domenica, maggio 22, 2022

Mark Manson, La sottile arte di fare quello che ca**o ti pare.



Il titolo di questo libro pare alludere ad un astuto espediente di marketing. Ognuno di noi vorrebbe liberarsi da persone moleste, sgravarsi di faccende spiacevoli e raggiungere un’armonia quasi perfetta.

La genialità del testo invece è l’esatto opposto: il punto di partenza non è esterno ma interno. Come una sberla in faccia, l’autore esorta il lettore a smettere di lamentarsi, di ritenersi così speciale da meritare un compenso straordinario per il proprio impegno come se la felicità fosse “un’equazione algoritmica”.

Come reagirebbe l’essere umano in totale assenza di problemi da risolvere? Non gli mancherebbe forse qualcosa? Mark Manson interpreta il raggiungimento del benessere come la libertà di scegliere per quali cose “sbattersi”. Questo pensiero ha modificato in modo notevole il mio approccio: quando mi accadono eventi sgradevoli, mi chiedo se davvero meritino il mio rammarico e soprattutto quanto in fondo mi riguardino. In effetti ci sono individui che gravitano intorno alle nostre esistenze senza aggiungere qualcosa, spesso recando noia e gravità. Forse è arrivato il momento di smettere di offrire a costoro lo spazio e il tempo della nostra considerazione.

Per riuscire a raggiungere tale risultato è fondamentale definire una propria scala di valori, ragionare su quali principi ci identifichino al punto di lottare per loro. Io ho sempre considerato la presenza e l’attenzione delle virtù preziose. Tuttavia, se dall’altra parte queste qualità non vengono apprezzate, dare “assenza” a chi non ci apprezza diventa un’urgenza, un’intrepida missione atta a proteggere i nostri doni da chi, incapace di riconoscerli, ne farebbe pessimo uso. Mi vengono in mente tutte le volte in cui manca nelle relazioni una reciprocità e ci si sente inadeguati sulla base dei comportamenti altrui. Eppure, se lo permettiamo, la colpa di questo disagio è nostra, soltanto nostra.

Giustamente è pressoché impossibile piacere a tutti e andare d’accordo con ogni individuo che si incontra. Di conseguenza, anziché dolersene e dare la colpa al mondo, è saggio prendersi tutte le responsabilità nella consapevolezza di difendere un patrimonio astratto ma importante, anche accettando di incorrere nel biasimo di chi, non avendo altri strumenti, utilizza la calunnia e il piagnisteo per farsi giustizia. Assumersi l’onere delle proprie iniziative prelude certamente alla sofferenza e al sacrificio, nondimeno ci riporta a noi stessi, alla facoltà di preferire un problema anziché un altro. Qualunque sia la ragione per cui stiamo male, siamo noi ad averlo deciso.

Del libro ho inoltre gradito l'opinione per cui le emozioni sono sopravvalutate. Se ci si riflette, esse esprimono una condizione fugace e momentanea e non è detto che un sentimento che ci causa fastidio debba forzatamente danneggiarci, cosi come il suo contrario ci possa offrire un benessere di durata illimitata. Riflettere sulla propria condizione, chiedersi per quale motivo ci sentiamo in una maniera piuttosto che in un’altra è più ragionevole che seguire, a prescindere, pancia e cuore... meno romantico ma senz'altro più salutare.

Ci sono molti passaggi che mi hanno fatto sorridere, ricordare e supporre. Tra tutti questo è forse quello che preferisco per la schiettezza e la semplicità:

“La felicità richiede fatica. Cresce dai problemi. La gioia non spunta dalla terra come le margherite e gli arcobaleni”.

Adoro questa frase: stare bene significa cadere, sporcarsi, fallire, rialzarsi, imparare a stare nel proprio errore e nel proprio dolore, lottare per i propri principi, fare il meglio possibile senza rompere le palle, amare incondizionatamente e tenere sempre a mente che, come diceva Eleanor Roosvelt “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso.” 

Grazie Mark Manson Grazie

Voto: 9 e1/2







domenica, aprile 24, 2022

MAGARI DOMANI RESTO di Lorenzo Marone.

