martedì, settembre 27, 2022

IL DONO DELLA RECIPROCITÀ

 


Rifletto sulla reciprocità perché tutto ciò che non lo è, o si trasforma, o soccombe. Ogni cosa nella nostra esistenza si basa sull’alternanza di gesti e risposte, su stimoli che per sopravvivere esigono un flusso continuo. Se all’espirazione non seguisse l’inspirazione imploderemmo, se immettessimo aria nei polmoni senza farla uscire scoppieremmo. Il passaggio tra l’uno e l’altro atto ci assicura la vita. Nella prima infanzia i bambini si sintonizzano sulla stessa lunghezza d’onda di chi li accudisce, ricambiando con amorosa dipendenza. Alla base dello scambio, anche in seguito, vi è sempre, comunque ed imprescindibilmente qualcosa di vicendevole.

Nel dare e nell’avere è previsto un soave equilibrio, che rende le relazioni sane, giuste, gratificanti ed armoniose. Che si tratti di amore o di amicizia, il principio di reciprocità ci fa sentire accolti, capiti, accettati e ri-amati. Se questo manca, se lo sbilanciamento tra gli attivi e i passivi è eclatante, bisogna rendersene conto e agire in modalità di risparmio. Forse si è speso troppo; del resto, ogni relazione presuppone il rischio di un investimento. Nel mondo dei sentimenti è complicato pareggiare i conti. Eppure, di tanto in tanto, un bilancio è necessario. Di solito, le persone interessate tengono continuamente aperto il loro libro contabile, invece, quelle più ingenue e generose ne ignorano completamente l’esistenza.

Nonostante preferisca la bellezza della condivisione spontanea, il troppo dare ha delle controindicazioni. Lo sbaglio non è di chi prende ma di chi offre. Penso a delle cene che si svolgono sempre presso l’abitazione della stessa persona, alla cura nella preparazione, ai brindisi e alle lunghe chiacchierate. "La prossima volta facciamo da noi", poi il tempo passa e, siccome è più comodo, si rifà nella stessa casa, le stesse sedie, lo stesso soggiorno. Ecco…forse la prossima volta, facciamo pure da voi. Penso alla gioia che provo nel condividere ciò che accresce la mia coscienza: incontri, esperienze, letture, meditazioni e libri. Poi mi chiedo che cosa arricchisca quella dei miei affetti? Quali testi stiano leggendo adesso; in quale modo stiano evolvendo. Il più delle volte non lo so. Penso al racconto e all’ascolto. Se chi parla e chi ode stanno esclusivamente in quel ruolo, senza mai cambiare posizione, la comunicazione sfiorisce.

La misura della reciprocità non consiste in una quantità proporzionalmente definita e calcolabile ma nella naturale attitudine a rispondere positivamente agli stimoli dell'altro. Senza tale propensione, la cura dei rapporti, anziché una scelta affettuosa, diventa un lavoro.

Al silenzio delle risposte sospese, alle presenze che diventano assenze, al disagio di chi elude i brindisi con invidia malcelata, contrappongo fieramente i frutti del bene reciproco: sono prosecco e salatini offerti da chi ha una casa troppo piccola per ospitare, sono i viaggi di chi sale sul primo aereo per consolare una sorella in lutto, sono messaggi, sono sguardi che accarezzano, sono parole che abbracciano, sono fiori per i non compleanni, sono bollini premio nella buca delle lettere, sono biscotti, sono la poesia di un mondo che si ripara nella semplicità, sono visite inaspettate, momenti di gioia. È la felicità che giustamente arriva senza annunciarsi.







giovedì, settembre 22, 2022

TUTTO SARÀ PERFETTO. LORENZO MARONE

 

Andrea è un fotografo, single, tanto sensibile quanto irrisolto. Per alcuni giorni è chiamato ad assistere il padre malato. Si tratta di dare il cambio all’apprensiva sorella in viaggio lontano da Napoli. La donna gli lascia una lista di regole da rispettare con religiosa diligenza, alle quali suo malgrado il fratello dovrà contravvenire. Nonostante il genitore si trovi nella fase terminale di una grave patologia, ha ancora la forza e la lucidità di mettere in atto un piano “diabolico”, rivendicando il diritto di godere del tempo che gli resta in piena libertà. Papà e figlio fuggono a Procida, luogo delle loro origini. Qui, beneficiando di un presente inatteso e sorprendente, vivono ogni istante con la massima intensità.

«Se mia sorella sapesse che alle undici di sera il padre, anziché dormire nel suo comodo letto, si trova sulla spiaggia di Procida, con un venticello che viene dalle spalle…, se sapesse che non prende medicinali da ieri, che ha gustato del buon vino rosso e sta fumando il secondo spinello della sua vita, le verrebbe un colpo».

Di questo autore apprezzo particolarmente il modo attraverso il quale i protagonisti evolvono nel corso della storia. Le altrui vicende sollecitano il lettore a immedesimarsi, fino al punto di mettersi in discussione e riconsiderare il proprio atteggiamento.

«Le tartarughe non mi piacciono … Milioni di anni fa sono state brave a costruirsi la corazza che si portano appresso e che le ha salvate dai predatori, solo che con il tempo il guscio che le riparava è diventato la loro prigione; gli altri animali hanno continuato a evolversi, a cambiare, loro invece sono rimaste così, non sono più progredite. Perciò stanno diminuendo … non hanno saputo cambiare, non hanno avuto la forza di separarsi dal guscio. Di allontanarsi da casa».

Questa affermazione mi induce a riflettere sulla facilità con la quale ci si auto-boicotta. Tale è la paura di non essere all’altezza delle proprie aspirazioni, che si evita di rincorrere i sogni, accontentandosi di una quotidianità che ha luogo ben al di sotto del proprio valore. Il processo di crescita prevede il cambiamento e per trasformarsi è inevitabile abbassare le difese, uscire dal guscio e rischiare. Meglio ferirsi, soffrirne e rialzarsi, piuttosto che restare immobili e rinunciare alle mete che ci attendono e che talvolta richiedono persino il nostro errore.

