipocondriaco alterna la vicenda umana ad alcune digressioni sulla storia e sulle scoperte della scienza medica. 

Tra tutti, il capitolo che ho preferito ha per titolo “Malebolge”.

La realtà è che spesso la storia non insegna perché non la si vuole ascoltare. Perché non le diamo credito? Perché sentiamo il bisogno di affidarci all’omeopatia, all’astrologia, agli ufo, agli stregoni e agli pseudoscienziati? Perché vogliamo credere alla dannosità dei vaccini, alla terra piatta e ai fiori di Bach? Si, di base siamo tutti un po’ americani, ma non è questo il punto, il punto, a mio avviso, è che non ci si affida a qualcosa di assurdo, ma si diffida di qualcosa di accettato da tutti. Uso l’omeopatia perché non mi fido della medicina normale, non vaccino mio figlio perché non conosco la scienza, non voglio affidarmi ai poteri forti che vogliono impormi le loro verità. Credo alle cospirazioni e ai complotti perché se non ci credo passo per un ingenuo credulone, E così divento un credulone per non fare la figura del credulone.

La prima pubblicazione del testo è del febbraio 2020. Lorenzo Marone pare proprio l’antesignano dei lunghi dibattiti e degli accesi scontri conseguiti alla pandemia. Quando si crede in un principio così importante, bisogna avere il coraggio di esporlo e soprattutto di difenderlo. A maggior ragione, esprimo il mio pieno compiacimento e la mia totale adesione a questa scuola di pensiero.

Molti sono i passaggi che durante la lettura mi hanno indotto talvolta al sorriso talaltra al ragionamento; é interessante entrare nell’immaginario di un ipocondriaco e collegare quelli che per me sono dettagli insignificanti ad una eventuale condizione di infermità. Anzi, a differenza del protagonista, pur di evitare le visite mediche, tendo a ignorare i sintomi o ad attendere che se ne vadano da soli. Forse sono un’ipocondriaca al rovescio, ho un tale rifiuto per la malattia che fingo di essere in salute anche quando non sono in perfetta forma. Comunque, il più delle volte funziona.

Anche in questo libro ritrovo una considerazione tanto bella quanto difficile. Dal momento che l’imperfezione è per eccellenza la costante della vita, tanto vale farsene una ragione e imparare a conviverci, per riuscire ad accettarsi senza rassegnarsi.

Dovremmo semplicemente accettare le fragilità, accettare l’idea che dall’imperfezione possa nascere qualcosa di più evoluto, renderle omaggio, come fa quella tecnica giapponese, il Kintsugi, letteralemente "riparare con l'oro", che usa il prezioso metallo per tenere insieme i cocci rotti.

Gli avrei voluto spiegare che di rassegnazione nelle mie parole non ce n’era, parlerei più di accettazione, che significa prendere atto della realtà senza star li a sprecare energie vitali. La distinzione è sottile ma importante: la rassegnazione è una resa, l’accettazione un punto di partenza.

Nonostante tra le opere di Marone finora lette questa sia stata meno avvincente, come sempre ne ho tratto riflessioni e frasi illuminanti. Ogni volta che leggo i suoi testi realizzo come la scrittura sia il talento di dire cose intelligenti, possibilmente rivelatrici, attraverso protagonisti o vicende avvincenti. In effetti, questa autobiografia mi ha appassionato davvero poco. Eppure, se non avessi sottolineato e riscritto alcuni passaggi mi sarei persa qualcosa di importante per la vita:

… per cambiare davvero, si deve affrontare il passato e disattivare l’evento che ha portato al difficile presente. Qualsiasi azione limitata a oggi, al contrario, porterebbe a modificare un futuro che è già storto in partenza.

D’ora in poi, di fronte alle fragilità, alle reazioni eccessive, ai comportamenti sbagliati, al manifestarsi delle mie parti rotte, come un mantra mi ripeterò: disattivare l’evento, disattivare l’evento, disattivare l’evento, disattivare l’evento … e naturalmente viaggerò a ritroso nel tempo per cercare l'evento da disattivare.

Non possiamo cambiare le carte che ci sono date, possiamo soltanto decidere come giocare la prossima mano.

Grazie Lorenzo Marone Grazie

 

venerdì, novembre 04, 2022

IL COLIBRÌ. SANDRO VERONESI

 


 

Marco Carrera è il colibrì. Sebbene intorno a tutta la vicenda magistralmente narrata da Sandro Veronesi ruotino vari personaggi, è lui la luce del romanzo. Nasce sotto una buona stella, in una famiglia istruita ed economicamente agiata. Tuttavia, a causa della durezza con la quale alcuni eventi lo metteranno alla prova, si percepisce una sorta di giustizia sociale per cui il destino colpisce tutti indistintamente, ricchi, poveri e borghesi. La differenza sostanziale è il modo attraverso il quale si reagisce a queste sfide. Piangere e disperarsi è legittimo ma, passato lo sbigottimento, c’è chi ha l’intelligenza e la tenacia di usare gli ostacoli come dei gradini su cui salire. Marco Carrera ha la resilienza di quelli che all’indomani di un uragano, spalano il fango e ricostruiscono casa.