 

Luce di Notte è una giovane donna, avvocato praticante in uno studio. Nonostante sia di indole forte e fiera, nasconde la sua straordinaria sensibilità sotto a modi spesso bruschi, abituata a trattenere emozioni e parole. Nata da una famiglia di origini umili e cresciuta nei quartieri spagnoli di Napoli, apprende fin da piccola a proteggersi e a tenere le distanze da ciò che a un bambino è difficile spiegare.

“E comunque, Ninnillo, ricorda: ho solo due anni più di te, ma quei due anni so’ stati ‘na vera schifezza. E avere a che fare con lo schifo ti porta a dare del tu alla vita. Tu le dai del tu?”

La nonna materna è forse l’unica persona che in qualche maniera riesce ad attenuare lo sconforto e la solitudine causati dall’abbandono paterno e dalla freddezza materna.

“Nonna Giuseppina sarà stata pure ignorante, però la vita la capiva molto meglio delle mie maestre, e da qualche parte nel cuore ammuffito dall’umidità della sua casa e della sua vita, sapeva che senza una madre non ci può essere una buona infanzia. Perciò devo a quei pomeriggi trascorsi fuori al suo vico masticando Big Babol ... se sono riuscita a mettere da parte, in una piccola scatolina che conservo ancora sotto il letto, qualche bel ricordo”.

Significativo è il momento in cui il compagno la lascia, perchè tale evento è il punto di unione tra la vecchia e la nuova Luce: le si presentano incontri sorprendenti e situazioni che la accompagneranno in un processo di crescita e di rinascita. 

Lorenzo Marone descrive attraverso questa donna un mondo vivo e colorato, reso ancora più autentico dall’uso di alcune espressioni dialettali ("Schizzechea": pioviggina) Il lettore immagina le strade, i quartieri, le case, persino gli odori. Da una parte, in sottofondo, già nel nome del cane Alleria la musica di Pino Daniele, e dall'altra il jazz del dirimpettaio Vittorio.

Della protagonista mi colpisce la capacità di affrontare il passato, di fermarsi, di saper restare nel proprio riflessivo ironico silenzio. Nonostante il suo percorso sia stato tutt’altro che in discesa, lo sguardo è sempre rivolto verso l’alto, sospeso in una vaga speranza di felicità, assorto nella contemplazione della bellezza delle cose più piccole e semplici:

«Alleria si alza a sedere e mi lecca la mano. Chino il capo e incontro i suoi occhi dolci. A volte mi domando come sia possibile sentirsi soli su questo cavolo di pianeta che ospita miliardi di specie, che straborda di vita, di esseri animali, vegetali, insetti e persone.  E invece è proprio così, siamo tutti continuamente alla ricerca di qualcuno che ci accompagni lungo il percorso, spinti dal desiderio di trovare l’amore eterno, che sia quello di un figlio, un compagno o una madre, e nemmeno ci accorgiamo che a volte basta un amico che ti fa trovare la tavola imbandita e un messaggio sulla porta di casa, o gli occhi lucidi del tuo cane che ti fissano senza un perché. Non parlerei d’amore, una parola abusata, parlerei piuttosto di “attenzioni”».

Sebbene Luce si travesta da dura per impedire alla gente di avvicinarsi troppo e riuscire così a leggerle dentro, ella si occupa continuamente delle esigenze di chi la circonda: siano bambini, animali, anziani, indifesi in genere, si lancia in loro soccorso con quei superpoteri che sono etica e buoni sentimenti. Per il bene di chi le sta a cuore o nel rispetto dei valori in cui crede, lei sfida la paura, entra nel flusso del cambiamento e si riconosce indulgente.

“È che forse gli altri si accorgono di quando riesci a mettere un po’ di forza negli occhi e allora si avvicinano per capire se ce n’è un pizzico anche per loro”.

A causa delle ingiustizie cui assiste nell’ambito della professione e in seguito a un conflitto di coscienza, la donna si rende conto di aspirare a qualcosa di diverso. Si interroga sull’opportunità di trasferirsi al nord per costruire una nuova esistenza altrove. Vittorio, maturo vicino di casa e buon amico, imbarcatosi da giovane su una nave, le racconta: 

"Anch’io da ragazzo sentivo la necessità di fuggire, lasciarmi tutto alle spalle, pensavo fosse la soluzione migliore. Poi mi sono ritrovato in mare aperto e ho capito che tutto quello che pensavo di avere abbandonato a terra era ancora con me, nella mia cabina”.