«Non è stato facile averti come padre, questo vorrei dirgli, perché il tuo più grande errore è stato proprio non nascondere ai tuoi bambini i demoni di cui parli. E così abbiamo dovuto imparare a convivere con loro, con le tue paure vestite di rigore e noncuranza, e con il tempo quelle paure sono diventate le nostre, i demoni si sono presi anche noi».

Andrea cerca di diventare adulto lontano dalle sue radici, eppure resta fortemente aggrappato sia ai ricordi che ai mostri infantili. La sensibilità straordinaria dei bambini assorbe ogni luce e ogni ombra dal mondo dei grandi, riflettendole sul proprio futuro. A seconda del modo in cui si è stati trattati, questi chiaroscuri possono divenire ali o valigie pesanti. Per il protagonista, come per ognuno di noi, la necessità di interrogarsi non solo su quali siano le zavorre che rallentano il cammino, ma a chi queste appartengano davvero. Forse, smettere di portare le borse degli altri, sarebbe già un buon presupposto per marciare più leggeri.

«Ho impiegato una vita, ma alla fine ho estirpato quelle radici, alla fine ho capito che io di responsabilità proprio non ne avevo, non ne ho, e se qualcuno ne ha (e neanche ne sono troppo convinto), questi sono i miei genitori, ognuno per i suoi motivi. Io, di tutta la merda che ho mangiato, non ne ho colpa. Nessuno ha mai colpa per l’infanzia che si è ritrovato. Siamo tutti senza peccato. Cominciamo a capire questo, a dirci questo, e avremo buone possibilità di salvarci».

Durante i giorni a Procida e le conversazioni tra i due personaggi, quel padre tanto severo nella memoria del figlio perde un po’ dell’antica durezza. All’immagine fiera, esigente e austera del comandante di una grande nave, si sovrappone quella di una persona saggia e profonda, capace di un amore che tuttavia fatica a manifestare.

«E bravo il mio fotografo … che ha già imparato a riconoscere la bellezza che ci circonda. Ricorda, la vita è un chiaroscuro perenne, ma ogni tanto arriva attorno a noi la luce giusta a illuminare le cose e a renderle perfette. Bisogna accorgersene. È tutta qua la differenza tra chi campa davvero e chi spreca il suo tempo».

Ogni ultimo libro di Lorenzo Marone che leggo, diventa il mio preferito.

Grazie Lorenzo Marone Grazie😊

 

martedì, settembre 13, 2022

ESTATE 2022 ... Amo l'estate

 


"…Estate, il sole che ogni giorno ci scaldava
Che splendidi tramonti dipingeva
Adesso brucia solo con furore
Tornerà un altro inverno
Cadranno mille petali di rose
La neve coprirà tutte le cose
E forse un po’ di pace tornerà…"
 

Sulla riva di Santa Maria di Leuca, nel mio ultimo giorno salentino, risuonava questa canzone di Bruno Martino del 1960. Sono note malinconiche e dolenti, che si congedano da qualcosa che non c’è più con una rabbia poco credibile. Come si può odiare l’estate? La stagione che per eccellenza ci riconcilia con il tutto, consegnandocelo splendente e immacolato. Il mondo è luce, noi figurine colorate che vi danzano all’interno.

 

In un’epoca senza aspettative, né speranze, sono arrivati mesi traboccanti di emozioni, sapori, colori e incontri: sorprese inattese e doni improvvisi… come la bellezza che non si annuncia e travolge.

 

17-23 luglio 2022

La Puglia ci dà il benvenuto con l’affetto non solo di Antonio, amico caro, fidato e fraterno, ma della sua intera famiglia. Sospinti dal vento fresco di tramontana, voliamo leggeri sulle onde del mare di CASTRO, immergendoci in acque così turchesi che gli oceani al confronto si tacciono. Trascorriamo una settimana in cui l’unico programma è muoversi in libertà, con la sola certezza sul punto di partenza e di arrivo di ogni missione. Ecco, questo è il ricordo più caro di quelle ore: il bar Namastè di BOTRUGNO. Perché se dappertutto si può preparare un buon espresso o un aperitivo scenografico, l’arte di ricevere e di accogliere fa di questo locale la meta di un’intera comunità. È il posto in cui prediligo iniziare e finire le mie giornate. L’atmosfera famigliare e la bontà dei prodotti offerti ci fanno continuamente ritardare il momento dei saluti. Prendiamo posto a un tavolo con poche sedie, al quale poi se ne aggiungono altre e ad altre ancora, tutti benvenuti ai piedi del campanile, proprio così come dovrebbe essere, proprio così com’è nel mondo che vorrei. I paesi con i loro vicoli lunghi e stretti, le case bianche, il rosarancio del cielo al tramonto, le seggiole fuori dagli usci anche a notte fonda… anche a notte fonda le signore anziane sedute sopra. Nel SALENTO non si dorme mai, ci si appisola stanchi quando le tenebre si sbiadiscono per accogliere il giorno. Del resto, pare sempre che stia per iniziare qualcosa in cui la vera festa è l’attesa collettiva.


Alla famiglia Maggio, dal profondo del cuore Grazie.











 

28.07-01.08.2022

Di ritorno dal Sud, un rapido cambio di valigie, e poi di nuovo in ITALIA, questa volta al Nord, per la fiera del pesto a casa di mamma. Come in una piccola catena di montaggio, chi lava le foglie delle piantine, chi le trita, chi pulisce l’aglio … e nel frattempo l'intera cucina che profuma di basilico. Alla fine, stappatura di prosecco e degustazione della salsa che, messa sottovuoto e congelata, farà da salvacena nel nuovo anno. L'esecuzione della ricetta è preceduta da pasti e aperitivi che hanno luogo in giardino o nei paesi intorno a CREMA. Immancabili il mercato del sabato e il buon umore contagioso di una madre, che nonostante le peggiori mazzate, reagisce, lotta, ride e sorride come una ventenne.





