martedì, febbraio 27, 2024

LESSICO FAMIGLIARE di Natalia Ginzburg

 


LESSICO FAMIGLIARE nasce dall’intenzione dell’autrice di realizzare un breve racconto con cui rappresentare il linguaggio e le memorie della propria famiglia. Lo spunto linguistico in realtà si spinge oltre le previsioni della scrittrice e diviene una lunga analisi, attenta e approfondita, di tutto il mondo che le ruota intorno: epoche, persone e personaggi, dinamiche sociali, culturali e politiche compongono un grande affresco storico, umano e psicologico.

La cronaca inizia proprio con l’infanzia di Natalia Ginzburg, la più piccola dei cinque figli della famiglia Levi, ebraica dalla parte paterna e cattolica da quella materna.  Il modo in cui parenti e amici sono descritti, li rende riconoscibili e consueti negli atti, nelle reazioni e nelle fissazioni. Fin da piccola, la narratrice li osserva cosi come li vede e come li vive di giorno in giorno, mostrandoli senza giudizio. Istintivamente li si comprende, poiché le loro azioni corrispondono alla loro natura. Il personaggio più impetuoso è certamente il padre Giuseppe. Uomo di grande cultura, professore universitario, scontroso, testardo, insopportabile e incorreggibile. Coltissimo, eppure incapace di cambiare il proprio punto di vista, prigioniero di se stesso e delle proprie convinzioni. Il lettore, già dopo poche pagine, lo compatisce poiché riconosce subito nella sua inadeguatezza l’impossibilità di progredire.

«Mio padre invece usava gettare sulle cose nuove, che non conosceva uno sguardo torvo, pieno di sospetto».

«-Cosa sono tutti quei fulignezzi? I fulignezzi erano, per mio padre, i segreti: e non tollerava veder la gente assorta a parlare, e non sapere cosa si dicevano».

Lidia, la madre, è una donna affettuosa, amorevole ma anche volubile e dall’animo mutevole, spesso un’anima in pena, che non sta bene veramente da nessuna parte.

«Come vorrei essere un re fanciullo, - diceva mia madre con un sospiro e un sorriso, perché le cose che più la seducevano al mondo erano la potenza e l’infanzia, ma le amava combinate insieme, così che la seconda mitigasse la prima con la sua grazia, e la prima arricchisse la seconda di autonomia e di prestigio».

Di questa figura ciò che più ho apprezzato è la naturale inclinazione a diventare cinque madri diverse, modellando ogni volta se stessa in base alle esigenze di ciascun figlio.

«Com’è carino, com’è simpatico Mario – diceva mia madre lisciando i capelli a Mario che s’era appena alzato, e aveva per il sonno, gli occhi piccoli, quasi invisibili … - Non trovi anche tu che il Mario è bello? - chiedeva a mio padre. – Io non lo trovo tanto bello. È più bello il Gino – rispondeva mio padre».

«Mia madre sentiva per me un senso di protezione che non sentiva per gli altri suoi figli, forse perché io ero, dei suoi figli, la minore … Inoltre le sembrava sempre che io fossi in pericolo, perché Leone di tanto in tanto lo arrestavano».

La storia dagli anni del fascismo fino al dopoguerra è coprotagonista di tutta la vicenda dei Levi. I tragici accadimenti di quell’epoca hanno immediate conseguenze nelle dinamiche della famiglia. Tanto che l’opera è una testimonianza davvero preziosa di quegli anni cruciali per il destino di tutti e degli ebrei in particolare.

«E poi mio padre … pensava di essere uno dei pochi antifascisti rimasti in Italia … Salvatorelli, i Carrara, l’ingegner Olivetti erano i pochi antifascisti rimasti, per mio padre, al mondo. Essi conservavano, con lui, ricordi del tempo di Turati, e di un falso costume di vita che sembrava fosse stato spazzato via dalla terra. Stare in compagnia di queste persone significava respirare un sorso d’aria pura».

Natalia sposa Leone Ginzburg, intellettuale, ebreo e antifascista.

«Leone dirigeva un giornale clandestino ed era sempre fuori casa. Lo arrestarono, venti giorni dopo il nostro arrivo, e non lo rividi mai più».

Dell’intero romanzo mi impressione il punto di osservazione da cronista. La scrittrice riesce sempre a rimanere oggettiva, i fatti sono i fatti così come si sono svolti. Il dolore si immagina, si interpreta ma non lo si descrive. Inevitabilmente davanti al lettore scorrono i fotogrammi degli avvenimenti ma l’identificazione con le emozioni dei protagonisti richiede uno sforzo ulteriore.

Di Lessico Famigliare l’aspetto più interessante per me resta ciò che il titolo contiene: quel linguaggio particolare ed esclusivo che le famiglie usano per comunicare nella quotidianità e che, in parte, sostituisce ed integra l'idioma ufficiale. Per tacito accordo tutti i membri del focolare domestico, ricorrendo a delle parole che solo loro possono riconoscere, consolidano il senso di appartenenza al proprio gruppo.

«Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in cinque città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire (…) De cose spussa l’acido solfidrico per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti… Una di quelle frasi ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone».

Alcune espressioni come non fate malegrazie, non fate sbrodeghezzi, cosa sono tutti quei fulignezzi … evocano probabilmente in ogni famiglia un analogo repertorio. Allora mi soffermo sul mio lessico famigliare, costruito attraverso episodi buffi, presi in prestito dall’infanzia, reso ancora più strano dal miscuglio dei dialetti e delle lingue che hanno attraversato la mia vita. Mia zia che diceva di mangiare l’insalata che sgrümasa (e sgrümaserà per sempre), mia figlia che ci chiedeva cosa facete? o si complimentava dicendo brava idea! Per non parlare dell’isola di Gallinara in Liguria ribattezzata isola della gallina. Insomma tutti abbiamo contribuito alla costruzione di un gergo magico e poetico, straordinariamente efficace. Comunque vadano le cose e per quanto possano essere complicate le relazioni, laddove esiste un lessico famigliare, esiste una famiglia.