La protagonista in effetti non è proprio alla ricerca spasmodica di un viaggio fine a se stesso, quanto di un diverso equilibrio. Lo fa restando innanzi tutto nel luogo in cui si trova, riappacificandosi con la propria infanzia e con chi ne ha fatto parte. Se è vero che molti eventi sono fuori controllo, lei interviene in modo attivo sul presente e laddove possibile contribuisce al buon esito delle vicende.

“Credo, però, di aver bisogno di tempo, di aspettare, che gli eventi facciano il loro corso, sento la necessità di seguire l’istinto e affidarmi alle piccole cose che in quest’ultimo periodo mi hanno fatta sentire bene. Sento che qualcosa prima o poi si smuoverà e mi porterà a capire quale strada imboccare”.

Lorenzo Marone mi induce a riflettere sulla necessità di liberarsi dalle catene delle infanzie infelici. Penso che il problema dei bambini che soffrono a causa delle mancanze o dei conflitti tra i genitori, sia l’incapacità degli adulti di accompagnarli in un processo di elaborazione del dolore. Se Luce fosse stata aiutata a comprendere ed accettare la sparizione paterna, sarebbe stata certamente una persona più serena e sicura di sé, certamente meno sulla difensiva. Che poi, come si fa a non esserlo?

Insomma, non è mai troppo tardi per curare le antiche ferite e dopo, soltanto dopo, voltare pagina e andare avanti. Proprio come per il personaggio principale del romanzo, ciascun nuovo ciclo nasce sulle ceneri di quello che lo ha preceduto. 

Voto: 8 e mezzo

Grazie LorenzoMarone Grazie

 

 

 

 

 

 

 

 


lunedì, aprile 18, 2022

Stavolta un film: MARILYN HA GLI OCCHI NERI.


Sarà che il termine “normalità” mi reca una vaga tristezza, sarà che la mancanza di follia annienta lo straordinario, sarà che "da vicino nessuno è normale" … sarà che gli storti e gli smarginati da sempre attraggono non solo la mia attenzione ma anche un’incondizionata simpatia, questo film è il più bello che abbia visto dall’inizio dell’anno.

I protagonisti sono un cuoco e un’attrice un po’ mitomane. Diego, interpretato da uno strepitoso Stefano Accorsi, è un individuo balbuziente, dall’aspetto dimesso e dall'incedere malfermo. Clara, impersonata da Miriam Leone, è una donna che,  mistificando la realtà, aggroviglia continuamente le sue fantasie alla vita vera, con conseguenze talvolta catastrofiche. Questi improbabili amici si incontrano in un centro diurno di riabilitazione e, con altri compagni di cura, metteranno su un ristorante di successo.

Al di là della regia, del cast o dei personaggi, tutti autentici, credibili e intensi, rifletto su quello che la pellicola lascia nello spettatore. Quante volte ci si imbatte in persone sconosciute che si esprimono o si comportano in modo non “consono” o non “conforme” al nostro? Quante volte ci è capitato di restare turbati di fronte a uno sguardo allucinato o a un viso stravolto? Tutti freschi di doccia, con i capelli ordinati, guardiamo da una pedana rialzata strane creature precipitate nelle nostre strade perfette chissà da quale mondo dannato. Ecco, il film di Simone Godano ci spiega esattamente da dove arrivano questi esseri strambi che non sono per nulla così lontani dalla nostra esistenza.

Chiunque, messo ripetutamente alla prova dai geni o dal destino, privato dell’amore, abbandonato dagli affetti, sottoposto a ripetute ingiustizie o semplicemente e legittimamente fragile, chiunque di noi potrebbe diventare come Diego, Clara o Susanna, che soffre della sindrome di Tourette. Temo di essere banale e forse anche ripetitiva ma le persone sono viaggi, tutte. Anche dinnanzi al comportamento più inspiegabile, cerchiamo di ricordarci che la sofferenza non elaborata logora e distrugge. Alla base delle azioni ci sono sempre dei motivi, non dico di condividerli, ma quanto meno fare lo sforzo di rammentarsene.

 Alle persone non gliene frega niente, eh! Pensano di aver ragione solo perché sono di più quelli normali!

