venerdì, novembre 04, 2022

IL COLIBRÌ. SANDRO VERONESI

 


 

Marco Carrera è il colibrì. Sebbene intorno a tutta la vicenda magistralmente narrata da Sandro Veronesi ruotino vari personaggi, è lui la luce del romanzo. Nasce sotto una buona stella, in una famiglia istruita ed economicamente agiata. Tuttavia, a causa della durezza con la quale alcuni eventi lo metteranno alla prova, si percepisce una sorta di giustizia sociale per cui il destino colpisce tutti indistintamente, ricchi, poveri e borghesi. La differenza sostanziale è il modo attraverso il quale si reagisce a queste sfide. Piangere e disperarsi è legittimo ma, passato lo sbigottimento, c’è chi ha l’intelligenza e la tenacia di usare gli ostacoli come dei gradini su cui salire. Marco Carrera ha la resilienza di quelli che all’indomani di un uragano, spalano il fango e ricostruiscono casa.

L’associazione al colibrì segue tutta la parabola della sua esistenza. Per la prima parte della gioventù, fino al momento in un cui gli viene somministrata un’innovativa cura ormonale, la crescita fisica procede con biblica lentezza. Eppure, alla scarsa altezza il giovane contrappone intelligenza rapida e movimento fulmineo.

«Del resto, non appena questo deficit era apparso evidente, lei aveva coniato per il suo bambino il più rassicurante dei soprannomi, colibrì, per l’appunto, e la velocità: fisica – notevole, in effetti – che gli tornava buona negli sport; e mentale – asserita, questa, più che altro – nella scuola e nella vita sociale. Perciò aveva continuato a ripetere sempre lo stesso mantra, anno dopo anno: non c’era da preoccuparsi, non c’era da preoccuparsi, non c’era da preoccuparsi».

Del piccolo uccellino, il protagonista, alto e adulto, conserva la capacità di restare immobile quando le tragedie lo affliggono. È il suo modo di reagire ai traumi, sentire il dolore e lasciarsi travolgere senza fare nulla, senza lottare per opporvisi. Come se ci fosse una centratura nella disperazione, che è l’esatto contrario di quello che fanno i più. La sua forza è quella di non scappare dall’alluvione, di solito non ha nemmeno il tempo di accorgersene ma quando la piena lo raggiunge, resiste senza arrendersi aggrappato a un ramo. Forse allora, essere forti non significa combattere a oltranza ma accettare lo scorrere della vita senza cedere, senza mollare la presa. La sfida è proprio quella di restare appesi fino a che la tempesta è passata.

Marco affronta ogni singola situazione assumendosene l’intera responsabilità, mettendo ciascuna risorsa al servizio di chi per lui conta. Ama nel senso più nobile e antico del termine, ama con valore e sacrificio, ama al punto di vivere nell’attesa di qualcosa che potrebbe non essere, che anzi, quasi certamente non accadrà. Eppure, per sempre risolutamente ama. 

«Ma è vero che se una storia d’amore non finisce, o come in questo caso nemmeno comincia, essa continuerà a perseguitare la vita dei protagonisti con i suoi nulla di cose non dette, azioni non compiute, baci non dati»

Il colibrì si prende cura con immensa affezione del nido, assiste teneramente tutti coloro che ne fanno o ne hanno fatto parte, talvolta porta senza dolersene valigie non sue. Lo fa e basta, lo fa da solo. Lo fa con i genitori malati e vicini alla morte. Lo fa come papà singolo che ricostruisce alla figlia un paradiso perduto. Lo fa come nonno anzitempo, accogliendo una gravidanza inaspettata. Lo fa nel tirare su come genitore singolo la nipotina rimasta orfana.

«E ho capito, all’improvviso (ecco perché all’improvviso ti scrivo, anche se so che non mi risponderai) che tu sei davvero un colibrì. Ma certo. È stata un’illuminazione: tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci a fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro. Ed ecco perché starti vicino è così bello»

«Ma questo è perché il tempo ha conferito sempre più valore al cambiamento, anche a quello fine a se stesso, e il cambiamento è ciò che vogliono tutti. Così non c’è niente da fare, alla fine chi si muove è coraggioso e chi resta fermo è pavido, chi cambia è illuminato e chi non cambia è un ottuso. E ciò che ha deciso il nostro tempo. Per questo mi fa piacere che tu ti sia accorta … che ci vogliono coraggio ed energia anche per restare fermi»

Marco Carrera è la figura letteraria di cui mi sono più innamorata negli ultimi anni. È il marito, il padre, il fratello, il figlio che tutte vorremmo. Io di sicuro. Come Nicola Carati di “La meglio gioventù”, lui è per eccellenza un uomo perbene senza essere eroe, semplicemente identificando quei valori che altri spregiudicatamente tradiscono. Il bello è che lo fa istintivamente, quasi senza sceglierlo. É la sua natura.

«Vi sono esseri che per tutta la loro vita si dannano allo scopo di avanzare, conoscere, conquistare, scoprire, migliorare, per poi accorgersi d’esser sempre andati alla ricerca solo della vibrazione che li ha scaraventati al mondo: per costoro il punto di partenza e il punto di arrivo coincidono. Poi ce ne sono altri che invece pur stando fermi percorrono una strada lunga e avventurosa perché è il mondo a scivolare sotto i loro piedi, e finiscono molto lontano da dove erano partiti: Marco Carrera era uno di essi. Ormai era chiaro: la sua vita aveva uno scopo. Non tutte le vite lo avevano, la sua lo aveva. Le dolorose vicissitudini che l’avevano segnata avevano esse pure uno scopo, nulla gli era capitato per caso»

Nella classifica dei libri più belli, una sola raccomandazione: leggere lentamente, restare a lungo nella storia, starci dentro immobili e come un colibrì, volare sul posto. Le altre letture possono aspettare. Marco Carrera merita adesso, subito, il nostro tempo e la nostra partecipazione.