 

 

 

 

 

 


giovedì, febbraio 08, 2024

SOLARIS di STANISLAW LEM


Nonostante il genere della fantascienza sia lontanissimo dai miei interessi, credo che sia bene, di tanto in tanto, esplorare zone sconosciute per vedere altro e fare esercizio di pensiero trasversale: in effetti, il libro di Stanislaw Lem ha numerosi aspetti su cui vale la pena soffermarsi.

Solaris è un pianeta in cui l’unica forma di vita è un oceano gelatinoso e pensante. Lo psicologo Chris Kelvin, che vi si reca in missione, riscontra immediatamente una serie di stranezze: morti sospette, visioni strambe e misteriose. Gli scienziati lì residenti sono molto turbati e confusi.  L’intera vicenda della stazione spaziale ruota intorno al moto di un mare intelligente, un marasma in grado di scansionare la memoria degli studiosi durante il sonno, carpendone desideri ed intimi pensieri, al fine di creare delle repliche, altri ospiti che altro non sono che le proiezioni dei loro ricordi. Nel caso di Chris, sconvolgente è l’incontro con la moglie (o la sua copia), morta suicida dieci anni prima della missione.

Nonostante le tante pagine difficili da comprendere, per chi, come nel mio caso, non abbia delle solide basi scientifiche, il libro è davvero straordinario per la sua modernità. Basti immaginare che, benché Solaris sia stato pubblicato per la prima volta nel 1961, i personaggi comunicano tra loro all’interno della base spaziale attraverso una primordiale chat di gruppo.

L’attenzione del lettore si rivolge sia al sapere scientifico che alla psicologia, e mi chiedo quale tra le due discipline sia più ostica da esplorare. Gli ambiti che indagano mondo esterno e natura osservano delle leggi meccaniche, nelle quali il ripetersi di certi fenomeni di solito dà luogo a delle regole, pur con tutte le possibili eccezioni. Quando invece si percorre il campo delle scienze umane e delle psiche non è forse ogni singolo uomo l’eccezione per antonomasia? Ciascun individuo costituisce una singola ed irripetibile materia di studio, con dinamiche proprie e tuttavia non sempre comprensibili.

“L’uomo era andato incontro ad altri mondi ed altre civiltà senza conoscere fino in fondo i propri anfratti, i propri vicoli ciechi, le proprie voragini e le proprie porte sbarrate”.

Già nel 1961 l’autore mette in luce l’arroganza e l’egoismo della nostra specie, ne denuncia tutta l’ipocrisia, quando nel proclamare i più nobili obiettivi, in realtà questa persegua unicamente l’espansione del proprio ego. Davvero l’uomo è alla ricerca del progresso attraverso il confronto, o è più facilmente teso ad affermare la sua potenza mediante l’annichilimento di tutto ciò che lo ostacola o lo mette in discussione?

“In realtà quello che vogliamo non è conquistare il cosmo ma estendere la terra fino alle sue frontiere…siamo nobili e umanitari, non vogliamo asservire le altre razze ma solo trasmettere loro i nostri valori e, in cambio, impadronirci del loro patrimonio. Ci consideriamo i cavalieri del Santo Contatto e questa è la menzogna numero due: la verità è che cerchiamo soltanto la gente. Non abbiamo bisogno di altri mondi ma di specchi…Il fatto è che non arriviamo dalla terra come campioni di virtù o come monumenti dell’eroismo umano: ci portiamo dietro esattamente quello che siamo e quando l’altra parte ci svela la nostra verità ­­– il lato che teniamo nascosto – non riusciamo ad accettarla!”.

Da questa lettura ho capito che anche se un testo non mi appassiona o mi costa fatica nel leggerlo, non è detto che non abbia qualcosa di importante da trasmettere. Per tutto il tempo mi chiedevo:«ma qual è il messaggio? Perché qualcuno mi ha assegnato questo compito? Cosa devo imparare?». Trattandosi di un libro di fantascienza ognuno può trarre le più originali conclusioni. La mia è che noi terrestri, in generale, tendiamo istintivamente a proiettare sugli altri una personalissima visione dell’esistenza e nel farlo interagiamo con il prossimo più come se fosse uno specchio che un essere separato e indipendente dai nostri ragionamenti: proiettiamo aspettative, desideri, il nostro concetto di giusto o sbagliato. A Chris viene restituita la replica della moglie Harey, non la compagna come è veramente ma quello che l’oceano ha scoperto nel subconscio del protagonista, come lui la vede, la vuole e la sente. Queste presenze alla fine sono dei simulacri, che non riportano in vita se stesse ma l’immagine che gli umani avevano di loro. Il messaggio forte e chiaro è quello di sforzarsi di guardare gli altri per come sono veramente e non per come noi ci ostiniamo a vederli. Del resto, per quanto sia complicato mettersi da parte, è decisamente più gratificante essere circondati da anime vive, vere, pensanti e dissenzienti piuttosto che da pura apparenza.

Ora, detto questo, le persone che ci stanno sulle palle (perdonate il francesismo) possono continuare a stare lì dove si trovano ma… si può fare il piccolo esercizio di ricordare che costoro sentono, vivono e pensano a proprio modo e piacimento, a prescindere da noi e, probabilmente, quei loro gesti fastidiosi avvengono nostro malgrado e non a causa di uno studiato piano persecutore. Proviamo a convincerci che, per fortuna, noi non siamo così importanti per loro. Siamo solo e per fortuna diversi da loro.



 

 

 

 

 

 

 

giovedì, gennaio 18, 2024

MATTATOIO N. 5 di KURT VONNEGUT

 

Si tratta di un romanzo di fantascienza del 1966. E la prima volta che leggo un libro di questo genere e, se non mi fosse stato assegnato come compito, mai lo avrei scelto. Ammetto con sorpresa che ne è valsa davvero la pena.