Di ritorno in Svizzera, penso di andare incontro a un agosto tranquillo e casalingo.

Invece, l’universo, sparigliando le carte, estrae a sorte per noi un biglietto fortunato: mia figlia, di solito impegnatissima nel lavoro e nello studio, mi propone una breve vacanza last minute ad IBIZA (07.08-12.08.2022). Naturalmente dico di sì. Sono anni che ne parliamo. Prima che qualche altro evento mondiale o particolare ce lo impedisca, saliamo su un aereo e atterriamo sull’isola. Già dall’atmosfera allegra e dall’espressione alticcia di alcuni passeggeri presagisco che non si tratti di un luogo noioso. Arriviamo a Sant Antoni dove raggiungiamo l’hotel Palladium Palmyra. L’accoglienza è perfetta, così impeccabile che ci fanno l' upgrade in una camera più grande e con vista incantevole su palme e mediterraneo. La struttura offre buffet riccamente imbanditi e deliziosi, il personale, sorridente e premuroso, fa in modo che il nostro calice non sia mai vuoto. Camminiamo lungo la costa, percorriamo le spiagge più belle, saliamo e scendiamo da ogni tipo di barca. Prendiamo un pullman e ci fermiamo ad Ibiza città. Elvissa è autentica, ci conquista con i suoi negozietti e le strade vuote. Nonostante sia mezzogiorno, l'atmosfera ricorda la domenica mattina. La maggior parte dei villeggianti trascorre la notte in discoteca, qualcuno balla, qualcun altro si sballa, altri riprendono a dormire solo sul volo di ritorno.

Ci compriamo un prendisole, delle magliette, qualche regalo per gli amici e dialoghiamo. Osserviamo umani e natura, ridiamo di noi e di loro. Nel tardo pomeriggio ci imbarchiamo su un grande motoscafo in direzione Sunset. Il capitano ci conduce ad una baia cristallina, qui montiamo su una tavola da stand up paddle. In piedi, io remo, mia figlia si siede in poppa e si lascia trasportare. Nonostante faccia caldo, il sole sta calando lentamente. Risaliamo sullo yatch, beviamo del vino bianco e mangiamo degli spuntini. Nell'istante in cui ci troviamo in mezzo al mare, la grande stella gialla si avvicina e viene ad abbracciare  noi, proprio noi, madre e figlia in una sola luce. Prima che il giorno sparisca, sulle note di Elton John, la ragazza si tuffa istintivamente in acqua, riemerge, guarda me e poi si gira verso l’orizzonte. La sfera gialla è ancora visibile. Sale e mi si siede accanto mentre il sole termina la sua discesa sotto alle onde. Io realizzo che quello, proprio quello del 9 agosto 2022, è il più bel tramonto della mia vita.





Grazie Estate 2022 Grazie💖





 

 

 

 

 

lunedì, settembre 05, 2022

RISCRIVI LE PAGINE DELLA TUA VITA, Anna De Simone - Ana Maria Sepe

 


L’estate sta finendo ed io ritorno a parlare di libri, di viaggi e di viaggi nella lettura.

“Riscrivi le pagine della tua vita” è un’opera recente e innovativa, scritta dalle psicologhe del mitico Psicoadvisor - La Rivista di Scienze Psicologiche e Neurobiologia, di cui sono grande ammiratrice.

Il testo va a prendere il lettore dall’interno, cercandolo nelle sue zone più fragili e nascoste. Gliele mostra, le descrive e le osserva con approccio gentile e mai giudicante. Non si tratta di eliminarle, bensì di integrare quegli sfaldabili pezzi e di accoglierli come parte inalienabile della propria identità. Tutto ciò che diventiamo si genera alla nascita ed evolve durante l’infanzia: In che modo siamo stati accolti? Come si sono presi cura di noi? Come erano i toni, il linguaggio, le spiegazioni? In quale maniera gli adulti di riferimento sapevano rispondere alle nostre domande? Ma soprattutto, chi e come erano questi genitori, queste famiglie? Ricorre spesso il termine disfunzionale, riferito a persone e relazioni inadeguate al punto di essere non solo inefficaci, ma persino dannose e di grosso ostacolo allo sviluppo della personalità. Poiché i bambini non sono in grado di difendersi e tantomeno di elaborare ciò che accade, ne consegue che siano proprio questi a portare il peso più grande degli errori commessi nei loro confronti. Quanti di noi passano una vita a pensare di essere sbagliati e storti, difettosi a prescindere, di non essere abbastanza, di non valere abbastanza. Quanti si auto-sabotano, convinti di non farcela… e magari il traguardo è proprio lì a due passi.

Qualunque sia stato l’esempio educativo, se disfunzionale, ne consegue un adulto dalle emozioni disturbate, dal volume troppo alto, “fuori misura”. Giustamente un individuo modella la propria opinione di sé e la percezione della realtà secondo gli stimoli e le risposte ricevute quando era piccolo. Persino le più belle musiche di tutti i tempi, se ascoltate alla massima frequenza, perderebbero la loro armonia. Ed è proprio così che ci si sente quando sentimenti come rabbia, senso di colpa, vergogna, paura, tristezza e ansia fanno la loro personale rivoluzione, riportandoci in un passato non risolto, obbligandoci ogni volta a rivedere i nostri cocci rotti. Come note senza pentagramma, queste sensazioni prendono il comando e ci conducono nella terra dei conflitti. Mi tornano alla mente gli esperimenti di Masaru Emoto, per cui l’acqua ghiaccia in cristalli bellissimi sottoposta alle opere classiche e si frammenta scomposta con la musica hard rock. Come note non stonate ma da accordare, quelle impressioni fuori controllo sono la nostra anima che suona il rock, o il punk o il blues. Le autrici propongono allora di tenere un diario delle emozioni, al fine di connettersi più consapevolmente con esse, comprendendone le origini e le conseguenze. In effetti, ogni volta che lasciamo che siano sensazioni sgradevoli o pensieri brutti a prendere il sopravvento, è a loro che diamo il potere. Il bello di questo studio è che non si tratta di negare o respingere quel sentire e quel pensare ma di accettarlo e integrarlo. Trovo bellissimo il suggerimento di andare a prendere una foto di quando eravamo piccoli, per guardare, abbracciare e rincuorare quelle creature timorose e incerte, dare loro amore e forza fino a vederle sotto una luce diversa, luminosa al punto di mettere in evidenza tutto il buono che c’è.