Leggere ci dà un posto dove andare anche quando dobbiamo rimanere dove siamo.

Mason Cooley









giovedì, ottobre 27, 2022

IL PESO DELL' ANIMA. PAOLA RUSSO

 


Il peso dell’anima è il racconto coraggioso di Sofia, una ragazza che descrive la propria vicenda nel mondo dell'anoressia mentale.

Sono particolarmente interessata al tema del disturbo alimentare perché, al di là delle esperienze individuali, credo che il rapporto con il cibo sia la relazione per eccellenza più problematica. Senz'altro lo è per me. Chi è veramente certo di nutrirsi equilibratamente? Quanti si riconoscono nell’immagine che gli riflette lo specchio? Chi non ha mai provato sensi di colpa a causa del cibo? Per non parlare poi del fitto intreccio che tesse la mente in presenza di carenze affettive.

Il mio approccio all’alimentazione si basa da anni su una specie di controllo, sul bisogno di misurare, verificare, sorvegliare e dominare peso e forma secondo parametri del tutto soggettivi. "Il controllo è solo l’illusione che tutto possa restare immutato, è la negazione della vita che passa mentre tu sei impegnato a limitare gli imprevisti». L’ossessione per il controllo è il “fuori controllo”, è proprio questa la dipendenza da cui si sviluppa la malattia. Pesarsi maniacalmente è fuori controllo, mettere ogni pietanza sulla bilancia e calcolarne le calorie è fuori controllo, misurarsi con un metro da sarto è fuori controllo. Insomma, la fissazione patologica per il controllo è l’apoteosi del non controllo.

Sofia smette di mangiare dopo aver perso a breve distanza entrambi i genitori. In realtà, non è per il lutto in sé che smette di nutrirsi ma per un disagio molto più antico e ancestrale. Il suo aspetto fisico parla al posto suo, in un percorso che a spirale la trascina al centro della propria voragine, quasi ai limiti di un non ritorno.

«L’affetto che non si mangia ma si percepisce con altri sensi. Troppo ovvio da capire, molto semplice da attuare in una famiglia normale, non nella mia, dove invece tutto era un simbolo, tutto legato al cibo, alla difficoltà di trasmettere i sentimenti in modo sano e diretto. Tutto da decifrare».

Il pane è pane, garantisce la sopravvivenza, integra l’amore ma non lo sostituisce. Al di là del modo in cui ogni persona elabora delle gravi mancanze, la protesta alimentare diventa un linguaggio difficile da comprendere. Come per le lingue straniere, andrebbe tradotto, studiato e interpretato.

«Intanto nel delirio della mia mente io non voglio annientarmi anzi, tutt’altro. Il mio corpo è una scatola fatta per comunicare. Chi vuole morire fa in modo che gli altri non se ne possano accorgere, io sto costruendo al contrario il mio strumento di comunicazione con il mondo, proprio perché il mondo si accorge di te per quello che mostri, per la materia che sei, ed io devo “non essere” per lanciare il mio SOS, anche se a volte, la mia testa, mi dice che non posso andare avanti così devo capire cosa succede dentro di me».

Nonostante sia impossibile non riconoscere questo SOS, per i terapeuti stessi è quantomai arduo prestare aiuto e trovare le chiavi giuste per accedere ai propri pazienti. Mi immagino il senso di impotenza di tutti gli affetti coinvolti nel disturbo di un amico o un famigliare stretto. Inoltre, il modo in cui gli altri ci vedono raramente corrisponde a come noi guardiamo noi stessi. Ogni volta in cui ci si confronta con delle forme e dei numeri che, non rappresentandoci, amplificano le nostre insicurezze, a nulla servono i consigli e i complimenti di chi ci vorrebbe rassicurare.  Probabilmente costoro hanno ragione quando ci dicono che stiamo bene così, eppure qualcuno potrebbe sentirsi non capito, non visto, non riconosciuto.

«In fondo non è facile mettersi nella testa di chi apparentemente sembra lontano dalla normalità, le persone si cementano nel comodo “buon senso”. Ma il buon senso è un concetto soggettivo comune a tanti perché c’è un senso che appare buono alla maggior parte delle persone e che resta sempre qualcosa di parziale. Gli schemi della perfezione vanno infranti per capire sotto cosa c’è, cosa ci rende unici».

Come se il cervello si sfidasse in un braccio di ferro e, condannando il resto del corpo, ci inducesse a rinunciare al piacere del gusto, alla leggerezza e alla convivialità, fino a spogliarci non solo dei chili ma della nostra intera naturale e istintiva inclinazione alla vita. Traverstito da falso amico il pensiero, quel tipo di pensiero, tradisce e distrugge.

Grazie a un efficace percorso di psicoterapia e, soprattutto, alla rilettura e all'osservazione della propria storia famigliare con delle nuove lenti, Sofia accetta di interrompere la guerra, di cambiare il linguaggio, di prendersi la responsabilità di esistere, di farlo per se stessa, in armonia, secondo regole, modi e ritmi del tutto personali.