Attraverso il personaggio di Billy Pilgrim, l’autore descrive la distruzione di Dresda e  mette in evidenza con straordinaria originalità la barbarie della guerra: lo fa mescolando il reale al surreale, fino a confondere il lettore. Il protagonista viaggia in una dimensione spaziotemporale e cambia continuamente contesto: lo scenario bellico della seconda guerra mondiale si alterna all’America degli anni sessanta come pure ad una prigionia presso gli alieni di indefinibile durata.

Billy sembra non avere il minimo controllo sulle cose che gli accadono, tanto che le vive come se venisse trasportato all’interno di un inarrestabile flusso: galleggiando in direzione della corrente, egli si abbandona al perpetuo caos dell'universo. Qualsiasi evento gli si scagli contro, lui osserva, va avanti e, lasciando andare ogni giudizio, cerca di sopravvivere. Il suo fascino principale è proprio saper stare nel momento con l’ingenuità e l’innocenza di un bambino. Di conseguenza, che sia il racconto della reclusione dell’autore nelle mani dei tedeschi, quello della sua professione di ottico o che si tratti della narrazione del rapimento sul pianeta di Tralfamadore, ciascun istante è vissuto in un presente eterno e dilatato.

Talvolta Pilgrim ha bisogno di versare qualche lacrima per consentire alle emozioni di uscire ma non si lamenta e non si piange mai addosso.

Ciò su cui la storia fa riflettere sono i temi dell’accettazione e della scelta. Gli esseri umani istintivamente cercano di avere il controllo sull’esistenza, fanno fatica ad accogliere eventi non scelti e indipendenti dalla loro volontà. Al contrario Billy, invece di opporre resistenza e sacrificare preziose risorse, ripete come un mantra la frase “cosi è la vita”. Nonostante le conseguenze più agghiaccianti del conflitto siano senza sosta sotto il suo sguardo e benché lutti e dolore ripetutamente lo colpiscano, l'approccio dell'autore rivela una luce di fondo, la fiducia che la morte sia un passaggio veloce al quale seguirà non tanto un nuovo inizio ma piuttosto un proseguimento. In sostanza, si muore per continuare a vivere. 

“Se è vero quello che Billy Pilgrim ha imparato dai tralfamadoriani , e cioè che tutti noi vivremo in eterno, indipendentemente dal fatto che ogni tanto possiamo sembrare morti, non ne sono poi così felice. Comunque, se devo passare l’eternità visitando ora questo e ora quel momento, sono grato che tanti di questi momenti siano belli”.

Il protagonista è strano, strano ma bello. La sua attitudine è una sfida, poiché istintivamente i più si illudono di controllare non solo la propria vita ma anche lo spazio e il tempo. In realtà l’unica certezza che possiamo avere è quella di essere parte di un grande mistero, all’interno del quale è sensato fare bene, coscienti che le cose semplicemente accadono e le persone semplicemente sono.

“Sulla parete del suo ufficio Billy aveva una preghiera incorniciata che esprimeva il suo metodo per tirare avanti …

DIO MI CONCEDA LA SERENITÂ DI ACCETTARE LE COSE CHE NON POSSO CAMBIARE, I CORAGGIO DI CAMBIARE QUELLE CHE POSSO E LA SAGGEZZA DI COMPRENDERE SEMPRE LA DIFFERENZA”.

 

lunedì, gennaio 15, 2024

I RICORDI NON FANNO RUMORE (VOL. 1,2,3) di CARMEN LATERZA

 


L’opera consta di tre avvincenti volumi: il primo copre l’arco cronologico dal 1939 al 1948, il secondo quello dal ’52 al ’65 e l’ultimo va dal ’65 al ’78.

Nonostante la narrazione sia attraversata da numerosi personaggi, i principali interpreti delle vicende sono Bianca, i fatti e il modo in cui il destino si compie nella sua vita di bambina e di donna. La lettura è coinvolgente, il pregio è quello di collocare magistralmente gli esseri umani nelle diverse epoche e di mostracele senza nemmeno il bisogno di chiudere gli occhi. Senza chiudere gli occhi lo spettatore partecipa delle leggi razziali nella loro fase più ipocrita e silenziosa, assiste sbalordito alla fuga dei civili dalle città, alla lotta per la sopravvivenza nelle campagne, il suo sguardo cerca riparo tra i muri sventrati dai bombardamenti.

«Ida e Giovanna restarono mute. Udirono il rumore lontano di un aereo che fece risalire come un conato la paura sorda, appiccicata addosso come un ricordo ancestrale; La paura del momento in cui tutto quel barcamenarsi in una pretesa di normalità si sbriciolava sotto le bombe di una guerra vera, e svelava, sotto le macerie delle case e degli affetti, la carnalità dell’istinto animale di sopravvivenza»

Una mano invisibile esce dalle pagine e trascina il lettore all’interno delle vicende.

Si tratta di trentanove anni in cui tutto accade e tutto si trasforma: diritto, società, etica, libertà e lavoro, ogni cosa evolve attraverso passaggi che impongono sacrifici individuali e collettivi. Tra i numerosi temi di cui si potrebbe parlare, quello dell’emancipazione femminile è la luce del racconto: la storia la fanno le donne del romanzo e non gli uomini. Questi ultimi semmai partecipano con i loro difetti e le loro virtù. Quasi nessuna delle figure femminili può dirsi sbagliata, poiché ognuna contribuisce alla crescita di una comune coscienza. Persino un personaggio limitato e sottomesso come la zia Augusta consente a Bianca di scegliere fin da piccola chi o cosa non essere da grande. Allo stesso modo, la signora Elvira, che le insegna a ricamare, è la prima, tra le donne incontrate dalla giovane, a ribellarsi alla mentalità patriarcale, che sistematicamente sottometteva le femmine nel contesto famigliare e le relegava ai margini della vita sociale.

«Hai le idee chiare, piccola Bianca» le diceva Elvira senza condiscendenza. «Ma quando metti il tuo destino nelle mani di un’altra persona, non sei più libera. Forse puoi sentirti al sicuro, ma come le bestie nella stalla, che hanno sempre un padrone che chiude il cancello la sera e lo riapre la mattina».