Ho spesso riscontrato come il raggiungimento del benessere venga confuso con l’assenza di dolore. Tutti vogliono evitare la sofferenza come se questa fosse l’anticamera della morte, eppure non è così. Il male che sentiamo, proprio come quelle emozioni scomode, è una parte di noi che rivendica attenzione. Più le daremo dignità, tanto meno sentirà il bisogno di romperci il cuore. Siamo noi, è la nostra vita. Stare nel dolore ci cura e ci salva. Certo, non dico che sia gradevole ma è la premessa essenziale alla rinascita.

Il libro è un favoloso manuale di autoanalisi e di autoaiuto. Ho solo accennato alcuni temi, interpretandoli liberamente sulla base della mia esperienza. Al termine del volume ci sono alcuni esercizi e strategie per lavorare su se stessi e sbloccare o agevolare alcuni meccanismi.

Come si dice nel film “Si può fare” di Giulio Manfredonia, «da vicino nessuno è normale». Pertanto, a tutti caldamente lo consiglio, perché tutti senz'altro ne abbiamo bisogno.

Grazie Anna De Simone Grazie😌

Grazie Ana Maria Sepe Grazie😌






 

 


martedì, giugno 14, 2022

SEI LA MIA VITA, FERZAN OZPETEK

 


Premessa: Ferzan Ozpetek e Lorenzo Marone sono in questo momento gli scrittori che più mi fanno sentire piccola: piccola nella mia ricerca, piccola nella scrittura, piccola nella descrizione delle cose e nell’osservazione della realtà. Nonostante siano entrambi molto diversi, hanno tutti e due il dono non solo del racconto ma dell’analisi profonda, della sua elaborazione mediante un linguaggio semplice, rapido e rivelatore. Potrebbe apparire una condizione frustrante, eppure non lo è, al contrario più un modello è irraggiungibile, maggiore è la mia ispirazione.

Un ideale è come la stella polare: è irraggiungibile, ma indica la retta via.

Il libro: Ferzan Ozpetek si racconta durante un viaggio in macchina al suo compagno Simone. Qualsiasi termine lo designi, partner, amico, amante … suona inadeguato, poiché il rapporto che li lega va al di là di qualunque relazione amorosa. Simone è Ferzan e Ferzan è Simone. Sebbene questo sentimento sia solo lo sfondo della storia, resta tuttavia il filo conduttore di tutto il romanzo, del tempo che lo precorre e di quello che lo succede.

“Nel mio cuore c’è solo un prima di te e un durante te: è senza di te che non riesco nemmeno a immaginarmi.”

"E poi ci sono creature come te, di una bellezza profonda come il mare aperto. Creature così meravigliose, eppure tanto restie ad ammetterlo guardandosi allo specchio. Al contrario, pronte a sminuirsi, vedersi come le caricature di se stesse, quasi un concentrato di difetti. Da cosa dipende? Perché chi è realmente bello spesso vive nella dolorosa certezza di non piacere a nessuno, mentre altri, dotati di percentuali di fascino infinitamente inferiori, se ne vanno in giro come fossero padroni del mondo?”

Nel descrivere la propria esistenza, il regista presenta le persone che ne hanno fatto parte, molte di queste schizzano fuori dalle sue pellicole. Sono quei personaggi che si riconoscono subito, così indimenticabili con le loro forti e fragili individualità, efficacemente caratterizzate ma mai parodiate.

“Vera è così. Una creatura che, fino all’ultimo, non ha rinunciato a produrre scompiglio con ogni mezzo, nella buona e nella cattiva sorte… una creatura capace di irrompere nelle vite altrui con l’energia di una dea guerriera”.

La purezza d'animo dell'autore e il talento della prosa, incastrandosi perfettamente, celebrano l'umanità,  nuda, libera di esprimersi senza il timore del giudizio. Nella scelta degli amici o di chi invitare al pranzo della domenica, l’unico criterio è una simpatia istintiva, l’empatia nel cogliere i dettagli e una naturale curiosità rivolta alla comprensione dell’universo altrui. Senza distinzione, egli accoglie, ospita, osserva. Con tratto deciso e tinte cangianti dipinge ritratti autentici, belli e imperfetti.

“Nel mondo che amo, ciascuno può essere semplicemente se stesso, con naturalezza e libertà, senza per questo sentirsi giudicato. Può vestirsi come gli pare, ballare come si sente, cantare a squarciagola nella notte, se ha voglia di far sapere a tutti che è felice. Può nutrire i suoi sogni, coltivare i desideri, seminare il proprio futuro di nuove speranze. Può chiamare il suo amore a voce alta, infischiandosene se a qualcuno potrà dare fastidio.”

“Diffido da chi procede per esclusione, di chi si fa guidare dai preconcetti. E’ come vivere in bianco e nero, rinunciando alle meravigliose sfumature che riscaldano l’esistenza.
Il rosso dell’amore possibile e il viola di quello perduto, il verde dell’amicizia che non morirà mai, il giallo della felicità assoluta. Ogni sentimento ha il suo colore. E quando le troppe emozioni ti confondono, basta chiudere gli occhi per riconoscerle.”