C’è chi non ha nulla da perdere perché non ha proprio niente

Un’altra frase di Diego, che purtroppo non posso citare in modo esatto, esprimeva la solitudine che si prova quando non ci si sente capiti da nessuno. Forse potrebbe essere proprio questo il punto di inizio. A chi non è mai capitato di sentirsi così? Chi non si è mai chiesto “ma sono io che sono matto o sono gli altri che non mi capiscono”?

Lo psicoterapeuta del gruppo è una figura autorevole, dice le cose che io mi vorrei dire quando sono in difficoltà. L’attore che lo impersona è Thomas Trabacchi, bravo, incisivo e delicato, come richiede il ruolo. Non capisco perché gli affidino sempre dei personaggi secondari. Si meriterebbe molto di più e glielo auguro con tutta la mia stima.

Grazie lettore Grazie.

P.S. Questo film è disponibile su Netflix ed è del 2021.

giovedì, marzo 31, 2022

COME UN RESPIRO di FERZAN OZPETEK

 

Tutto è doppio.

Immaginate un palcoscenico teatrale con due scenografie, sul fondale dell’una un bagno turco di Istanbul, su quello dell’altra l’interno di un appartamento romano. Immaginate due epoche e di alternare gli anni 70 al presente. Naturalmente anche le protagoniste sono due: Elsa e Adele, legatissime sorelle, separate dagli eventi e lontane per un cinquantennio. Questo libro di Ferzan Ozpetek, avvincente fino alle ultime pagine, si adatterebbe magnificamente ai tempi di una pièce del teatro.

Trama: Elsa abbandona improvvisamente Roma per recarsi sul primo treno della notte. Mettendosi nelle mani della sorte, acquista un biglietto senza preoccuparsi della destinazione. Giunta ad Istanbul, incomincia una nuova vita, fa delle esperienze e degli incontri che la portano ad aprire un hammàm. Dal 1969, data della sua fuga, fino al 2019 scrive alla sorella delle lunghe lettere che però non ricevono risposta. Di ritorno in Italia, si reca nella casa in cui risiedeva Adele cinquant’anni prima. In questo alloggio il destino delle due donne si incrocia con quello dei suoi nuovi proprietari e di alcuni loro amici.

“Ai suoi occhi questo era rimasto l’appartamento dove cinquant’anni fa era vissuta. Un luogo amico, benevolo, familiare. Che ci fossimo noi o qualcun altro, per Elsa non aveva la minima importanza: l’essenziale era trovarsi qui. Certi posti hanno la capacità di trattenere le emozioni, proprio come fa un essere umano con il respiro. Poi le lasciano andare molto lentamente, e chi è in grado di percepirle le assorbe in ogni cellula del suo corpo. Ti fanno sentire a casa per sempre”.

Sebbene l’animo dei protagonisti, trascinato dall’impeto dei ricordi e degli eventi, sia turbato, la distanza temporale che separa i fatti dalle loro conseguenze offre una narrazione dal ritmo tranquillo e pensoso. Come se il passare degli anni concedesse lo spazio della riflessione: tutto in questo romanzo sembra galleggiare gentilmente sulle onde della vita dei suoi protagonisti.

Lo stile con il quale l’autore descrive i personaggi porta alla memoria la sua regia cinematografica. Li delinea nei gesti, nei silenzi, nelle reazioni involontarie forse ancora più che con le parole. Si capisce da come muovono gli occhi o da un improvviso rossore che si stanno nascondendo… mentre il lettore gli gira intorno, li studia, apre loro la borsa, gli armadi della cucina, fino a seguirli nelle stanze più nascoste. Forse ogni essere umano custodisce in sé un giardino segreto che nessuno o quasi nessuno conosce. Senza fargliene una colpa, l’autore lo mette alla luce come qualcosa di naturale e inalienabile. Ozpetek racconta la fragilità umana con commovente indulgenza, per quanto le azioni commesse da alcune figure siano basse e deplorevoli, non si può fare a meno di empatizzare con loro e di comprendere il momentaneo impeto che le fa agire.  

“Quante persone amano di nascosto, tramano, tradiscono.”

“Ci sono amori per i quali non basta una vita intera e altri che bruciano in una notte. Non sto dicendo che i primi siano migliori dei secondi: è solo una questione di scadenza. Se non vuoi soffrire, devi conoscere i tempi.”