«Allora» disse infine Bianca «diventerò una principessa anche senza un principe».

Bianca prende il meglio e lo fa suo, si nutre del tanto o del poco che la vita le offre e ne fa tesoro, mettendo ogni lezione in quel bagaglio che sarà la chiave del suo successo di donna.

La vicenda mi lascia senza parole quando, nel secondo libro, scopro che la protagonista e lo sposo emigrano in Svizzera, proprio qui a Sangallo, la località in cui io stessa risiedo da oltre sedici anni. L’autrice restituisce molto bene le immagini dei luoghi, della società e le difficoltà degli italiani che si trasferivano all’estero per svolgere lavori di fatica, guardati con cipiglio dalla gente del posto. Ogni tanto io quello sguardo lo riconosco ancora. Dappertutto, in ogni Paese, c’è un «noi» di cui io, tu, lei, lui, voi, loro non fanno parte sulla base di un confronto che verte esclusivamente sulla provenienza.

«Bisogna ignorarle, quelle signore là, e i loro commenti stupidi. Quelle là si farebbero ammazzare piuttosto che vedere i figli diventare operai. E ci guardano dall’alto in basso se siamo vestiti da lavoro e ancora peggio quando siamo vestiti da festa. Ma quando salgono in treno si riempiono la bocca dei prodigi della tecnica svizzera e fanno finta di non sapere chi li fa, veramente, quei prodigi. Siamo noi a farli, mica loro! Noi, che non abbiamo paura di bagnarci la camicia. Noi, che viviamo in baracche luride per spendere il meno possibile e mandare i soldi a casa. Noi, che ci spacchiamo la schiena ma non molliamo per non perdere il contratto».

Nonostante la presenza di una madre amorevole, Bianca fa esperienza fin da piccola dell’abbandono, della separazione, della perdita improvvisa e ingiustificata dei suoi punti di riferimento. Effettivamente, il romanzo è perfetto nel descrivere l’imperfezione della vita reale con i colpi di scena che il destino ha in serbo per noi. Bianca riconosce il bene e lo persegue, pur mantenendo sempre alta la guardia. I rapporti affettuosi con le persone care danno luogo ad una parentela dell’anima in cui l’amicizia si trasforma nella migliore delle famiglie.

L’intera vicissitudine di Bianca insegna, al di là dell’imprevedibilità dell’esistenza e delle brutture dei tempi, a dare il proprio meglio qualsiasi cosa accada e, se necessario, a ricominciare tutto da capo, perché in fondo non si riparte mai veramente da zero.

«Ogni passo porta al successivo. Si può solo andare avanti. Né i rimpianti né l’invidia per la fortuna altrui ci daranno una seconda opportunità».


 GRAZIE CARMEN LATERZA GRAZIE


domenica, gennaio 07, 2024

THANKS especially to the USA



Sebbene io non possa sapere chi legge il mio blog, posso tuttavia essere al corrente della nazione da/in cui le visualizzazioni hanno luogo. Nella convinzione di essere piuttosto scarsa ad autopromuovermi, credevo che il mio fosse il blog meno letto al mondo. Un esempio: anche a distanza di mesi dalla pubblicazione, qualche testo ha raggiunto il record di 5 visualizzazioni. Persino dopo l’apertura di un profilo Instagram, la situazione è rimasta assolutamente immutata. Pur continuando a scrivere per un personale bisogno di comunicare, ammetto che la redazione dei post senza una condivisione renderebbe l’esperienza piuttosto insapore. Tuttavia, ho raggiunto la consapevolezza che, postata una recensione, fosse sufficiente lasciarla andare al proprio destino. Benché la situazione nel tempo sia pigramente migliorata, negli ultimi tre mesi è avvenuto un piccolo miracolo, che nutre il mio lavoro di fiducia e reciprocità. Ora, io non so come, né perché ma ilviaggioseitu sta ricevendo dagli Stati Uniti tantissime visite, non solo veloci passaggi ma proprio l’apertura e spero anche la lettura dei vari articoli.

Chiunque voi siate o chiunque tu sia, io ti ringrazio con tutto il cuore per l’attenzione e per il tempo, che davvero mi incoraggiano a continuare questo progetto. Non capisco per quale motivo, il post in assoluto più cliccato sia la recensione al libro di Lorenzo Marone “La tristezza ha il sonno leggero”, che non è certamente la cosa più bella che abbia pubblicato finora.

Comunque, a prescindere da ciò che più suscita la vostra curiosità, a voi navigatori degli USA e di qualunque altro paese GRAZIE LETTORI GRAZIE!

 🧡🙏💖

Although I cannot know who reads my blog, I can still be aware of the country from the views take place. In the belief that I am rather poor at self-promoting, I believed that mine was the least read blog in the world. An example: even months after publication, some texts have reached the record of 5 views. Even after opening an Instagram profile, the situation has remained absolutely unchanged. While I continue to write out of a personal need to communicate, I admit that writing posts without a share would make the experience rather dull. However, I decided that, having posted a review, it was enough to let it go to its fate. Although the situation has lazily improved over time, a small miracle has happened in the last three months, nourishing my work with trust and reciprocity. Now, I don't know how, or why, but ilviaggioseitu is receiving so many visits from the USA, not just quick views but really opening and I hope also reading the various articles.

Whoever you are, I thank you WHOLEHEARTEDLY for your attention and time, which really encourage me to continue this project. I do not understand why, the absolute most clicked post is my review of Lorenzo Marone's book 'La tristezza ha il sonno leggero', which is certainly not the best thing I have written.

Anyway, regardless of what arouses your curiosity the most, to you surfers in the USA and elsewhere THANK YOU!

Rossana

« AN ATTITUDE OF GRATITUDE INCREASES YOUR ALTITUDE » 

K. Steadman





lunedì, dicembre 11, 2023

L’ULTIMA SPIAGGIA di Carmen Laterza

 


Ritorno al mio blog dopo una lunga pausa.