«Le mie sedute mi stavano aprendo la mente oltre gli schemi rigidi e cristallizzati della mia infanzia. Ho raccontato alla dottoressa la mia idea, dosare il senso di colpa che ho, mangiando con i miei tempi. Provare con l'assunzione graduale del cibo, secondo quello che sento dentro di me, senza forzature. Amare il poco che cucino per me, amare me».

Ho letto questo libro molto velocemente ma, a differenza di quanto avviene di solito con altri testi, la stesura del post mi è costata un notevole sforzo. Mi sono ritrovata in alcuni passaggi dello scritto di Paola Russo. Ho capito che alla base di questo disturbo ci possono essere dei rapporti "disfunzionali" con le figure di riferimento, che non ci si accetta e non ci si ama abbastanza, che la perdita del controllo genera delle abitudini perverse che sfociano nella dipendenza, che la dipendenza causa fatalmente dei gravi problemi fisici e mentali. 

Tutto molto doloroso e troppo complicato. Qualunque sia la dipendenza, il comportamento o la sostanza di cui si abusa, un passo alla volta, auguro a tutti di farcela. Non è mai troppo tardi per chiedere aiuto e ricominciare da capo. 




domenica, ottobre 09, 2022

SE MI GUARDI ESISTO. FABRIZIO CARAMAGNA


Sebbene abbia amato questo libro non meno del precedente, ho incontrato uno scrittore diverso. Le emozioni scaturite dagli incontri con il mondo esterno indagano un doppio orizzonte, fatto di luci ma anche di ombre. Dell’opera “Il numero più grande è due” mi avevano rapita le immagini piene di colore, l’eco delle risate, il sentire innocente di qualcuno che a braccia aperte corre verso la vita. In “Se mi guardi esisto” l’autore sembra il fratello maggiore dell’uomo che aveva scritto il romanzo precedente. Pur con lo stesso animo e la stessa gentilezza, indaga i misteri dell’universo con la consapevolezza di chi ha sofferto, di chi, pur frantumandosi in mille pezzi, si ricompone, di chi ha la forza di stare nel dolore e da quell’abisso nuotare senza fretta verso la superficie.

«Come si chiama quella parte del nostro corpo che ha la pelle troppo delicata, che quando esce nel mondo si deve proteggere dagli urti, dai colpi improvvisi, dagli strattoni, persino dal freddo e dalle vibrazioni delle parole? Sensibilità. Si chiama sensibilità».

Nella moltitudine dei volti anonimi che incontriamo ogni giorno si celano terre inesplorate, individui sconosciuti che forse potrebbero incastrarsi con le nostre esistenze. Se solo lo sapessimo!

«… a volte penso a quanti sguardi ci sono là fuori, che si perdono così, senza una parola, un gesto, un incontro. Il mondo è uno spreco di sguardi».

«Ma quanto ci metti a venire da me? Io non so nemmeno da quanto ti aspetto… Facciamo un gioco. Io non ti cerco più e tu mi accadi adesso».

Mi piace questa urgenza di conoscere chi ci è destinato. Che cosa starà facendo in questo momento, quali eventi lo stanno preparando al nostro primo prossimo appuntamento. Alla mercé di un fato dispettoso, di un tempo che non risponde, dobbiamo aspettare. Del resto, la rivelazione di un mistero esige una grande prova di pazienza. Siamo così abituati a riporre le nostre certezze nella scienza, che pare inconcepibile non sapere come, dove, quando e se qualcosa avrà luogo.

Nondimeno siamo così dipendenti dalla tecnologia, che cercando di piacere più agli altri che a noi stessi, dimentichiamo la differenza tra l’autentico e il falso.

«Potete fotografarvi in mille modi, da ogni angolatura con ogni filtro e ritocco ed effetto luce.

Ma il cuore quando incontra un altro cuore è l’unico apparecchio fotografico affidabile».

L’originale è sempre imperfetto, nascosta nelle sue crepe la forza travolgente della bellezza che l’amore subito riconosce.  

«Mi piaci perché hai la bellezza dei vetri rotti, delle cicatrici sulla pelle, delle copertine rovinate dei libri, dei fili aggrovigliati. C’è tanta luce dentro».

Tutti spettinati, riparati dai nostri cocci spezzati e ancora mirabilmente integri. Nonostante le peggiori cadute, le perdite anzitempo, le ferite di guerra, il messaggio forte, chiaro e rimbombante è quello di non arrendersi, di continuare ostinatamente, e malgrado tutto, a lasciare di noi e per noi qualcosa di buono.

«… L’importante non è sapere, ma cercare

Conta scrivere ogni giorno sul quaderno della vita

E farlo con una bella calligrafia.

Conta creare legami,

conta donare parole e atti di gentilezza.

Conta andare avanti e seminare

e seminare ancora».

 

Fabrizio Caramagna è un mago gentile che trasforma in meraviglia tutto ciò che ci circonda. Eppure, nonostante i suoi superpoteri, credo che nella prima pagina dei suoi libri si dovrebbe scrivere: "Fragile. Per favore maneggiare con cura".


Grazie FrabrizioCaramagna Grazie👏

 

Voto: da 11 in su fino all’infinito

 

“Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi
Solo i sogni che non fanno svegliare”

“Sì. Vostro Onore, ma li voglio più grandi”

La canzone del padre, Fabrizio de André

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

martedì, settembre 27, 2022

IL DONO DELLA RECIPROCITÀ

 


Rifletto sulla reciprocità perché tutto ciò che non lo è, o si trasforma, o soccombe. Ogni cosa nella nostra esistenza si basa sull’alternanza di gesti e risposte, su stimoli che per sopravvivere esigono un flusso continuo. Se all’espirazione non seguisse l’inspirazione imploderemmo, se immettessimo aria nei polmoni senza farla uscire scoppieremmo. Il passaggio tra l’uno e l’altro atto ci assicura la vita. Nella prima infanzia i bambini si sintonizzano sulla stessa lunghezza d’onda di chi li accudisce, ricambiando con amorosa dipendenza. Alla base dello scambio, anche in seguito, vi è sempre, comunque ed imprescindibilmente qualcosa di vicendevole.