“Sai una cosa? In fondo anche l’amore è un delitto perfetto: a volte ti uccide, altre forte ti rende più forte, ma in ogni caso rappresenta l’alibi ideale per ogni tua follia.”

“Cosa significa odiare una persona con tutte le tue forze? Non vuol dire nulla. Tanto lo sai che il tuo rancore è solo una diversa forma d’amore. Avvelenato dell’umiliazione, dal sospetto e dalla gelosia, ma non per questo meno vero.”

Questa vicenda ammonisce e fa pensare a quanto il perdono sia salvifico e a come, anche nelle situazioni più sgradevoli e per quanto ci si senta feriti, bisognerebbe concedere alla controparte la possibilità di spiegarsi e di giustificare le proprie azioni. Prima di chiudere un ciclo per sempre, quanto meno esserne sicuri. 

Immenso Ferzan Ozpetek, 9 e mezzo


giovedì, marzo 24, 2022

LA BAMBINA SPUTAFUOCO di GIULIA B. MELIS

 



Martina (Mina) è la bambina sputafuoco. Un malessere improvviso, il ricovero, le analisi e la diagnosi di una rara malattia che la costringe a vivere per lungo tempo in un reparto di oncologia infantile. Grazie alle cure e alla preparazione di chi si occupa di lei, Mina migliora. Riceve l’immenso supporto di tutta la famiglia, delle compagne di scuola e delle sue insegnanti. L’intera società che le ruota intorno si preoccupa per lei e crede nella sua guarigione. Tuttavia, è Mina a salvare se stessa. Curiosa, innocente e molto coraggiosa, osserva il mondo dalla sua camera d’ospedale e trasforma con salvifica fantasia la lunga degenza; trasfigura muri, quadri, armadi, oggetti, persone in luoghi e personaggi onirici, che le conferiscono quei superpoteri di cui ha bisogno per sconfiggere il cancro, affrontare chemioterapia e trattamenti invasivi.

“Lorenzo ha la testa appoggiata al mio cuscino, si schiaccia il naso sulla faccia … sta uccidendo i mobili e ogni cosa che vede tranne la balena sul quadro, tutto esplode in luce incandescente e goccioline di saliva, poi un pezzo della scrivania mi colpisce il fianco, è grande e appuntito ma non fa niente siccome io sono immortale”.

Lorenzo è il compagno di questo lungo ed estenuante viaggio. È il fratello del cuore, l’amico perfetto. In tedesco c’è un modo di dire che lo descrive:

«er/sie ist jemand mit dem/der man Pferde stehlen könnte»

«è qualcuno con cui si potrebbero rubare dei cavalli»

Significa che è una persona con cui si farebbe qualsiasi cosa e con cui si andrebbe dappertutto. I due ragazzi conoscono esattamente quello che l’altro prova, si aiutano e si accompagnano con complicità e affetto crescenti, tanto che evadono addirittura dalla clinica e arrivano al parcheggio dove, dopo un'abbondante colazione, vengono giustamente riacciuffati. Lorenzo è la persona per cui Mina arriva a commettere un gesto di eroica ribellione, pur di stargli vicino dopo il trapianto di midollo. Del resto, è proprio lei la persona con cui il ragazzo vuole trascorrere il giorno e la notte che precedono quel delicato intervento.

Più del coraggio, della forza e della fantasia, di Mina mi incanta lo sguardo, il modo gentile e delicato con cui scruta ciò che la circonda. Legge dentro alle cose della vita e alle persone, come se, analizzando ogni evento alla luce del suo cuore bambino e di un’insolita maturità, alla fine vedesse oltre.

“…Lei sorride e mi dà una piccola carezza al lato del mento che mi rimane attaccata per molte ore”.

“Allora apro la bocca e prendo aria. Stringo le palpebre molto forte e vedo tante piccole lucine e sono molto convinta che quello sia l’universo intero e noi in realtà ce l’abbiamo dentro agli occhi”

“Minni, la gatta che avevamo prima di Pollice. Era una palla grigia con il pelo molto lungo, l’abbiamo sotterrata in giardino e adesso è diventata un acero, tutte le volte che cadono le foglie lei miagola con il vento. Ora che è agosto e non fa i fiori ma dei semi doppi e lunghi che sembrano libellule, se cadono vorticano nell’aria, girano su se stessi fino a che si incastrano nei fili d’erba. Sono il cibo dei grilli, loro cantano tutta la notte perché hanno la cena che cade dal cielo.”