Ognuno dei testi che ho letto in questi mesi avrebbe meritato una riflessione post lettura, un commento per elaborarne alcuni passaggi significativi, eppure solo adesso sento nuovamente l‘urgenza di condividere un titolo. La causa sbloccante è senz’altro il libro di Carmen Laterza, straordinario e coinvolgente.

Trattandosi di un romanzo storico, i protagonisti, oltre ad Alvise e Zeno, due amici alle soglie dell’adolescenza, sono i luoghi, l’epoca, le famiglie, la società, la pericolosa instabilità di alcune regioni all’indomani della seconda guerra mondiale e un evento tragico, realmente accaduto e scandalosamente sconosciuto ai più.

Quello che rende il racconto avvincente è innanzi tutto la capacità dell’autrice di riportare in vita il passato e di farlo attraverso dei personaggi delineati così bene, da renderli famigliari, tangibili, riconoscibili per il loro modo di agire e pensare. Nel caso di Alvise e Zeno si tratta di figure caratterialmente e socialmente diverse, nondimeno profondamente affini.

Dello scenario dal quale i due ragazzi provengono si percepisce la dignitosa semplicità degli umili e la ricercata compostezza della classe media. Le persone hanno la bellezza di mostrarsi per quello che sono, certamente per via del loro ambiente ma anche a prescindere da questo.

 «Ottavia aprì le imposte ad una ad una lasciando entrare in casa la luce dorata e l’aria tiepida del tardo pomeriggio. Si fermò sul terrazzo del soggiorno, ispezionò le fioriere, sfiorando con le dita i petali rossi dei gerani, guardò in strada, lungo la penombra polverosa dei portici e poi giù fino alla piazzetta».

«…a Rita sembrava che la casa mancasse di decoro e non faceva che pulire tutti i giorni ogni stanza con cura maniacale. Solo i mobili della camera matrimoniale, che Sebastiano aveva costruito appena aperta la bottega, erano per lei una quotidiana fonte di orgoglio».

I bambini sono uguali a quelli di ogni altro tempo: istintivi, spontanei, sempre all’inseguimento di qualche avventura, in una competizione che già mette in luce l’intraprendenza degli uni e la ritrosia degli altri. L’infanzia di questi giovani del 1946 non era diversa dalla mia negli anni settanta. Facevamo le stesse cose, con la differenza che nel periodo della narrazione l’essere figlio di un medico piuttosto che di un falegname preludeva a un diverso destino, un futuro più o meno già scritto alla nascita.

«E in quel futuro importante, che partiva dalle scuole medie e arrivava all’esempio autorevole del padre, per Alvise non c’era posto e, peggio ancora, Alvise un posto, là dentro nemmeno lo voleva … Zeno, però, non se la prendeva perché loro erano amici e stavano dalla stessa parte».

Al di là del valore del romanzo da un punto di vista letterario, ne raccomando la lettura anche per la necessità di conoscere meglio il periodo storico e le vicende a cui si riferisce. Prendere coscienza di una ferita collettiva, sapere che qualcosa di doloroso e irrisolvibile è successo, documentarsi, interessarsi e soprattutto sentire, provare delle emozioni ha il pregio di alimentare una preziosa energia che, portando alla memoria fatti e persone, permette alle vittime di rivivere nei pensieri di coloro che ancora oggi ne coltivano il ricordo. 

La vicenda degli italiani di Pola e di Istria, la maniera in cui la regione venne divisa, la difficile convivenza con i "titini" ed il triste epilogo dell’esodo spostano la mia personale riflessione sull’incapacità umana di risolvere i conflitti e mettere le giuste priorità. 

Possibile che non ci sia un modo per far coabitare all'interno di un territorio conteso due diverse etnie con gli stessi diritti e gli stessi doveri? Uno spazio abbastanza largo e lungo, in cui ciascuno abbia la piena libertà di essere e vivere senza discriminazioni, nel rispetto di tutti e sulla base di una assoluta e universalmente riconosciuta uguaglianza?

«Il ragazzo si prese la testa tra le mani e cominciò a scuoterla piano, mentre chiudeva forte gli occhi. Sebastiano gli appoggiò una mano sulla spalla per consolarlo, perché sapeva che si era innamorato di una ragazza jugoslava e solo una settimana prima batteva i pugni sul tavolo del Circolo, affermando che i buoni e i cattivi c'erano da entrambe le parti e sparare nel gruppo non serviva a nessuno ».

 

Grazie CarmenLaterza Grazie

 

“Ricordare è oggi un gesto di educazione, una sfida personale alla dittatura del
 presente che ci fa tutti informati e distratti, condannati a oblio repentino.”

Marco Paolini

 

 

 


martedì, giugno 27, 2023

KINTSUGI DI SELENE CALLONI WILLIAMS

 


Il Kintsugi è una tecnica giapponese che ripara le crepe della ceramica con una lacca dorata. Dal Paese del Sol Levante la conoscenza di questa pratica si sta diffondendo anche in Europa e sovente se ne sente parlare. Del metodo mi attrae non solo il fatto di aggiustare qualcosa che è rotto, bensì la possibilità di conservare il vecchio, rendendolo nuovo e accrescendone il valore.

Proprio mentre mi domandavo in quali situazioni si possa ricorrere a tale procedura, sono incappata nel libro “Kinstugi. Ripara le ferite dell’anima e rendi prezioso ogni istante della tua vita”. Per riuscire a rimettere insieme i nostri frammenti staccati o riempire i buchi lasciati dalle fratture, inevitabilmente bisogna affrontare qualche battaglia.

L’autrice mi sorprende favorevolmente, perché tocca i temi che più mi interessano e ai quali già con precedenti letture avevo prestato attenzione: in particolare, la prima di tutte le sfide, imparare a stare in pena, quando arriva il disagio, sopportarlo senza scappare né lamentarsi.

“Qualsiasi dolore, fisico o psicologico, non ha lo scopo di farci soffrire ma di scuotere l’anima dal suo torpore e di chiamarci a un viaggio iniziatico … lo sa chi, in seguito alla perdita di un lavoro, a un fallimento o a un matrimonio sbagliato, ha compiuto il grande viaggio … e ha trovato in sé la forza e la resilienza che lo hanno riportato alla vita con una libertà tutta nuova”.