Nel dare e nell’avere è previsto un soave equilibrio, che rende le relazioni sane, giuste, gratificanti ed armoniose. Che si tratti di amore o di amicizia, il principio di reciprocità ci fa sentire accolti, capiti, accettati e ri-amati. Se questo manca, se lo sbilanciamento tra gli attivi e i passivi è eclatante, bisogna rendersene conto e agire in modalità di risparmio. Forse si è speso troppo; del resto, ogni relazione presuppone il rischio di un investimento. Nel mondo dei sentimenti è complicato pareggiare i conti. Eppure, di tanto in tanto, un bilancio è necessario. Di solito, le persone interessate tengono continuamente aperto il loro libro contabile, invece, quelle più ingenue e generose ne ignorano completamente l’esistenza.

Nonostante preferisca la bellezza della condivisione spontanea, il troppo dare ha delle controindicazioni. Lo sbaglio non è di chi prende ma di chi offre. Penso a delle cene che si svolgono sempre presso l’abitazione della stessa persona, alla cura nella preparazione, ai brindisi e alle lunghe chiacchierate. "La prossima volta facciamo da noi", poi il tempo passa e, siccome è più comodo, si rifà nella stessa casa, le stesse sedie, lo stesso soggiorno. Ecco…forse la prossima volta, facciamo pure da voi. Penso alla gioia che provo nel condividere ciò che accresce la mia coscienza: incontri, esperienze, letture, meditazioni e libri. Poi mi chiedo che cosa arricchisca quella dei miei affetti? Quali testi stiano leggendo adesso; in quale modo stiano evolvendo. Il più delle volte non lo so. Penso al racconto e all’ascolto. Se chi parla e chi ode stanno esclusivamente in quel ruolo, senza mai cambiare posizione, la comunicazione sfiorisce.

La misura della reciprocità non consiste in una quantità proporzionalmente definita e calcolabile ma nella naturale attitudine a rispondere positivamente agli stimoli dell'altro. Senza tale propensione, la cura dei rapporti, anziché una scelta affettuosa, diventa un lavoro.

Al silenzio delle risposte sospese, alle presenze che diventano assenze, al disagio di chi elude i brindisi con invidia malcelata, contrappongo fieramente i frutti del bene reciproco: sono prosecco e salatini offerti da chi ha una casa troppo piccola per ospitare, sono i viaggi di chi sale sul primo aereo per consolare una sorella in lutto, sono messaggi, sono sguardi che accarezzano, sono parole che abbracciano, sono fiori per i non compleanni, sono bollini premio nella buca delle lettere, sono biscotti, sono la poesia di un mondo che si ripara nella semplicità, sono visite inaspettate, momenti di gioia. È la felicità che giustamente arriva senza annunciarsi.







giovedì, settembre 22, 2022

TUTTO SARÀ PERFETTO. LORENZO MARONE

 

Andrea è un fotografo, single, tanto sensibile quanto irrisolto. Per alcuni giorni è chiamato ad assistere il padre malato. Si tratta di dare il cambio all’apprensiva sorella in viaggio lontano da Napoli. La donna gli lascia una lista di regole da rispettare con religiosa diligenza, alle quali suo malgrado il fratello dovrà contravvenire. Nonostante il genitore si trovi nella fase terminale di una grave patologia, ha ancora la forza e la lucidità di mettere in atto un piano “diabolico”, rivendicando il diritto di godere del tempo che gli resta in piena libertà. Papà e figlio fuggono a Procida, luogo delle loro origini. Qui, beneficiando di un presente inatteso e sorprendente, vivono ogni istante con la massima intensità.

«Se mia sorella sapesse che alle undici di sera il padre, anziché dormire nel suo comodo letto, si trova sulla spiaggia di Procida, con un venticello che viene dalle spalle…, se sapesse che non prende medicinali da ieri, che ha gustato del buon vino rosso e sta fumando il secondo spinello della sua vita, le verrebbe un colpo».

Di questo autore apprezzo particolarmente il modo attraverso il quale i protagonisti evolvono nel corso della storia. Le altrui vicende sollecitano il lettore a immedesimarsi, fino al punto di mettersi in discussione e riconsiderare il proprio atteggiamento.

«Le tartarughe non mi piacciono … Milioni di anni fa sono state brave a costruirsi la corazza che si portano appresso e che le ha salvate dai predatori, solo che con il tempo il guscio che le riparava è diventato la loro prigione; gli altri animali hanno continuato a evolversi, a cambiare, loro invece sono rimaste così, non sono più progredite. Perciò stanno diminuendo … non hanno saputo cambiare, non hanno avuto la forza di separarsi dal guscio. Di allontanarsi da casa».

Questa affermazione mi induce a riflettere sulla facilità con la quale ci si auto-boicotta. Tale è la paura di non essere all’altezza delle proprie aspirazioni, che si evita di rincorrere i sogni, accontentandosi di una quotidianità che ha luogo ben al di sotto del proprio valore. Il processo di crescita prevede il cambiamento e per trasformarsi è inevitabile abbassare le difese, uscire dal guscio e rischiare. Meglio ferirsi, soffrirne e rialzarsi, piuttosto che restare immobili e rinunciare alle mete che ci attendono e che talvolta richiedono persino il nostro errore.