Il libro offre al lettore l’immagine nitida del luogo in cui i personaggi vivono, il condominio, il quartiere, la pescheria. Per quanto il ricordo delle scene dei film stimoli molto la fantasia, la scrittura giunge ancora più lontano. Così lontano che tra la suggestione della lettura e quella della visione, preferisco di gran lunga la prima. Io non ho solo immaginato la vicenda descritta, ma sento quasi di averne fatto parte.

Grazie maestro Ozpetek grazie

Voto: quasi 10

 


domenica, maggio 22, 2022

Mark Manson, La sottile arte di fare quello che ca**o ti pare.



Il titolo di questo libro pare alludere ad un astuto espediente di marketing. Ognuno di noi vorrebbe liberarsi da persone moleste, sgravarsi di faccende spiacevoli e raggiungere un’armonia quasi perfetta.

La genialità del testo invece è l’esatto opposto: il punto di partenza non è esterno ma interno. Come una sberla in faccia, l’autore esorta il lettore a smettere di lamentarsi, di ritenersi così speciale da meritare un compenso straordinario per il proprio impegno come se la felicità fosse “un’equazione algoritmica”.

Come reagirebbe l’essere umano in totale assenza di problemi da risolvere? Non gli mancherebbe forse qualcosa? Mark Manson interpreta il raggiungimento del benessere come la libertà di scegliere per quali cose “sbattersi”. Questo pensiero ha modificato in modo notevole il mio approccio: quando mi accadono eventi sgradevoli, mi chiedo se davvero meritino il mio rammarico e soprattutto quanto in fondo mi riguardino. In effetti ci sono individui che gravitano intorno alle nostre esistenze senza aggiungere qualcosa, spesso recando noia e gravità. Forse è arrivato il momento di smettere di offrire a costoro lo spazio e il tempo della nostra considerazione.

Per riuscire a raggiungere tale risultato è fondamentale definire una propria scala di valori, ragionare su quali principi ci identifichino al punto di lottare per loro. Io ho sempre considerato la presenza e l’attenzione delle virtù preziose. Tuttavia, se dall’altra parte queste qualità non vengono apprezzate, dare “assenza” a chi non ci apprezza diventa un’urgenza, un’intrepida missione atta a proteggere i nostri doni da chi, incapace di riconoscerli, ne farebbe pessimo uso. Mi vengono in mente tutte le volte in cui manca nelle relazioni una reciprocità e ci si sente inadeguati sulla base dei comportamenti altrui. Eppure, se lo permettiamo, la colpa di questo disagio è nostra, soltanto nostra.

Giustamente è pressoché impossibile piacere a tutti e andare d’accordo con ogni individuo che si incontra. Di conseguenza, anziché dolersene e dare la colpa al mondo, è saggio prendersi tutte le responsabilità nella consapevolezza di difendere un patrimonio astratto ma importante, anche accettando di incorrere nel biasimo di chi, non avendo altri strumenti, utilizza la calunnia e il piagnisteo per farsi giustizia. Assumersi l’onere delle proprie iniziative prelude certamente alla sofferenza e al sacrificio, nondimeno ci riporta a noi stessi, alla facoltà di preferire un problema anziché un altro. Qualunque sia la ragione per cui stiamo male, siamo noi ad averlo deciso.

Del libro ho inoltre gradito l'opinione per cui le emozioni sono sopravvalutate. Se ci si riflette, esse esprimono una condizione fugace e momentanea e non è detto che un sentimento che ci causa fastidio debba forzatamente danneggiarci, cosi come il suo contrario ci possa offrire un benessere di durata illimitata. Riflettere sulla propria condizione, chiedersi per quale motivo ci sentiamo in una maniera piuttosto che in un’altra è più ragionevole che seguire, a prescindere, pancia e cuore... meno romantico ma senz'altro più salutare.

Ci sono molti passaggi che mi hanno fatto sorridere, ricordare e supporre. Tra tutti questo è forse quello che preferisco per la schiettezza e la semplicità:

“La felicità richiede fatica. Cresce dai problemi. La gioia non spunta dalla terra come le margherite e gli arcobaleni”.

Adoro questa frase: stare bene significa cadere, sporcarsi, fallire, rialzarsi, imparare a stare nel proprio errore e nel proprio dolore, lottare per i propri principi, fare il meglio possibile senza rompere le palle, amare incondizionatamente e tenere sempre a mente che, come diceva Eleanor Roosvelt “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso.” 

Grazie Mark Manson Grazie

Voto: 9 e1/2







domenica, aprile 24, 2022

MAGARI DOMANI RESTO di Lorenzo Marone.

 

Luce di Notte è una giovane donna, avvocato praticante in uno studio. Nonostante sia di indole forte e fiera, nasconde la sua straordinaria sensibilità sotto a modi spesso bruschi, abituata a trattenere emozioni e parole. Nata da una famiglia di origini umili e cresciuta nei quartieri spagnoli di Napoli, apprende fin da piccola a proteggersi e a tenere le distanze da ciò che a un bambino è difficile spiegare.

“E comunque, Ninnillo, ricorda: ho solo due anni più di te, ma quei due anni so’ stati ‘na vera schifezza. E avere a che fare con lo schifo ti porta a dare del tu alla vita. Tu le dai del tu?”

La nonna materna è forse l’unica persona che in qualche maniera riesce ad attenuare lo sconforto e la solitudine causati dall’abbandono paterno e dalla freddezza materna.

“Nonna Giuseppina sarà stata pure ignorante, però la vita la capiva molto meglio delle mie maestre, e da qualche parte nel cuore ammuffito dall’umidità della sua casa e della sua vita, sapeva che senza una madre non ci può essere una buona infanzia. Perciò devo a quei pomeriggi trascorsi fuori al suo vico masticando Big Babol ... se sono riuscita a mettere da parte, in una piccola scatolina che conservo ancora sotto il letto, qualche bel ricordo”.