Accogliere una grande sofferenza, capace di affliggerci e fagocitarci in un angoscioso abisso, significa dare rifugio a una parte di noi, un io belligerante, che oppone la più cieca resistenza e che, usando il dolore come unico strumento per farsi ascoltare, rumorosamente protesta. In suo e nostro soccorso, il testo propone diverse meditazioni. La mia preferita è quella del torrente impetuoso, che prevede, dopo aver individuato il punto in cui sentiamo maggiore tormento, di visualizzare la ferita rimarginata attraverso l’energico scorrere di un flusso dorato.

In una società ipertecnologica, che aspira insistentemente ad una perfezione che non ci corrisponde, facilmente avvertiamo frustrazione e il senso di essere difettosi, mancanti, incompleti.

“Siamo stati progettati per romperci innumerevoli volte, perché è proprio da queste rotture che procede la nostra spinta a evolvere, a trovare soluzioni, a pensare a ciò che fino a quel momento non era ancora stato pensato”.

Del resto, ogni cosa che si ripara è per eccellenza imperfetta. Mi tornano alla mente alcuni rammendi che faceva mia nonna, come ero felice quando mi rattoppava la biancheria e quanto ero orgogliosa di quelle grosse cuciture su lenzuola e tovaglie.

La riparazione implica un passaggio da uno stato ad un altro, pur nella conservazione della propria identità. Per accedere al cambiamento e possibilmente alla crescita non penso si debba sistemare per forza ogni aspetto dell'esistenza o della persona. Ci sono vuoti che non si possono riempire e parti storte che non si possono raddrizzare. Nell’elogio dell’imperfezione allora mi permetto di aggiungere anche la libertà di non dover obbligatoriamente sistemare tutto.

Se pensiamo ai traumi, ai lutti, ai dispiaceri, alla maniera in cui la vita ci mette alla prova, ognuno di noi è un vaso ricomposto. Il numero dei pezzi in cui ci possiamo frantumare dipende dalle singole sensibilità, da quanto siamo scalfibili: tutti siamo frangibili in qualche posto e, alla fine, la differenza tra un individuo e l’altro sta nella quantità dei cocci, nella profondità delle crepe. Riunire i brandelli o riempire le fessure con l’oro significa diventare arte, dare somma dignità alle proprie cicatrici, esibirle con lo stesso orgoglio con cui si mostrerebbe un gioiello prezioso… Significa uscire a testa alta per strada e dire al mondo: Eccomi. Sono io, sono vecchio e sono nuovo, sono un puzzle ricomposto... nondimeno sono intero. Il cuore è integro, l’anima è sanata ... Io sono un autentico Kintsugi!

“Il tuo cuore fragile diventerà il tuo più grande spirito guardiano” mi disse Oda “ti proteggerà per sempre”.


 NOTA: Nella fotografia in alto, accanto al libro un portacenere acquistato 25 anni fa, durante il viaggio di nozze... posacenere compagno di numerosi traslochi, caduto, rotto e incollato...proprio come il matrimonio che rappresenta.


Targa realizzata da mia madre Ginetta Garutti 
con il Kintsugi 


" Se davvero la sofferenza impartisse lezioni, il mondo sarebbe popolato da soli saggi. E invece il dolore non ha nulla da insegnare a chi non trova il coraggio e la forza di starlo ad ascoltare"
Sigmund Freud


mercoledì, maggio 24, 2023

UN RAGAZZO NORMALE, di Lorenzo Marone

 


Il protagonista del romanzo è Mimì, un dodicenne dotato di notevole sensibilità, capace di guardare alle cose dall’interno e di cogliere anche i più piccoli e impercettibili dettagli. Il segreto della sua eccezionalità è forse quello di essere riuscito fin da piccolo a compensare dei limiti esterni, reali e oggettivi con un mondo interiore luminoso ed esteso. Proveniente da una famiglia umile, nella Napoli degli anni Ottanta, il ragazzo trova nella propria immaginazione lo spazio che gli manca:

“A ogni modo, questa è stata la mia infanzia, la mia vita da adolescente: uno stare tutti insieme, il respiro di uno sulla guancia dell’altro, senza alcuna possibilità di avere un momento e un luogo che fossero davvero miei. Fu proprio quella situazione di eterna condivisione a spingermi a isolarmi, a farmi rifugiare in un mondo solo mio che viveva di vita propria, e in quel mondo, in quei frangenti, imparai a non avvertire più il russare di papà, a non sentire le telenovele della nonna, i dibattiti politici del nonno o il ruminare rumoroso con il quale Bea masticava il suo chewingum.

Il giorno che pensai di diventare un supereroe, non sapevo che, in realtà, io supereroe già lo ero”.

 

Delicato e fragile, bravo nello studio e incontenibilmente curioso nei confronti di ogni singolo aspetto dell’esistenza, Mimì rivela anche una forza così straordinaria che, allo sguardo del lettore, supereroe lo diventa sul serio. Nonostante i coetanei lo considerino uno “sfigato”, lui non si omologa e va avanti per la propria strada, senza stancarsi di ascoltare istinto e cuore. Sceglie come amici Matthias, un senzatetto scappato dalla Germania orientale, e Giancarlo Siani, un giovane giornalista, coraggioso al punto di scrivere contro la camorra e così firmare la propria condanna a morte. Il protagonista sceglie di essere se stesso anche quando si innamora di Viola, una ragazza molto bella e corteggiata, figlia di una coppia benestante residente nello stesso stabile in cui suo padre fa il portinaio. Nonostante la famiglia e gli amichetti del quartiere si sforzino di dissuaderlo e cerchino di levargli anche la più piccola illusione, lui si mostra senza paura per il fanciullo che è, senza maschere né atteggiamenti spocchiosi.