«Non è stato facile averti come padre, questo vorrei dirgli, perché il tuo più grande errore è stato proprio non nascondere ai tuoi bambini i demoni di cui parli. E così abbiamo dovuto imparare a convivere con loro, con le tue paure vestite di rigore e noncuranza, e con il tempo quelle paure sono diventate le nostre, i demoni si sono presi anche noi».

Andrea cerca di diventare adulto lontano dalle sue radici, eppure resta fortemente aggrappato sia ai ricordi che ai mostri infantili. La sensibilità straordinaria dei bambini assorbe ogni luce e ogni ombra dal mondo dei grandi, riflettendole sul proprio futuro. A seconda del modo in cui si è stati trattati, questi chiaroscuri possono divenire ali o valigie pesanti. Per il protagonista, come per ognuno di noi, la necessità di interrogarsi non solo su quali siano le zavorre che rallentano il cammino, ma a chi queste appartengano davvero. Forse, smettere di portare le borse degli altri, sarebbe già un buon presupposto per marciare più leggeri.

«Ho impiegato una vita, ma alla fine ho estirpato quelle radici, alla fine ho capito che io di responsabilità proprio non ne avevo, non ne ho, e se qualcuno ne ha (e neanche ne sono troppo convinto), questi sono i miei genitori, ognuno per i suoi motivi. Io, di tutta la merda che ho mangiato, non ne ho colpa. Nessuno ha mai colpa per l’infanzia che si è ritrovato. Siamo tutti senza peccato. Cominciamo a capire questo, a dirci questo, e avremo buone possibilità di salvarci».

Durante i giorni a Procida e le conversazioni tra i due personaggi, quel padre tanto severo nella memoria del figlio perde un po’ dell’antica durezza. All’immagine fiera, esigente e austera del comandante di una grande nave, si sovrappone quella di una persona saggia e profonda, capace di un amore che tuttavia fatica a manifestare.

«E bravo il mio fotografo … che ha già imparato a riconoscere la bellezza che ci circonda. Ricorda, la vita è un chiaroscuro perenne, ma ogni tanto arriva attorno a noi la luce giusta a illuminare le cose e a renderle perfette. Bisogna accorgersene. È tutta qua la differenza tra chi campa davvero e chi spreca il suo tempo».

Ogni ultimo libro di Lorenzo Marone che leggo, diventa il mio preferito.

Grazie Lorenzo Marone Grazie😊

 

martedì, settembre 13, 2022

ESTATE 2022 ... Amo l'estate

 


"…Estate, il sole che ogni giorno ci scaldava
Che splendidi tramonti dipingeva
Adesso brucia solo con furore
Tornerà un altro inverno
Cadranno mille petali di rose
La neve coprirà tutte le cose
E forse un po’ di pace tornerà…"
 

Sulla riva di Santa Maria di Leuca, nel mio ultimo giorno salentino, risuonava questa canzone di Bruno Martino del 1960. Sono note malinconiche e dolenti, che si congedano da qualcosa che non c’è più con una rabbia poco credibile. Come si può odiare l’estate? La stagione che per eccellenza ci riconcilia con il tutto, consegnandocelo splendente e immacolato. Il mondo è luce, noi figurine colorate che vi danzano all’interno.

 

In un’epoca senza aspettative, né speranze, sono arrivati mesi traboccanti di emozioni, sapori, colori e incontri: sorprese inattese e doni improvvisi… come la bellezza che non si annuncia e travolge.

 

17-23 luglio 2022

La Puglia ci dà il benvenuto con l’affetto non solo di Antonio, amico caro, fidato e fraterno, ma della sua intera famiglia. Sospinti dal vento fresco di tramontana, voliamo leggeri sulle onde del mare di CASTRO, immergendoci in acque così turchesi che gli oceani al confronto si tacciono. Trascorriamo una settimana in cui l’unico programma è muoversi in libertà, con la sola certezza sul punto di partenza e di arrivo di ogni missione. Ecco, questo è il ricordo più caro di quelle ore: il bar Namastè di BOTRUGNO. Perché se dappertutto si può preparare un buon espresso o un aperitivo scenografico, l’arte di ricevere e di accogliere fa di questo locale la meta di un’intera comunità. È il posto in cui prediligo iniziare e finire le mie giornate. L’atmosfera famigliare e la bontà dei prodotti offerti ci fanno continuamente ritardare il momento dei saluti. Prendiamo posto a un tavolo con poche sedie, al quale poi se ne aggiungono altre e ad altre ancora, tutti benvenuti ai piedi del campanile, proprio così come dovrebbe essere, proprio così com’è nel mondo che vorrei. I paesi con i loro vicoli lunghi e stretti, le case bianche, il rosarancio del cielo al tramonto, le seggiole fuori dagli usci anche a notte fonda… anche a notte fonda le signore anziane sedute sopra. Nel SALENTO non si dorme mai, ci si appisola stanchi quando le tenebre si sbiadiscono per accogliere il giorno. Del resto, pare sempre che stia per iniziare qualcosa in cui la vera festa è l’attesa collettiva.


Alla famiglia Maggio, dal profondo del cuore Grazie.