Significativo è il momento in cui il compagno la lascia, perchè tale evento è il punto di unione tra la vecchia e la nuova Luce: le si presentano incontri sorprendenti e situazioni che la accompagneranno in un processo di crescita e di rinascita. 

Lorenzo Marone descrive attraverso questa donna un mondo vivo e colorato, reso ancora più autentico dall’uso di alcune espressioni dialettali ("Schizzechea": pioviggina) Il lettore immagina le strade, i quartieri, le case, persino gli odori. Da una parte, in sottofondo, già nel nome del cane Alleria la musica di Pino Daniele, e dall'altra il jazz del dirimpettaio Vittorio.

Della protagonista mi colpisce la capacità di affrontare il passato, di fermarsi, di saper restare nel proprio riflessivo ironico silenzio. Nonostante il suo percorso sia stato tutt’altro che in discesa, lo sguardo è sempre rivolto verso l’alto, sospeso in una vaga speranza di felicità, assorto nella contemplazione della bellezza delle cose più piccole e semplici:

«Alleria si alza a sedere e mi lecca la mano. Chino il capo e incontro i suoi occhi dolci. A volte mi domando come sia possibile sentirsi soli su questo cavolo di pianeta che ospita miliardi di specie, che straborda di vita, di esseri animali, vegetali, insetti e persone.  E invece è proprio così, siamo tutti continuamente alla ricerca di qualcuno che ci accompagni lungo il percorso, spinti dal desiderio di trovare l’amore eterno, che sia quello di un figlio, un compagno o una madre, e nemmeno ci accorgiamo che a volte basta un amico che ti fa trovare la tavola imbandita e un messaggio sulla porta di casa, o gli occhi lucidi del tuo cane che ti fissano senza un perché. Non parlerei d’amore, una parola abusata, parlerei piuttosto di “attenzioni”».

Sebbene Luce si travesta da dura per impedire alla gente di avvicinarsi troppo e riuscire così a leggerle dentro, ella si occupa continuamente delle esigenze di chi la circonda: siano bambini, animali, anziani, indifesi in genere, si lancia in loro soccorso con quei superpoteri che sono etica e buoni sentimenti. Per il bene di chi le sta a cuore o nel rispetto dei valori in cui crede, lei sfida la paura, entra nel flusso del cambiamento e si riconosce indulgente.

“È che forse gli altri si accorgono di quando riesci a mettere un po’ di forza negli occhi e allora si avvicinano per capire se ce n’è un pizzico anche per loro”.

A causa delle ingiustizie cui assiste nell’ambito della professione e in seguito a un conflitto di coscienza, la donna si rende conto di aspirare a qualcosa di diverso. Si interroga sull’opportunità di trasferirsi al nord per costruire una nuova esistenza altrove. Vittorio, maturo vicino di casa e buon amico, imbarcatosi da giovane su una nave, le racconta: 

"Anch’io da ragazzo sentivo la necessità di fuggire, lasciarmi tutto alle spalle, pensavo fosse la soluzione migliore. Poi mi sono ritrovato in mare aperto e ho capito che tutto quello che pensavo di avere abbandonato a terra era ancora con me, nella mia cabina”.

La protagonista in effetti non è proprio alla ricerca spasmodica di un viaggio fine a se stesso, quanto di un diverso equilibrio. Lo fa restando innanzi tutto nel luogo in cui si trova, riappacificandosi con la propria infanzia e con chi ne ha fatto parte. Se è vero che molti eventi sono fuori controllo, lei interviene in modo attivo sul presente e laddove possibile contribuisce al buon esito delle vicende.

“Credo, però, di aver bisogno di tempo, di aspettare, che gli eventi facciano il loro corso, sento la necessità di seguire l’istinto e affidarmi alle piccole cose che in quest’ultimo periodo mi hanno fatta sentire bene. Sento che qualcosa prima o poi si smuoverà e mi porterà a capire quale strada imboccare”.

Lorenzo Marone mi induce a riflettere sulla necessità di liberarsi dalle catene delle infanzie infelici. Penso che il problema dei bambini che soffrono a causa delle mancanze o dei conflitti tra i genitori, sia l’incapacità degli adulti di accompagnarli in un processo di elaborazione del dolore. Se Luce fosse stata aiutata a comprendere ed accettare la sparizione paterna, sarebbe stata certamente una persona più serena e sicura di sé, certamente meno sulla difensiva. Che poi, come si fa a non esserlo?

Insomma, non è mai troppo tardi per curare le antiche ferite e dopo, soltanto dopo, voltare pagina e andare avanti. Proprio come per il personaggio principale del romanzo, ciascun nuovo ciclo nasce sulle ceneri di quello che lo ha preceduto. 

Voto: 8 e mezzo

Grazie LorenzoMarone Grazie

 

 

 

 

 

 

 

 


lunedì, aprile 18, 2022

Stavolta un film: MARILYN HA GLI OCCHI NERI.


Sarà che il termine “normalità” mi reca una vaga tristezza, sarà che la mancanza di follia annienta lo straordinario, sarà che "da vicino nessuno è normale" … sarà che gli storti e gli smarginati da sempre attraggono non solo la mia attenzione ma anche un’incondizionata simpatia, questo film è il più bello che abbia visto dall’inizio dell’anno.

I protagonisti sono un cuoco e un’attrice un po’ mitomane. Diego, interpretato da uno strepitoso Stefano Accorsi, è un individuo balbuziente, dall’aspetto dimesso e dall'incedere malfermo. Clara, impersonata da Miriam Leone, è una donna che,  mistificando la realtà, aggroviglia continuamente le sue fantasie alla vita vera, con conseguenze talvolta catastrofiche. Questi improbabili amici si incontrano in un centro diurno di riabilitazione e, con altri compagni di cura, metteranno su un ristorante di successo.