“Li ho pensati uno vicino all’altra, con le teste appoggiate sui grandi capelli di Imma…Paolo le abbracciava un fianco e lei sorrideva sentendogli il collo, come profumava sempre di Pino. Allora non so perché … ma ho visto che loro sono lo stesso albero: uno di quelli che crescono al mare, spettinati un po’ storti…Imma è tutta la pianta e Paolo il suo profumo ed è per questo che adesso non si separano più”.

Il romanzo è autobiografico, la scrittrice Giulia Binando Melis racconta, probabilmente elabora e in qualche modo trasfigura la sua storia. Grazie alla medicina, all’amore e alla sua stessa energia, la malattia è passata ma la piccola sputafuoco le starà sempre accanto. Del resto, è così per ognuno di noi. Delle sfide superate, ci resta il guerriero che ha lottato a ricordarci che ce l'abbiamo fatta e che siamo stati molto più forti di quanto ci aspettassimo.

Nonostante il linguaggio abbia un ritmo molto lento, è un libro che consiglio.

Voto: 8+


giovedì, marzo 17, 2022

UNA GRANDE AMICIZIA AL CAPO DEL MONDO ...(ROMA PER SEMPRE parte II)



 


La Garbatella è il suggestivo quartiere in cui ho avuto il piacere di soggiornare. 


Si tratta di un paese grande, di una città nella città, proprio sotto al cuore della capitale, situato lì a metà tra il ventricolo destro e il ventricolo sinistro. Solo a un paio di fermate dal Colosseo, tanto vicino alla metropoli eppure così diverso, popolato da una società con una romanità ancora più spiccata e una quotidianità dal ritmo gradevole e tranquillo.

 




La Garbatella è discreta, ti accoglie e si mostra senza esibirsi. È un museo a cielo aperto, è il ritratto di Albertone patrimonio nazionale, sono scritte sui muri e dipinti che ammaliano, sono murales di lotta e sofferenza, sono memoria e rivoluzione, sono poesie in quel dialetto che per eccellenza è musica, ironia e saggezza...Sono strade lunghe e traverse colorate, sono ristoranti senza fronzoli dal cibo genuino, sono trattorie nascoste dietro agli angoli e nelle rampe degli edifici, sono palazzi antichi dalle tinte rosate.

  

Questa parte così speciale di Roma è diventata la residenza di una persona altrettanto speciale,  il fraterno amico Antonio. Al mio arrivo siamo entrati in un flusso leggero e impetuoso di chiacchiere e pensieri. Quando ci siamo ricordati di guardare l’orologio, erano già le due mattino. Ma cos’è? Come è possibile che il tempo corra in modo talmente veloce da mangiarsi le sue stesse lancette? È forse il gentile magheggio che compie la vita quando mette sul nostro stesso cammino delle anime affini.

La bolla di sapone in cui siamo entrati ha condotto la nostra amicizia da Trastevere al Ghetto, dal Colosseo al Vaticano, su fino a piazza di Spagna e poi giù fino al parco dell’Eur. I nostri occhi si riempivano di bellezza, alla vista di quelle architetture si arcinote ma eternamente sbalorditive. Seduti come bravi scolari ai bordi della cappella Sistina, in reverente silenzio, appesi anche noi al blu delle figure nel giudizio universale; persi ad ascoltare con orecchie grandi e cuore aperto le descrizioni della guida Margherita, siamo stati rapiti dalla Deposizione di Caravaggio, ci siamo trasformati nel movimento doloroso di Laoconte e siamo ascesi insieme a Raffaello nella sua Trasfigurazione

    
Deposizione                
             
                                                Laoconte


I nostri passi su ponte Sisto hanno incrociato quelli di una coppia di vecchi amici, con cui fino a mezzanotte abbiamo brindato, celebrando la fratellanza, la salute e l'immenso privilegio di essere liberi e vivi in questo mondo difficile.