 

28.07-01.08.2022

Di ritorno dal Sud, un rapido cambio di valigie, e poi di nuovo in ITALIA, questa volta al Nord, per la fiera del pesto a casa di mamma. Come in una piccola catena di montaggio, chi lava le foglie delle piantine, chi le trita, chi pulisce l’aglio … e nel frattempo l'intera cucina che profuma di basilico. Alla fine, stappatura di prosecco e degustazione della salsa che, messa sottovuoto e congelata, farà da salvacena nel nuovo anno. L'esecuzione della ricetta è preceduta da pasti e aperitivi che hanno luogo in giardino o nei paesi intorno a CREMA. Immancabili il mercato del sabato e il buon umore contagioso di una madre, che nonostante le peggiori mazzate, reagisce, lotta, ride e sorride come una ventenne.





Di ritorno in Svizzera, penso di andare incontro a un agosto tranquillo e casalingo.

Invece, l’universo, sparigliando le carte, estrae a sorte per noi un biglietto fortunato: mia figlia, di solito impegnatissima nel lavoro e nello studio, mi propone una breve vacanza last minute ad IBIZA (07.08-12.08.2022). Naturalmente dico di sì. Sono anni che ne parliamo. Prima che qualche altro evento mondiale o particolare ce lo impedisca, saliamo su un aereo e atterriamo sull’isola. Già dall’atmosfera allegra e dall’espressione alticcia di alcuni passeggeri presagisco che non si tratti di un luogo noioso. Arriviamo a Sant Antoni dove raggiungiamo l’hotel Palladium Palmyra. L’accoglienza è perfetta, così impeccabile che ci fanno l' upgrade in una camera più grande e con vista incantevole su palme e mediterraneo. La struttura offre buffet riccamente imbanditi e deliziosi, il personale, sorridente e premuroso, fa in modo che il nostro calice non sia mai vuoto. Camminiamo lungo la costa, percorriamo le spiagge più belle, saliamo e scendiamo da ogni tipo di barca. Prendiamo un pullman e ci fermiamo ad Ibiza città. Elvissa è autentica, ci conquista con i suoi negozietti e le strade vuote. Nonostante sia mezzogiorno, l'atmosfera ricorda la domenica mattina. La maggior parte dei villeggianti trascorre la notte in discoteca, qualcuno balla, qualcun altro si sballa, altri riprendono a dormire solo sul volo di ritorno.

Ci compriamo un prendisole, delle magliette, qualche regalo per gli amici e dialoghiamo. Osserviamo umani e natura, ridiamo di noi e di loro. Nel tardo pomeriggio ci imbarchiamo su un grande motoscafo in direzione Sunset. Il capitano ci conduce ad una baia cristallina, qui montiamo su una tavola da stand up paddle. In piedi, io remo, mia figlia si siede in poppa e si lascia trasportare. Nonostante faccia caldo, il sole sta calando lentamente. Risaliamo sullo yatch, beviamo del vino bianco e mangiamo degli spuntini. Nell'istante in cui ci troviamo in mezzo al mare, la grande stella gialla si avvicina e viene ad abbracciare  noi, proprio noi, madre e figlia in una sola luce. Prima che il giorno sparisca, sulle note di Elton John, la ragazza si tuffa istintivamente in acqua, riemerge, guarda me e poi si gira verso l’orizzonte. La sfera gialla è ancora visibile. Sale e mi si siede accanto mentre il sole termina la sua discesa sotto alle onde. Io realizzo che quello, proprio quello del 9 agosto 2022, è il più bel tramonto della mia vita.





Grazie Estate 2022 Grazie💖





 

 

 

 

 

lunedì, settembre 05, 2022

RISCRIVI LE PAGINE DELLA TUA VITA, Anna De Simone - Ana Maria Sepe

 


L’estate sta finendo ed io ritorno a parlare di libri, di viaggi e di viaggi nella lettura.

“Riscrivi le pagine della tua vita” è un’opera recente e innovativa, scritta dalle psicologhe del mitico Psicoadvisor - La Rivista di Scienze Psicologiche e Neurobiologia, di cui sono grande ammiratrice.

Il testo va a prendere il lettore dall’interno, cercandolo nelle sue zone più fragili e nascoste. Gliele mostra, le descrive e le osserva con approccio gentile e mai giudicante. Non si tratta di eliminarle, bensì di integrare quegli sfaldabili pezzi e di accoglierli come parte inalienabile della propria identità. Tutto ciò che diventiamo si genera alla nascita ed evolve durante l’infanzia: In che modo siamo stati accolti? Come si sono presi cura di noi? Come erano i toni, il linguaggio, le spiegazioni? In quale maniera gli adulti di riferimento sapevano rispondere alle nostre domande? Ma soprattutto, chi e come erano questi genitori, queste famiglie? Ricorre spesso il termine disfunzionale, riferito a persone e relazioni inadeguate al punto di essere non solo inefficaci, ma persino dannose e di grosso ostacolo allo sviluppo della personalità. Poiché i bambini non sono in grado di difendersi e tantomeno di elaborare ciò che accade, ne consegue che siano proprio questi a portare il peso più grande degli errori commessi nei loro confronti. Quanti di noi passano una vita a pensare di essere sbagliati e storti, difettosi a prescindere, di non essere abbastanza, di non valere abbastanza. Quanti si auto-sabotano, convinti di non farcela… e magari il traguardo è proprio lì a due passi.