Al di là della regia, del cast o dei personaggi, tutti autentici, credibili e intensi, rifletto su quello che la pellicola lascia nello spettatore. Quante volte ci si imbatte in persone sconosciute che si esprimono o si comportano in modo non “consono” o non “conforme” al nostro? Quante volte ci è capitato di restare turbati di fronte a uno sguardo allucinato o a un viso stravolto? Tutti freschi di doccia, con i capelli ordinati, guardiamo da una pedana rialzata strane creature precipitate nelle nostre strade perfette chissà da quale mondo dannato. Ecco, il film di Simone Godano ci spiega esattamente da dove arrivano questi esseri strambi che non sono per nulla così lontani dalla nostra esistenza.

Chiunque, messo ripetutamente alla prova dai geni o dal destino, privato dell’amore, abbandonato dagli affetti, sottoposto a ripetute ingiustizie o semplicemente e legittimamente fragile, chiunque di noi potrebbe diventare come Diego, Clara o Susanna, che soffre della sindrome di Tourette. Temo di essere banale e forse anche ripetitiva ma le persone sono viaggi, tutte. Anche dinnanzi al comportamento più inspiegabile, cerchiamo di ricordarci che la sofferenza non elaborata logora e distrugge. Alla base delle azioni ci sono sempre dei motivi, non dico di condividerli, ma quanto meno fare lo sforzo di rammentarsene.

 Alle persone non gliene frega niente, eh! Pensano di aver ragione solo perché sono di più quelli normali!

C’è chi non ha nulla da perdere perché non ha proprio niente

Un’altra frase di Diego, che purtroppo non posso citare in modo esatto, esprimeva la solitudine che si prova quando non ci si sente capiti da nessuno. Forse potrebbe essere proprio questo il punto di inizio. A chi non è mai capitato di sentirsi così? Chi non si è mai chiesto “ma sono io che sono matto o sono gli altri che non mi capiscono”?

Lo psicoterapeuta del gruppo è una figura autorevole, dice le cose che io mi vorrei dire quando sono in difficoltà. L’attore che lo impersona è Thomas Trabacchi, bravo, incisivo e delicato, come richiede il ruolo. Non capisco perché gli affidino sempre dei personaggi secondari. Si meriterebbe molto di più e glielo auguro con tutta la mia stima.

Grazie lettore Grazie.

P.S. Questo film è disponibile su Netflix ed è del 2021.

giovedì, marzo 31, 2022

COME UN RESPIRO di FERZAN OZPETEK

 

Tutto è doppio.

Immaginate un palcoscenico teatrale con due scenografie, sul fondale dell’una un bagno turco di Istanbul, su quello dell’altra l’interno di un appartamento romano. Immaginate due epoche e di alternare gli anni 70 al presente. Naturalmente anche le protagoniste sono due: Elsa e Adele, legatissime sorelle, separate dagli eventi e lontane per un cinquantennio. Questo libro di Ferzan Ozpetek, avvincente fino alle ultime pagine, si adatterebbe magnificamente ai tempi di una pièce del teatro.

Trama: Elsa abbandona improvvisamente Roma per recarsi sul primo treno della notte. Mettendosi nelle mani della sorte, acquista un biglietto senza preoccuparsi della destinazione. Giunta ad Istanbul, incomincia una nuova vita, fa delle esperienze e degli incontri che la portano ad aprire un hammàm. Dal 1969, data della sua fuga, fino al 2019 scrive alla sorella delle lunghe lettere che però non ricevono risposta. Di ritorno in Italia, si reca nella casa in cui risiedeva Adele cinquant’anni prima. In questo alloggio il destino delle due donne si incrocia con quello dei suoi nuovi proprietari e di alcuni loro amici.

“Ai suoi occhi questo era rimasto l’appartamento dove cinquant’anni fa era vissuta. Un luogo amico, benevolo, familiare. Che ci fossimo noi o qualcun altro, per Elsa non aveva la minima importanza: l’essenziale era trovarsi qui. Certi posti hanno la capacità di trattenere le emozioni, proprio come fa un essere umano con il respiro. Poi le lasciano andare molto lentamente, e chi è in grado di percepirle le assorbe in ogni cellula del suo corpo. Ti fanno sentire a casa per sempre”.

Sebbene l’animo dei protagonisti, trascinato dall’impeto dei ricordi e degli eventi, sia turbato, la distanza temporale che separa i fatti dalle loro conseguenze offre una narrazione dal ritmo tranquillo e pensoso. Come se il passare degli anni concedesse lo spazio della riflessione: tutto in questo romanzo sembra galleggiare gentilmente sulle onde della vita dei suoi protagonisti.

Lo stile con il quale l’autore descrive i personaggi porta alla memoria la sua regia cinematografica. Li delinea nei gesti, nei silenzi, nelle reazioni involontarie forse ancora più che con le parole. Si capisce da come muovono gli occhi o da un improvviso rossore che si stanno nascondendo… mentre il lettore gli gira intorno, li studia, apre loro la borsa, gli armadi della cucina, fino a seguirli nelle stanze più nascoste. Forse ogni essere umano custodisce in sé un giardino segreto che nessuno o quasi nessuno conosce. Senza fargliene una colpa, l’autore lo mette alla luce come qualcosa di naturale e inalienabile. Ozpetek racconta la fragilità umana con commovente indulgenza, per quanto le azioni commesse da alcune figure siano basse e deplorevoli, non si può fare a meno di empatizzare con loro e di comprendere il momentaneo impeto che le fa agire.  

“Quante persone amano di nascosto, tramano, tradiscono.”

