É la prima volta che passo da un film al libro, anzi in
questo caso dalla serie Netflix. In entrambi i casi, emozionandomi e ragionando, ho acquisito nuove intuizioni.
La versione cinematografica del testo di Daniele Mencarelli mi ha talmente coinvolta, che, già sui titoli di coda, ne ho sentito la mancanza. Così, alla prima occasione, ho comprato il romanzo. Questa
lettura non solo ha integrato le immagini della pellicola, ma ha aggiunto
commozione e riflessioni. Il libro è in alcuni aspetti diverso dal film, tuttavia le modifiche della serie non disturbano lo scritto.
Non essendomi mai facilmente omologata e tantomeno
sentita “normale”, da sempre quello della pazzia è un tema che rapisce la mia
attenzione. Se ognuno di noi andasse a fondo e si aprisse senza pregiudizio
anche a quelli più lontani dai propri schemi, quanti punti in comune troverebbe?
Possibile che lo si possa scoprire soltanto naufragando su un’isola deserta? O nel corso di un forzato esilio? Questo è un po’ quanto accade a Daniele, nella settimana di Trattamento
Sanitario Obbligatorio (TSO). Tutti i compagni di stanza del reparto di
psichiatria hanno qualcosa di straordinario, anche quelli più irraggiungibili e
apparentemente assenti come Alessandro e Madonnina. La maggior parte di costoro
si contraddistingue per l’eccezionalità del sentire, una stranezza che, se
anziché essere isolata, venisse integrata in modo costruttivo nella coscienza
comune, certamente migliorerebbe qualcosa. Innocenza, lealtà, purezza d’animo,
estrosità, ironia, franchezza sono solo alcune delle qualità che si nascondono
sotto al disagio psichico di Daniele, Mario, Gianluca e Giorgio.
“Quei pazzi sono la cosa più simile
all’amicizia che abbia mai incontrato, di più sono i fratelli, offerti dalla
vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e
qualche altra cosa che un giorno saprò nominare”.
La voce narrante non descrive il mondo visto da un folle,
bensì l’esperienza di un ragazzo altamente sensibile, insolitamente maturo per
la sua giovane età, capace di svolgere un’analisi lucida e profonda su se
stesso e su chi incontra. Lo fa annullando i limiti e i confini. Nonostante il
proprio disagio e la pesantezza del TSO, accoglie l’altro, lo ascolta,
stabilisce un contatto, come se gli tenesse invisibilmente la mano nel cercare
l’uscita da quello scomodo tunnel.
“Oggi so che non sono io a vedere grandi le
cose, ma sono loro ad esserlo, io mi limito a guardarle nella loro reale
dimensione. E la dimensione reale delle cose è gigantesca. Ogni singola
giornata è costellata di azioni, visioni, degne di un’epopea straordinaria. Ogni
persona incontrata, ogni scorcio di realtà inedito. Ma questa consapevolezza
che stringo ora nei pugni so che passerà, come è già passata, tutto in quel
momento tornerà ad essere sintomo di un male ancora senza un nome. La mia vita
scorre su questa altalena impazzita.”
“Un figlio nato da una madre instabile e
padre suicida viaggia per il mondo. Un principe. Un messia. Un futuro uomo
capace di tutto … In lui la somma dei mali si è trasformata in bellezza,
equilibrio, futuro degno di questo nome. Lo vedo tra mille ragazze, più forte
di ogni chiacchera infame, di ogni pregiudizio. Vai. Onora il padre e la madre.
Dimostra all’umanità intera che dagli ultimi, i reietti, nascono miracoli come
te”.
Mario, il paziente più anziano della camera, è una figura estremamente delicata e poetica. Padre di famiglia, marito, maestro
elementare, essere umano dal fare gentile e discreto, a un certo punto della
propria esistenza precipita nel caos, si rompe e non si ripara mai più. Da quel
momento perde lavoro, affetti e si ritrova solo, di degenza in degenza,
alternando giorni apparentemente tranquilli a notti dolorose e tormentate.
Eppure, in qualche modo, continua ad essere maestro. Interrogandosi
insistentemente, contempla dalla finestra la vita in tutte le forme e riconosce
nella semplicità la bellezza.
“Non sto dicendo che non esista la malattia
mentale, ci mancherebbe, ho conosciuto squilibrati da mettere i brividi. Ma
oggi non si cura più solamente la malattia mentale, oggi è l’enormità della vita
a dare fastidio, il miracolo dell’unicità dell’individuo… Perché un uomo che si
interroga sulla vita non è più un uomo produttivo… un uomo che contempla i
limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. Semmai è da
pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi”.
In effetti, è proprio attraverso l’inquietudine dei tempi
difficili che si cresce, si migliora, in ogni caso ci si trasforma. Dalla
contemplazione del bello, che passa attraverso un uccellino che torna al nido o
l’ascolto di una poesia, Mario associa l’arte alla pazzia e, dal mio punto di
vista, con lui l’autore tocca il punto più alto della propria osservazione.
“Io credo che gli artisti, come certi
matti, abbiano dentro sé il seme di un ricordo lontanissimo, qualcosa avvenuto
prima di tutte le storie. È la bellezza che scintilla di tutto. Io, ecco, credo
che in certi uomini sia rimasto un ricordo sgranato, finito nel subcosciente.
Questi uomini guardano tutto per come era veramente, prima di quella cosa che è
successa e che ha cambiato tutto”.
Come se le creature più delicate e vulnerabili sentissero
la nostalgia di un pezzo mancante, splendido e puro, qualcosa che si generò
nella notte dei tempi e che nella notte dei tempi si deflagrò. Sebbene quella
parte non la si conosca, se ne percepisce l’assenza. Ecco l’infinita ricerca
degli artisti e l’indefinibile malessere delle anime fragili.
Tra gli altri compagni di viaggio, Gianluca e Giorgio.
Tanto belli, quanto facili a sbriciolarsi, sbagliati nella misura in cui la
società li convince della loro inadeguatezza. Condannati senza processo, in
virtù di una non conformità sancita da nessun trattato.
“A me la quinta elementare non me l’hanno
fatta fa’… Giorgio deve stare con quelli come lui … come lui come? Perché io
come so’? In non do fastidio a nessuno, ma se me vengono sotto, se me ridono in
faccia, me fanno le linguacce, io m’arrabbio, poi arriva la polizia,
l’ambulanza. Se la pijano tutti co’me, perché io so matto, loro che m’hanno
provocato invece so’ i sani, capito?”.
Tutto chiede salvezza. La cura e la premura chiedono
salvezza. L’attenzione chiede salvezza. La non conformità, l’imperfezione, la
non omologazione, l’unicità, il diritto alla fragilità…per tutto e per tutti si
chieda anzi si pretenda salvezza.
Grazie DanieleMencarelli Grazie💓
Day after day, alone
on a hill
The man with the foolish grin is keeping perfectly still
But nobody wants to know him, they can see that he's just a fool
And he never gives an answer
But the fool on the
hill sees the sun going down
And the eyes in his head see the world spinning around
Giorno dopo
giorno, solo su una collina
L'uomo col ghigno da matto
se ne sta perfettamente immobile
Ma nessuno lo vuole conoscere
Vedono che è solo un matto
Non dà mai nessuna risposta
Ma il matto sulla collina
Vede il sole tramontare e con gli occhi della mente vede il mondo girare
The fool on the hill,
John Lennon & Paul McCartney