“Sai come sono nate le fate? Chiesi d’improvviso a Viola … Lei si girò a guardarmi con occhi curiosi… Quando il primo bimbo rise per la prima volta, la sua risata si sbriciolò in migliaia di frammenti che si sparpagliarono qua e là. Fu così che nacquero le fate”.

 

La sua aspirazione è quella di poter svolgere un giorno una missione che abbia un senso, che lo faccia sentire libero e nel giusto, proprio come il suo idolo Giancarlo.

“Sentirsi invincibili non è una buona cosa, perché ti porta a commettere degli errori, a sottovalutare i segnali, a non accorgerti della precarietà delle cose. Ciò che ci rende umani e per questo speciali, caro Mimì, sono proprio le nostre debolezze, i difetti se vuoi chiamarli così”.

 

La bellezza di questo racconto è quella di riportarci alla nostra autenticità, di renderci consapevoli che la prima sfida, prima ancora dei risultati scolastici, professionali o sociali, sta nell’essere fedeli a noi stessi, perché solo chi veramente lo è, alla fine trionfa. Diversamente, vincerebbe il ruolo che stiamo interpretando. Mimì ci insegna a buttarci nelle imprese che ci attraggono, a fare spallucce quando gli altri ci giudicano o ci deridono.

“Poiché alla fine di quella terribile e magnifica estate capii che gli unici superpoteri a disposizione di noi poveri umani sono i rapporti che riusciamo a costruirci, gli amori, le amicizie, gli affetti. Sono la qualità di queste relazioni a fare la differenza fra chi è super e chi, forse, lo è un po’ meno”.

 

Come sempre mi accade con i libri di Lorenzo Marone resto piena di ammirazione e meraviglia, per la vicenda narrata, per il modo e soprattutto per quell’analisi che vola alta sulle cose del mondo e risponde a questioni mai veramente formulate, eppure presenti chissà dove e chissà da quando.

Grazie Lorenzo Marone Grazie

A chi fosse interessato a conoscere la breve biografia di Giancarlo Siani, giro questo link

Biografia - Fondazione Giancarlo Siani

 

I see your true colors Shining through (true colors) I see your true colors And that's why I love you So don't be afraid to let them show Your true colors True colors are beautiful
Like a rainbow


True Colors

Billy Steinberg e Tom Kelly


martedì, aprile 25, 2023

URRÀ PER LE MIE AMICHE

 


Spesso si frequentano delle persone che sembrano destinate a restare con noi a lungo. Eppure, capita che le incompatibilità non oltrepassino i primi ostacoli e che quegli occasionali compagni di viaggio spariscano. Ogni volta che inizio a coltivare un nuovo rapporto mi chiedo chissà cosa diventeremo un giorno… chissà dove saremo tra un anno… Non riesco neppure a quantificare il numero di individui che hanno attraversato la mia esistenza lasciando debolissime tracce. Come se il tempo fosse una stazione ferroviaria, ho visto volti arrivare e partire, sorrisi aperti e manine sventolate da lontano.

Le stagioni e i giorni ci impongono continui adattamenti e trasformazioni, quello che una volta ci corrispondeva, smette di rappresentarci. Pensiamo di non riconoscere più l’altro, in realtà siamo noi che ci troviamo già altrove, con un nuovo sentire e nuove visioni. Per questo, tante amicizie compiono straordinari cicli, si perdono ma se sono autentiche si ritrovano. Se finiscono, è possibile che quegli esseri umani abbiano terminato il loro compito con noi. Comunque siano andate le cose, possiamo farcene una ragione, comprendendo il senso di quell’incontro, imparando a scegliere a chi accostarci e da cosa dissociarci.

Nel perpetuo caos della vita io sono stata molto fortunata, perché ho avuto il privilegio di condividerla con delle donne eccezionali, che considero sorelle: sono stata ascoltata e accettata nelle mie fragilità con infinita pazienza. Le mie amiche hanno colmato in parecchie occasioni vuoti e mancanze, si sono prese cura non solo di me ma del mio intero mondo, integrandoci nel loro.

Tra queste anime belle c’è chi mi restituisce l’orizzonte ogni volta che lo perdo e contribuisce con una tale determinazione al mio successo, che se vinco, vinciamo in due e se perdo … non perdo. E ancora chi, nei momenti difficili, mette in luce le mie qualità, ricordandomi tutte le volte che sembrava impossibile e invece ce l’ho fatta …

Penso alla bellezza di stare insieme, al modo di parlare, di gesticolare, a quella speciale energia che unisce le persone che si vogliono bene, fino a farle rassomigliare benché non siano parenti. Anche se restassero anni senza vedersi, si ritroverebbero in una fraterna bolla, si guarderebbero con gli stessi occhi e riderebbero nello stesso modo.

Che tu sia nella mia vita da 38 anni, da 31, da 28 o da 5

Io ti ringrazio di esserci e naturalmente ti invito a rimanerci.

Rossana



sabato, marzo 25, 2023

TUTTO CHIEDE SALVEZZA di DANIELE MENCARELLI

 

É la prima volta che passo da un film al libro, anzi in questo caso dalla serie Netflix. In entrambi i casi, emozionandomi e ragionando, ho acquisito nuove intuizioni.

La versione cinematografica del testo di Daniele Mencarelli mi ha talmente coinvolta, che, già sui titoli di coda, ne ho sentito la mancanza. Così, alla prima occasione, ho comprato il romanzo. Questa lettura non solo ha integrato le immagini della pellicola, ma ha aggiunto commozione e riflessioni. Il libro è in alcuni aspetti diverso dal film, tuttavia le modifiche della serie non disturbano lo scritto. 