“Ci sono amori per i quali non basta una vita intera e altri che bruciano in una notte. Non sto dicendo che i primi siano migliori dei secondi: è solo una questione di scadenza. Se non vuoi soffrire, devi conoscere i tempi.”

“Sai una cosa? In fondo anche l’amore è un delitto perfetto: a volte ti uccide, altre forte ti rende più forte, ma in ogni caso rappresenta l’alibi ideale per ogni tua follia.”

“Cosa significa odiare una persona con tutte le tue forze? Non vuol dire nulla. Tanto lo sai che il tuo rancore è solo una diversa forma d’amore. Avvelenato dell’umiliazione, dal sospetto e dalla gelosia, ma non per questo meno vero.”

Questa vicenda ammonisce e fa pensare a quanto il perdono sia salvifico e a come, anche nelle situazioni più sgradevoli e per quanto ci si senta feriti, bisognerebbe concedere alla controparte la possibilità di spiegarsi e di giustificare le proprie azioni. Prima di chiudere un ciclo per sempre, quanto meno esserne sicuri. 

Immenso Ferzan Ozpetek, 9 e mezzo


giovedì, marzo 24, 2022

LA BAMBINA SPUTAFUOCO di GIULIA B. MELIS

 



Martina (Mina) è la bambina sputafuoco. Un malessere improvviso, il ricovero, le analisi e la diagnosi di una rara malattia che la costringe a vivere per lungo tempo in un reparto di oncologia infantile. Grazie alle cure e alla preparazione di chi si occupa di lei, Mina migliora. Riceve l’immenso supporto di tutta la famiglia, delle compagne di scuola e delle sue insegnanti. L’intera società che le ruota intorno si preoccupa per lei e crede nella sua guarigione. Tuttavia, è Mina a salvare se stessa. Curiosa, innocente e molto coraggiosa, osserva il mondo dalla sua camera d’ospedale e trasforma con salvifica fantasia la lunga degenza; trasfigura muri, quadri, armadi, oggetti, persone in luoghi e personaggi onirici, che le conferiscono quei superpoteri di cui ha bisogno per sconfiggere il cancro, affrontare chemioterapia e trattamenti invasivi.

“Lorenzo ha la testa appoggiata al mio cuscino, si schiaccia il naso sulla faccia … sta uccidendo i mobili e ogni cosa che vede tranne la balena sul quadro, tutto esplode in luce incandescente e goccioline di saliva, poi un pezzo della scrivania mi colpisce il fianco, è grande e appuntito ma non fa niente siccome io sono immortale”.

Lorenzo è il compagno di questo lungo ed estenuante viaggio. È il fratello del cuore, l’amico perfetto. In tedesco c’è un modo di dire che lo descrive:

«er/sie ist jemand mit dem/der man Pferde stehlen könnte»

«è qualcuno con cui si potrebbero rubare dei cavalli»

Significa che è una persona con cui si farebbe qualsiasi cosa e con cui si andrebbe dappertutto. I due ragazzi conoscono esattamente quello che l’altro prova, si aiutano e si accompagnano con complicità e affetto crescenti, tanto che evadono addirittura dalla clinica e arrivano al parcheggio dove, dopo un'abbondante colazione, vengono giustamente riacciuffati. Lorenzo è la persona per cui Mina arriva a commettere un gesto di eroica ribellione, pur di stargli vicino dopo il trapianto di midollo. Del resto, è proprio lei la persona con cui il ragazzo vuole trascorrere il giorno e la notte che precedono quel delicato intervento.

Più del coraggio, della forza e della fantasia, di Mina mi incanta lo sguardo, il modo gentile e delicato con cui scruta ciò che la circonda. Legge dentro alle cose della vita e alle persone, come se, analizzando ogni evento alla luce del suo cuore bambino e di un’insolita maturità, alla fine vedesse oltre.

“…Lei sorride e mi dà una piccola carezza al lato del mento che mi rimane attaccata per molte ore”.

“Allora apro la bocca e prendo aria. Stringo le palpebre molto forte e vedo tante piccole lucine e sono molto convinta che quello sia l’universo intero e noi in realtà ce l’abbiamo dentro agli occhi”

“Minni, la gatta che avevamo prima di Pollice. Era una palla grigia con il pelo molto lungo, l’abbiamo sotterrata in giardino e adesso è diventata un acero, tutte le volte che cadono le foglie lei miagola con il vento. Ora che è agosto e non fa i fiori ma dei semi doppi e lunghi che sembrano libellule, se cadono vorticano nell’aria, girano su se stessi fino a che si incastrano nei fili d’erba. Sono il cibo dei grilli, loro cantano tutta la notte perché hanno la cena che cade dal cielo.”

“Li ho pensati uno vicino all’altra, con le teste appoggiate sui grandi capelli di Imma…Paolo le abbracciava un fianco e lei sorrideva sentendogli il collo, come profumava sempre di Pino. Allora non so perché … ma ho visto che loro sono lo stesso albero: uno di quelli che crescono al mare, spettinati un po’ storti…Imma è tutta la pianta e Paolo il suo profumo ed è per questo che adesso non si separano più”.

Il romanzo è autobiografico, la scrittrice Giulia Binando Melis racconta, probabilmente elabora e in qualche modo trasfigura la sua storia. Grazie alla medicina, all’amore e alla sua stessa energia, la malattia è passata ma la piccola sputafuoco le starà sempre accanto. Del resto, è così per ognuno di noi. Delle sfide superate, ci resta il guerriero che ha lottato a ricordarci che ce l'abbiamo fatta e che siamo stati molto più forti di quanto ci aspettassimo.

Nonostante il linguaggio abbia un ritmo molto lento, è un libro che consiglio.

Voto: 8+


DOMANI, DOMANI di Francesca Giannone

  Il romanzo si svolge nel Salento durante il biennio compreso tra l’estate del 1958 e quella del 1960. Lorenzo e Agnese gestiscono insiem...