Qualunque sia stato l’esempio educativo, se disfunzionale, ne consegue un adulto dalle emozioni disturbate, dal volume troppo alto, “fuori misura”. Giustamente un individuo modella la propria opinione di sé e la percezione della realtà secondo gli stimoli e le risposte ricevute quando era piccolo. Persino le più belle musiche di tutti i tempi, se ascoltate alla massima frequenza, perderebbero la loro armonia. Ed è proprio così che ci si sente quando sentimenti come rabbia, senso di colpa, vergogna, paura, tristezza e ansia fanno la loro personale rivoluzione, riportandoci in un passato non risolto, obbligandoci ogni volta a rivedere i nostri cocci rotti. Come note senza pentagramma, queste sensazioni prendono il comando e ci conducono nella terra dei conflitti. Mi tornano alla mente gli esperimenti di Masaru Emoto, per cui l’acqua ghiaccia in cristalli bellissimi sottoposta alle opere classiche e si frammenta scomposta con la musica hard rock. Come note non stonate ma da accordare, quelle impressioni fuori controllo sono la nostra anima che suona il rock, o il punk o il blues. Le autrici propongono allora di tenere un diario delle emozioni, al fine di connettersi più consapevolmente con esse, comprendendone le origini e le conseguenze. In effetti, ogni volta che lasciamo che siano sensazioni sgradevoli o pensieri brutti a prendere il sopravvento, è a loro che diamo il potere. Il bello di questo studio è che non si tratta di negare o respingere quel sentire e quel pensare ma di accettarlo e integrarlo. Trovo bellissimo il suggerimento di andare a prendere una foto di quando eravamo piccoli, per guardare, abbracciare e rincuorare quelle creature timorose e incerte, dare loro amore e forza fino a vederle sotto una luce diversa, luminosa al punto di mettere in evidenza tutto il buono che c’è.

Ho spesso riscontrato come il raggiungimento del benessere venga confuso con l’assenza di dolore. Tutti vogliono evitare la sofferenza come se questa fosse l’anticamera della morte, eppure non è così. Il male che sentiamo, proprio come quelle emozioni scomode, è una parte di noi che rivendica attenzione. Più le daremo dignità, tanto meno sentirà il bisogno di romperci il cuore. Siamo noi, è la nostra vita. Stare nel dolore ci cura e ci salva. Certo, non dico che sia gradevole ma è la premessa essenziale alla rinascita.

Il libro è un favoloso manuale di autoanalisi e di autoaiuto. Ho solo accennato alcuni temi, interpretandoli liberamente sulla base della mia esperienza. Al termine del volume ci sono alcuni esercizi e strategie per lavorare su se stessi e sbloccare o agevolare alcuni meccanismi.

Come si dice nel film “Si può fare” di Giulio Manfredonia, «da vicino nessuno è normale». Pertanto, a tutti caldamente lo consiglio, perché tutti senz'altro ne abbiamo bisogno.

Grazie Anna De Simone Grazie😌

Grazie Ana Maria Sepe Grazie😌






 

 


martedì, giugno 14, 2022

SEI LA MIA VITA, FERZAN OZPETEK

 


Premessa: Ferzan Ozpetek e Lorenzo Marone sono in questo momento gli scrittori che più mi fanno sentire piccola: piccola nella mia ricerca, piccola nella scrittura, piccola nella descrizione delle cose e nell’osservazione della realtà. Nonostante siano entrambi molto diversi, hanno tutti e due il dono non solo del racconto ma dell’analisi profonda, della sua elaborazione mediante un linguaggio semplice, rapido e rivelatore. Potrebbe apparire una condizione frustrante, eppure non lo è, al contrario più un modello è irraggiungibile, maggiore è la mia ispirazione.

Un ideale è come la stella polare: è irraggiungibile, ma indica la retta via.

Il libro: Ferzan Ozpetek si racconta durante un viaggio in macchina al suo compagno Simone. Qualsiasi termine lo designi, partner, amico, amante … suona inadeguato, poiché il rapporto che li lega va al di là di qualunque relazione amorosa. Simone è Ferzan e Ferzan è Simone. Sebbene questo sentimento sia solo lo sfondo della storia, resta tuttavia il filo conduttore di tutto il romanzo, del tempo che lo precorre e di quello che lo succede.

“Nel mio cuore c’è solo un prima di te e un durante te: è senza di te che non riesco nemmeno a immaginarmi.”

"E poi ci sono creature come te, di una bellezza profonda come il mare aperto. Creature così meravigliose, eppure tanto restie ad ammetterlo guardandosi allo specchio. Al contrario, pronte a sminuirsi, vedersi come le caricature di se stesse, quasi un concentrato di difetti. Da cosa dipende? Perché chi è realmente bello spesso vive nella dolorosa certezza di non piacere a nessuno, mentre altri, dotati di percentuali di fascino infinitamente inferiori, se ne vanno in giro come fossero padroni del mondo?”

Nel descrivere la propria esistenza, il regista presenta le persone che ne hanno fatto parte, molte di queste schizzano fuori dalle sue pellicole. Sono quei personaggi che si riconoscono subito, così indimenticabili con le loro forti e fragili individualità, efficacemente caratterizzate ma mai parodiate.

“Vera è così. Una creatura che, fino all’ultimo, non ha rinunciato a produrre scompiglio con ogni mezzo, nella buona e nella cattiva sorte… una creatura capace di irrompere nelle vite altrui con l’energia di una dea guerriera”.

La purezza d'animo dell'autore e il talento della prosa, incastrandosi perfettamente, celebrano l'umanità,  nuda, libera di esprimersi senza il timore del giudizio. Nella scelta degli amici o di chi invitare al pranzo della domenica, l’unico criterio è una simpatia istintiva, l’empatia nel cogliere i dettagli e una naturale curiosità rivolta alla comprensione dell’universo altrui. Senza distinzione, egli accoglie, ospita, osserva. Con tratto deciso e tinte cangianti dipinge ritratti autentici, belli e imperfetti.