Non essendomi mai facilmente omologata e tantomeno sentita “normale”, da sempre quello della pazzia è un tema che rapisce la mia attenzione. Se ognuno di noi andasse a fondo e si aprisse senza pregiudizio anche a quelli più lontani dai propri schemi, quanti punti in comune troverebbe? Possibile che lo si possa scoprire soltanto naufragando su un’isola deserta? O nel corso di un forzato esilio? Questo è un po’ quanto accade a Daniele, nella settimana di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO). Tutti i compagni di stanza del reparto di psichiatria hanno qualcosa di straordinario, anche quelli più irraggiungibili e apparentemente assenti come Alessandro e Madonnina. La maggior parte di costoro si contraddistingue per l’eccezionalità del sentire, una stranezza che, se anziché essere isolata, venisse integrata in modo costruttivo nella coscienza comune, certamente migliorerebbe qualcosa. Innocenza, lealtà, purezza d’animo, estrosità, ironia, franchezza sono solo alcune delle qualità che si nascondono sotto al disagio psichico di Daniele, Mario, Gianluca e Giorgio.

“Quei pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più sono i fratelli, offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare”.

La voce narrante non descrive il mondo visto da un folle, bensì l’esperienza di un ragazzo altamente sensibile, insolitamente maturo per la sua giovane età, capace di svolgere un’analisi lucida e profonda su se stesso e su chi incontra. Lo fa annullando i limiti e i confini. Nonostante il proprio disagio e la pesantezza del TSO, accoglie l’altro, lo ascolta, stabilisce un contatto, come se gli tenesse invisibilmente la mano nel cercare l’uscita da quello scomodo tunnel.

“Oggi so che non sono io a vedere grandi le cose, ma sono loro ad esserlo, io mi limito a guardarle nella loro reale dimensione. E la dimensione reale delle cose è gigantesca. Ogni singola giornata è costellata di azioni, visioni, degne di un’epopea straordinaria. Ogni persona incontrata, ogni scorcio di realtà inedito. Ma questa consapevolezza che stringo ora nei pugni so che passerà, come è già passata, tutto in quel momento tornerà ad essere sintomo di un male ancora senza un nome. La mia vita scorre su questa altalena impazzita.”

“Un figlio nato da una madre instabile e padre suicida viaggia per il mondo. Un principe. Un messia. Un futuro uomo capace di tutto … In lui la somma dei mali si è trasformata in bellezza, equilibrio, futuro degno di questo nome. Lo vedo tra mille ragazze, più forte di ogni chiacchera infame, di ogni pregiudizio. Vai. Onora il padre e la madre. Dimostra all’umanità intera che dagli ultimi, i reietti, nascono miracoli come te”.

Mario, il paziente più anziano della camera, è una figura estremamente delicata e poetica. Padre di famiglia, marito, maestro elementare, essere umano dal fare gentile e discreto, a un certo punto della propria esistenza precipita nel caos, si rompe e non si ripara mai più. Da quel momento perde lavoro, affetti e si ritrova solo, di degenza in degenza, alternando giorni apparentemente tranquilli a notti dolorose e tormentate. Eppure, in qualche modo, continua ad essere maestro. Interrogandosi insistentemente, contempla dalla finestra la vita in tutte le forme e riconosce nella semplicità la bellezza.

“Non sto dicendo che non esista la malattia mentale, ci mancherebbe, ho conosciuto squilibrati da mettere i brividi. Ma oggi non si cura più solamente la malattia mentale, oggi è l’enormità della vita a dare fastidio, il miracolo dell’unicità dell’individuo… Perché un uomo che si interroga sulla vita non è più un uomo produttivo… un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi”.

In effetti, è proprio attraverso l’inquietudine dei tempi difficili che si cresce, si migliora, in ogni caso ci si trasforma. Dalla contemplazione del bello, che passa attraverso un uccellino che torna al nido o l’ascolto di una poesia, Mario associa l’arte alla pazzia e, dal mio punto di vista, con lui l’autore tocca il punto più alto della propria osservazione.

“Io credo che gli artisti, come certi matti, abbiano dentro sé il seme di un ricordo lontanissimo, qualcosa avvenuto prima di tutte le storie. È la bellezza che scintilla di tutto. Io, ecco, credo che in certi uomini sia rimasto un ricordo sgranato, finito nel subcosciente. Questi uomini guardano tutto per come era veramente, prima di quella cosa che è successa e che ha cambiato tutto”.

Come se le creature più delicate e vulnerabili sentissero la nostalgia di un pezzo mancante, splendido e puro, qualcosa che si generò nella notte dei tempi e che nella notte dei tempi si deflagrò. Sebbene quella parte non la si conosca, se ne percepisce l’assenza. Ecco l’infinita ricerca degli artisti e l’indefinibile malessere delle anime fragili.

Tra gli altri compagni di viaggio, Gianluca e Giorgio. Tanto belli, quanto facili a sbriciolarsi, sbagliati nella misura in cui la società li convince della loro inadeguatezza. Condannati senza processo, in virtù di una non conformità sancita da nessun trattato.

“A me la quinta elementare non me l’hanno fatta fa’… Giorgio deve stare con quelli come lui … come lui come? Perché io come so’? In non do fastidio a nessuno, ma se me vengono sotto, se me ridono in faccia, me fanno le linguacce, io m’arrabbio, poi arriva la polizia, l’ambulanza. Se la pijano tutti co’me, perché io so matto, loro che m’hanno provocato invece so’ i sani, capito?”.

Tutto chiede salvezza. La cura e la premura chiedono salvezza. L’attenzione chiede salvezza. La non conformità, l’imperfezione, la non omologazione, l’unicità, il diritto alla fragilità…per tutto e per tutti si chieda anzi si pretenda salvezza.

Grazie DanieleMencarelli Grazie💓


Day after day, alone on a hill
The man with the foolish grin is keeping perfectly still
But nobody wants to know him, they can see that he's just a fool
And he never gives an answer

But the fool on the hill sees the sun going down
And the eyes in his head see the world spinning around

Giorno dopo giorno, solo su una collina
L'uomo col ghigno da matto
se ne sta perfettamente immobile
Ma nessuno lo vuole conoscere
Vedono che è solo un matto
Non dà mai nessuna risposta
Ma il matto sulla collina
Vede il sole tramontare e con gli occhi della mente vede il mondo girare

The fool on the hill, John Lennon & Paul McCartney

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 



DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

  Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insiem...