Come il sole e il cielo, anche Roma è di tutti ma crea dipendenza. Più ci vai e più ci devi tornare. Nella sua generosa magnificenza ella pone una sola condizione, che il tuo compagno di viaggio sia un tuo simile, che vi possiate ritrovare senza perdervi né cercarvi. Così è con il mio amico Antonio, che ringrazio dal profondo per la condivisione di questi giorni indimenticabili e meravigliosi ... per tutti gli altri che li hanno preceduti e per quelli che verranno. 











sabato, marzo 05, 2022

ST.GALLEN: MANIFESTAZIONE PER LA PACE - FRIEDENSDEMONSTRATION

 


Nonostante viva in questa città da quasi 15 anni, solo oggi ho sentito di farne parte. Centinaia, forse migliaia di persone, dimostravano con me ed io con loro per qualcosa che ci univa in uno scopo superiore. Forse siamo tutti troppo piccoli e insignificanti per influire nelle stanze di quelli che, schiacciando i bottoni, barattano vite e armi come se fossero figurine. Tuttavia, di una cosa sono convinta, che l’unione faccia la forza e che quando persone diverse si raccolgono in nome di uno stesso ideale, l’energia sprigionata dai sentimenti spinga i cuori e le coscienze più in alto dei regnanti e della retorica politica.

La rappresentante della comunità ucraina ha fatto appello alla libertà dei popoli ad autodeterminarsi, a scegliere liberamente il proprio modo di vivere, senza interferenze, né conseguenze. Nel rivolgersi a Putin, lo ha pregato di interrompere la strage di civili e militari nel suo Paese. Mi ha colpito il modo: ha usato il Lei e la buona educazione, il suo tono di voce era afflitto, accorato ma anche pacato e dignitoso. Al suo breve intervento un applauso lungo e rumoroso ha comunicato affetto e solidarietà.

Nonostante la condanna della guerra sia unanime, alla fine è il pensiero perverso di un singolo o di pochi a causare la distruzione di intere società e sistemi. Questo potrebbe farci sentire impotenti e frustrare qualsiasi iniziativa. Eppure, partecipando alla dimostrazione ho percepito che, al di là dei limiti oggettivi e delle ingiustizie, l’unica alternativa è agire, anche solo uscire di casa per esprimere il proprio dissenso. “Lei deve pretendere di vivere in un mondo migliore, non solo sognarlo”, dice Davide Veroli, uno dei protagonisti del film “La finestra di fronte”, scampato alle persecuzioni razziali e al rastrellamento nel ghetto di Roma.


Tutti possiamo operare in tal senso, basta girarsi e oltrepassare barriere geografiche o mentali: non solo rendersi conto della sofferenza altrui ma interessarsene e magari farsene un po' carico.

“The only impossible journey is the one you never begin” (Paul Polman): Mai arrendersi all’immobilità, all’irreversibilità dei disastri, mai farsene una ragione. Abbiamo tutti la responsabilità di lavorare nel nostro piccolo al raggiungimento della pace e del bene comune. Lo si può perseguire in ogni ambito della nostra esistenza: dal modo di parcheggiare a quello di separare i rifiuti, di trattare umani e natura, tenendo sempre presente che si è parte di un progetto più grande. Io non so se si possa sconfiggere il male, ma so che la sua esistenza mi sfida a correggermi e, se possibile, a cambiare in meglio.


 


 






domenica, febbraio 27, 2022

IL NUMERO PIÙ GRANDE È DUE. FABRIZIO CARAMAGNA

 

INCLASSIFICABILE PER LA TROPPA BELLEZZA

“Non è miliardi di miliardi il numero più grande che ci sia.

Il numero più grande è due”

 

Come si fa a spiegare la poesia? Gli esseri umani di solito tentano con le parole e con i gesti di manifestare quello che sentono e pensano. Fabrizio Caramagna fa ben altro. Il suo libro è inclassificabile per la troppa bellezza. Si tratta di un romanzo poetico, apparentemente veloce da leggere, in realtà così penetrante nelle pieghe più recondite dello spirito del lettore, che il tempo si dilata e dopo una prima lettura, ne subentra una seconda, poi la selezione delle pagine più belle fino alla trascrizione di esse.