“Nel mondo che amo, ciascuno può essere semplicemente se stesso, con naturalezza e libertà, senza per questo sentirsi giudicato. Può vestirsi come gli pare, ballare come si sente, cantare a squarciagola nella notte, se ha voglia di far sapere a tutti che è felice. Può nutrire i suoi sogni, coltivare i desideri, seminare il proprio futuro di nuove speranze. Può chiamare il suo amore a voce alta, infischiandosene se a qualcuno potrà dare fastidio.”

“Diffido da chi procede per esclusione, di chi si fa guidare dai preconcetti. E’ come vivere in bianco e nero, rinunciando alle meravigliose sfumature che riscaldano l’esistenza.
Il rosso dell’amore possibile e il viola di quello perduto, il verde dell’amicizia che non morirà mai, il giallo della felicità assoluta. Ogni sentimento ha il suo colore. E quando le troppe emozioni ti confondono, basta chiudere gli occhi per riconoscerle.”

Il libro offre al lettore l’immagine nitida del luogo in cui i personaggi vivono, il condominio, il quartiere, la pescheria. Per quanto il ricordo delle scene dei film stimoli molto la fantasia, la scrittura giunge ancora più lontano. Così lontano che tra la suggestione della lettura e quella della visione, preferisco di gran lunga la prima. Io non ho solo immaginato la vicenda descritta, ma sento quasi di averne fatto parte.

Grazie maestro Ozpetek grazie

Voto: quasi 10

 


domenica, maggio 22, 2022

Mark Manson, La sottile arte di fare quello che ca**o ti pare.



Il titolo di questo libro pare alludere ad un astuto espediente di marketing. Ognuno di noi vorrebbe liberarsi da persone moleste, sgravarsi di faccende spiacevoli e raggiungere un’armonia quasi perfetta.

La genialità del testo invece è l’esatto opposto: il punto di partenza non è esterno ma interno. Come una sberla in faccia, l’autore esorta il lettore a smettere di lamentarsi, di ritenersi così speciale da meritare un compenso straordinario per il proprio impegno come se la felicità fosse “un’equazione algoritmica”.

Come reagirebbe l’essere umano in totale assenza di problemi da risolvere? Non gli mancherebbe forse qualcosa? Mark Manson interpreta il raggiungimento del benessere come la libertà di scegliere per quali cose “sbattersi”. Questo pensiero ha modificato in modo notevole il mio approccio: quando mi accadono eventi sgradevoli, mi chiedo se davvero meritino il mio rammarico e soprattutto quanto in fondo mi riguardino. In effetti ci sono individui che gravitano intorno alle nostre esistenze senza aggiungere qualcosa, spesso recando noia e gravità. Forse è arrivato il momento di smettere di offrire a costoro lo spazio e il tempo della nostra considerazione.

Per riuscire a raggiungere tale risultato è fondamentale definire una propria scala di valori, ragionare su quali principi ci identifichino al punto di lottare per loro. Io ho sempre considerato la presenza e l’attenzione delle virtù preziose. Tuttavia, se dall’altra parte queste qualità non vengono apprezzate, dare “assenza” a chi non ci apprezza diventa un’urgenza, un’intrepida missione atta a proteggere i nostri doni da chi, incapace di riconoscerli, ne farebbe pessimo uso. Mi vengono in mente tutte le volte in cui manca nelle relazioni una reciprocità e ci si sente inadeguati sulla base dei comportamenti altrui. Eppure, se lo permettiamo, la colpa di questo disagio è nostra, soltanto nostra.

Giustamente è pressoché impossibile piacere a tutti e andare d’accordo con ogni individuo che si incontra. Di conseguenza, anziché dolersene e dare la colpa al mondo, è saggio prendersi tutte le responsabilità nella consapevolezza di difendere un patrimonio astratto ma importante, anche accettando di incorrere nel biasimo di chi, non avendo altri strumenti, utilizza la calunnia e il piagnisteo per farsi giustizia. Assumersi l’onere delle proprie iniziative prelude certamente alla sofferenza e al sacrificio, nondimeno ci riporta a noi stessi, alla facoltà di preferire un problema anziché un altro. Qualunque sia la ragione per cui stiamo male, siamo noi ad averlo deciso.

Del libro ho inoltre gradito l'opinione per cui le emozioni sono sopravvalutate. Se ci si riflette, esse esprimono una condizione fugace e momentanea e non è detto che un sentimento che ci causa fastidio debba forzatamente danneggiarci, cosi come il suo contrario ci possa offrire un benessere di durata illimitata. Riflettere sulla propria condizione, chiedersi per quale motivo ci sentiamo in una maniera piuttosto che in un’altra è più ragionevole che seguire, a prescindere, pancia e cuore... meno romantico ma senz'altro più salutare.

Ci sono molti passaggi che mi hanno fatto sorridere, ricordare e supporre. Tra tutti questo è forse quello che preferisco per la schiettezza e la semplicità:

“La felicità richiede fatica. Cresce dai problemi. La gioia non spunta dalla terra come le margherite e gli arcobaleni”.

Adoro questa frase: stare bene significa cadere, sporcarsi, fallire, rialzarsi, imparare a stare nel proprio errore e nel proprio dolore, lottare per i propri principi, fare il meglio possibile senza rompere le palle, amare incondizionatamente e tenere sempre a mente che, come diceva Eleanor Roosvelt “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso.” 

Grazie Mark Manson Grazie

Voto: 9 e1/2







DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

  Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insiem...