L’associazione al colibrì segue tutta la parabola della sua esistenza. Per la prima parte della gioventù, fino al momento in un cui gli viene somministrata un’innovativa cura ormonale, la crescita fisica procede con biblica lentezza. Eppure, alla scarsa altezza il giovane contrappone intelligenza rapida e movimento fulmineo.

«Del resto, non appena questo deficit era apparso evidente, lei aveva coniato per il suo bambino il più rassicurante dei soprannomi, colibrì, per l’appunto, e la velocità: fisica – notevole, in effetti – che gli tornava buona negli sport; e mentale – asserita, questa, più che altro – nella scuola e nella vita sociale. Perciò aveva continuato a ripetere sempre lo stesso mantra, anno dopo anno: non c’era da preoccuparsi, non c’era da preoccuparsi, non c’era da preoccuparsi».

Del piccolo uccellino, il protagonista, alto e adulto, conserva la capacità di restare immobile quando le tragedie lo affliggono. È il suo modo di reagire ai traumi, sentire il dolore e lasciarsi travolgere senza fare nulla, senza lottare per opporvisi. Come se ci fosse una centratura nella disperazione, che è l’esatto contrario di quello che fanno i più. La sua forza è quella di non scappare dall’alluvione, di solito non ha nemmeno il tempo di accorgersene ma quando la piena lo raggiunge, resiste senza arrendersi aggrappato a un ramo. Forse allora, essere forti non significa combattere a oltranza ma accettare lo scorrere della vita senza cedere, senza mollare la presa. La sfida è proprio quella di restare appesi fino a che la tempesta è passata.

Marco affronta ogni singola situazione assumendosene l’intera responsabilità, mettendo ciascuna risorsa al servizio di chi per lui conta. Ama nel senso più nobile e antico del termine, ama con valore e sacrificio, ama al punto di vivere nell’attesa di qualcosa che potrebbe non essere, che anzi, quasi certamente non accadrà. Eppure, per sempre risolutamente ama. 

«Ma è vero che se una storia d’amore non finisce, o come in questo caso nemmeno comincia, essa continuerà a perseguitare la vita dei protagonisti con i suoi nulla di cose non dette, azioni non compiute, baci non dati»

Il colibrì si prende cura con immensa affezione del nido, assiste teneramente tutti coloro che ne fanno o ne hanno fatto parte, talvolta porta senza dolersene valigie non sue. Lo fa e basta, lo fa da solo. Lo fa con i genitori malati e vicini alla morte. Lo fa come papà singolo che ricostruisce alla figlia un paradiso perduto. Lo fa come nonno anzitempo, accogliendo una gravidanza inaspettata. Lo fa nel tirare su come genitore singolo la nipotina rimasta orfana.

«E ho capito, all’improvviso (ecco perché all’improvviso ti scrivo, anche se so che non mi risponderai) che tu sei davvero un colibrì. Ma certo. È stata un’illuminazione: tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci a fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro. Ed ecco perché starti vicino è così bello»

«Ma questo è perché il tempo ha conferito sempre più valore al cambiamento, anche a quello fine a se stesso, e il cambiamento è ciò che vogliono tutti. Così non c’è niente da fare, alla fine chi si muove è coraggioso e chi resta fermo è pavido, chi cambia è illuminato e chi non cambia è un ottuso. E ciò che ha deciso il nostro tempo. Per questo mi fa piacere che tu ti sia accorta … che ci vogliono coraggio ed energia anche per restare fermi»

Marco Carrera è la figura letteraria di cui mi sono più innamorata negli ultimi anni. È il marito, il padre, il fratello, il figlio che tutte vorremmo. Io di sicuro. Come Nicola Carati di “La meglio gioventù”, lui è per eccellenza un uomo perbene senza essere eroe, semplicemente identificando quei valori che altri spregiudicatamente tradiscono. Il bello è che lo fa istintivamente, quasi senza sceglierlo. É la sua natura.

«Vi sono esseri che per tutta la loro vita si dannano allo scopo di avanzare, conoscere, conquistare, scoprire, migliorare, per poi accorgersi d’esser sempre andati alla ricerca solo della vibrazione che li ha scaraventati al mondo: per costoro il punto di partenza e il punto di arrivo coincidono. Poi ce ne sono altri che invece pur stando fermi percorrono una strada lunga e avventurosa perché è il mondo a scivolare sotto i loro piedi, e finiscono molto lontano da dove erano partiti: Marco Carrera era uno di essi. Ormai era chiaro: la sua vita aveva uno scopo. Non tutte le vite lo avevano, la sua lo aveva. Le dolorose vicissitudini che l’avevano segnata avevano esse pure uno scopo, nulla gli era capitato per caso»

Nella classifica dei libri più belli, una sola raccomandazione: leggere lentamente, restare a lungo nella storia, starci dentro immobili e come un colibrì, volare sul posto. Le altre letture possono aspettare. Marco Carrera merita adesso, subito, il nostro tempo e la nostra partecipazione.



Leggere ci dà un posto dove andare anche quando dobbiamo rimanere dove siamo.

Mason Cooley









DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

  Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insiem...