“Non esiste la solitudine

stai sempre preparando un incontro

con qualcuno là fuori

anche se non lo sai”

 

Il poeta racconta la storia più ordinaria per eccellenza: un amore. Ciascuna relazione amorosa si compone di incontri, innamoramenti, attese, frequentazioni, separazioni, ricongiungimenti … crisi, abbandoni reali o apparenti e finali lieti o tristi. Ciò che rende rilevante un rapporto è l’unicità che lo contraddistingue. Sebbene la letteratura sia traboccante di romanzi magistralmente scritti, Fabrizio Caramagna eccelle nell’arte di spiegare in strofe emozioni e situazioni che sono incomprensibili e indecifrabili. Costui è un mago dell’anima prima che del linguaggio: come un compositore egli descrive tutto un mondo, un sentimento o una visione della vita in pochissimi versi. Ricama immagini, sensazioni, natura e oggetti sulla trama semplicissima ed essenziale fatta dall’esperienza dei suoi protagonisti. Su ogni singolo foglio il tempo si ferma. Il cuore resta sospeso ad indagare se stesso e il proprio ovattato battito, fino a scoprire qualcosa di nuovo che lo riguarda.

Questo testo strano e straordinario, se accolto con sagace predisposizione, è paragonabile ad una sessione di psicoterapia: aggiunge, completa o forse rende edotti sui pezzi mancanti.

Eccco alcuni passaggi che giustificano il mio pacatissimo entusiasmo:

 

“Ci sono persone che entrano nella tua vita

per farti felice

e altre per cambiare la tua idea di felicità.

E non è la stessa cosa”

 

“E adesso che tu sei partita e io sono solo.

Nessun’altra cosa fa il rumore di un vetro

spezzato

come pensare a te dopo mezzanotte”

 

“Sbagli tutto” disse il buon senso al cuore. Prima

devi costruire il lieto fine e solo dopo scriverai

la storia. Se inverti l’ordine perderai sempre.

Ma il cuore sapeva che quel lieto fine esisteva già,

in qualche parte dell’universo.

E decise di andarlo a cercare”

 

 

Quelle di Caramagna sono delle pitture dal tratto breve, deciso e dal colore intenso. La mia meraviglia è rimasta catturata dalle sue trasfigurazioni, dalla capacità di rappresentare i momenti e gli eventi in qualcosa che la realtà non potrebbe mai raggiungere. Eppure, le visioni che ne derivano sono ancora più tangibili ed autentiche di essa. 

“L’unica cosa che porto in tasca è una manciata

di stelle.

E dovreste vedere i suoi occhi quando apro

le mani e le lascio correre invisibili sui prati.”

 

“Tra un battito e l’altro c’è stata una lunghissima

pausa.

È perché il cuore ha visto i tuoi occhi e si è girato

e ha sorriso a tutti gli organi vicini”

 

“Hai sentito un brivido sulla tua spina dorsale

Proprio qui vicino alle scapole.

Una farfalla sta provando le tue ali e volteggia

felice nel prato

e si chiede perché non torni a usarle.”

 

 

Leggendo questo libro, parecchie volte mi è venuta alla mente una lirica di Alda

Merini, dal titolo Terra d’Amore: “Io non ho bisogno di denaro/ ho bisogno di sentimenti/ di parole, di parole scelte sapientemente/ di fiori, detti pensieri…” Meglio di me, la grandezza di una poetessa, spiega ciò che ho letto: fiori detti pensieri.

 

“Il tuo cuore è infranto

Ma sotto cumuli di macerie

c’è un piccolo fiore luminoso

cha ha la vibrazione di una farfalla bianca.

Un saggio un giorno mi disse

il nome di quel fiore

“credi sempre nel futuro”

 

“Te lo chiedo nel caso non riuscissimo più

a incontrarci in questa vita:

tu ce l’hai un piano per far pace nella prossima

vero?”

 

“Ci sono momenti in cui la delusione viene a cercarti

l’anima come fanno i suonatori con i tasti musicali,

e più i tasti sono ampi e profondi e più basta una sola parola

o un gesto a far risuonare dentro di te una musica

che non vorresti mai sentire”

 

E infine uno dei miei preferiti

 

“A volte due persone

per combaciare devono prima rompersi in mille pezzi”.

 

Ho esordito definendo questo libro inclassificabile per la troppa bellezza, pertanto

il mio voto è 11,12,13 … 100 e lode

 

Grazie FABRIZIO CARAMAGNA Grazie

 

 

 

 

DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

  Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insiem...